Autore Topic: Parapendio  (Letto 797 volte)

eziodellagondola

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Parapendio
« il: Luglio 15, 2011, 21:39:02 »
“Le istruzioni per la partenza sono semplici: quando il vento sarà favorevole, ti batterò un colpetto su una spalla; dovrai camminare in avanti, senza correre e senza fermarti, solo due o tre passi, poi sentirai uno strappo alle spalle; continua tranquillo, e saremo in volo…”
L’avvicinamento non era stato difficile, ma faticoso; tutta l’attrezzatura era divisa in due sacchi di circa 15 chili ciascuno; ovvio che dall’arrivo della funivia al punto di partenza questi fardelli dovevano essere equamente divisi, perciò i dieci minuti da fare a piedi in salita per raggiungere il punto di decollo non sono stati uno scherzo; ma valeva la pena di sopportare quel peso, ci portavamo sulle spalle un quarto d’ora di pura felicità.
Ero ansioso di provare questa nuova esperienza, un volo in parapendio, con istruttore, si intende, mica potevo improvvisarmi esperto di volo senza motore, e poi l’occorrente per volare ha un costo elevatissimo, si parla di una decina di milioni di vecchie lire.
Così in quella splendida mattina di luglio avrei emulato Icaro, sarei stato più vicino al sole senza ausilio di motori.
L’unica cosa che ricordo con un certo fastidio è l’ansia dell’attesa, che mi è sembrata interminabile; prima, alla partenza della funivia Walter, l’istruttore pilota, era in leggero ritardo, perché il volo precedente era partito oltre il tempo previsto, e già quella è stata una attesa fastidiosa, ma il culmine dell’inquietudine è arrivato sul prato dal quale dovevamo decollare.
Il vento pareva non volesse mai più prendere la direzione giusta, scrutavo le maniche a vento con crescente apprensione, con una aspettativa delusa che mi procurava quasi un dolore fisico.
Non avevo paura, era solo l’ansia che mi divorava, che dilatava a dismisura la sensazione pesante che l’attesa fosse infinita; ma alla fine siamo partiti: al tocco di Walter ho cominciato a camminare, faticando a controllarmi per non correre, uno, due, tre passi e al quarto mi sono trovato ad annaspare nel vuoto, eravamo su nel cielo!
Da quel momento, ho dimenticato che dietro a me sedeva Walter, intento a manovrare i cento fili che ci tenevano attaccati alla splendida ala del velivolo, a guidare con maestria quello che a me invece sembrava un bizzarro volo della mente, un disordinato, splendido girovagare in quel paradiso tra le montagne.
Il silenzio era rotto solo dal batter del vento sull’ala, che produceva un fruscio ritmico, una specie di magico soffio, a sorreggere la nostra avventura., la mia avventura.
Perché ero solo, volevo esser solo. Con Walter mi sarei ritrovato dopo, a terra, per ringraziarlo, per avere ancora ragguagli tecnici.
Ora volevo essere solo, con me stesso, con i miei ricordi, con i miei pensieri e le mie sensazioni.
Così era: facile come bere un bicchier d’acqua, semplice ma traumatico, come nascere.
Ecco, questo paragone, senza dubbio esagerato dall’euforia del momento, è però uno dei primi pensieri che mi è balenato nella mente in quel frangente; nel parto non dobbiamo mettere alcuna capacità, nessuna abilità: si nasce in automatico, non c’è nulla da fare, di quel poco ci fosse da fare si occupano altri, ma l’interprete principale, pur passivo, inerte, è il nostro io che comincia la sua avventura, che per la prima volta nella sua vita si sente simile a Dio, crea il mondo.
Certo il mondo degli altri c’era già prima che nascessimo, ma il “nostro” mondo comincia con noi, e assieme a noi finirà, nel nostro ultimo respiro.
In definitiva il mondo esiste perché e fino a tanto che noi esistiamo.
In questi momenti così intensi il mio mondo cambiava in continuo prospettiva, prendendo l’aspetto familiare dei miei sogni più belli; di uno, in particolare, ricorrente: fin dalla prima infanzia mi è capitato di fare più volte lo stesso sogno, nel quale indossavo un cappottino grigio di pesante panno, una vera sciccheria negli anni dell’immediato dopoguerra che mi vedevano bambino; il vento, infilandosi sotto l’indumento, lo gonfiava come una mongolfiera, ed io cominciavo a lievitare, librandomi due o tre metri sopra le teste della gente e volteggiando sopra al campo San Geremia.
Questo sogno era talmente vivido, reale, che per molti anni credetti non fosse un sogno, ma una piacevole, speciale realtà che era capitata in sorte proprio e solo a me.
Fu il primo anno di scuola a confermarmi che si trattava solo di un sogno: volli infatti raccontarne orgoglioso ad una compagna di classe che mi era simpatica più degli altri alunni, e lei si prodigò a spiegarmi e a convincermi che non esiste la magia, che il mondo è regolato da leggi perfette ed immutabili e che i sogni non si avverano mai.
Proprio perché sono sogni e tale è la loro funzione, far vivere i nostri desideri, anche i più irrealizzabili, in una dimensione paranaturale, affatto diversa dalla realtà ma con un realismo che ci soddisfa e ci appaga.
Certo Gabriella non usò parole così pertinenti, il suo discorso era tanto più semplice, ma questi sono i concetti che mi sono rimasti, che hanno accompagnato tutta la mia vita seguente. Indirizzandomi verso una continua ricerca del positivo, del reale, che scientificamente ma inesorabilmente mi ha portato all’agnosticismo, al rifiuto del magico, dell’incredibile,  possibile solo nella fantasia, nella poesia.
Quest’ultima mi pare proprio il punto di incontro, di mediazione tra la ragione e il desiderio, tra la mente e il cuore.
Navigare tra le proprie fantasie lasciandosi cullare dalla dolce melodia di parole in versi, assecondare le assonanze per favorire anche l’associazione di idee, questo per me è la poesia, o meglio, questo è il suo lato tecnico, che poi dovrà essere integrato dalla componente fondamentale ed indispensabile: il cuore, il sentimento.
E io navigavo tra i monti, immerso in una realtà così vicina e simile al sogno da farmi quasi paura.
Mi pareva un anticipo, un assaggio della nostra condizione futura, quando, finita l’avventura fisica, corporale, il nostro spirito, liberato dai vincoli di un corpo oramai morto, spazierà felice in una specie di sogno continuo.
Ma perché questa percezione mi procurava paura?
Perché in quegli attimi stavo mettendo in crisi tutta una vita di incredulità, tutta una vita senza fede, che però mi dava tranquillità, stabilità.
E la paura era di perdermi tra i sogni, in una ricerca mai sopita di misticismo, di possibile contatto con l’impossibile possibile, Dio.
Sembra incredibile che un breve volo tra le nuvole possa ingenerare tanti pensieri, tante riflessioni; sarebbe più naturale credere in una gioia attonita, senza partecipazione razionale, il puro piacere di assaporare una novità, un modo nuovo di vedere il mondo, di sentirlo vicino e lontano al tempo stesso.
Ma come tutte le cose belle anche la mia avventura su nel cielo era destinata a finire.
L’impatto con il terreno fu dolce e duro al tempo stesso; dolce dal punto di vista tecnico, ci eravamo calati con ampie curve, come un predatore che non voglia ghermire la preda con fretta ma che aspetti il momento giusto; duro sotto il profilo psicologico, come chi non vorrebbe svegliarsi per non interrompere un sogno troppo bello: fatti a terra pochi passi, quel quarto d’ora magico era diventato adesso soltanto un bellissimo, struggente ricordo.

il racconto è leggibile sul mio sito, www.eziodellagondola.it  nella sezione Racconti, e li ci sono dei collegamenti ipertestuali che consentono di vedere un resoconto fotografico

E
eziodellagondola

Brunello

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Re:Parapendio
« Risposta #1 il: Luglio 29, 2012, 08:37:58 »
Ora volevo essere solo, con me stesso, con i miei ricordi, con i miei pensieri e le mie sensazioni.

Bello e ben scritto, a parte qualche periodo un po' lungo, un intrecciarsi di emozioni avvolge il lettore fin dalle prime righe. È difficile capire perchè dei brani così passano inosservati, sarà questo il motivo della fuga di Ezio?
Bravissimo.

ninag

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Re:Parapendio
« Risposta #2 il: Luglio 30, 2012, 17:26:54 »
Ezio, che bello ritrovarti con tuo pezzo su Zam, un racconto emozionante.
Mi ha incuriosita il tuo sogno da bambino, mai  sentito parlare di sogni lucidi, viaggi astrali. :-)

Brunello

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Re:Parapendio
« Risposta #3 il: Luglio 30, 2012, 17:46:13 »
Ezio, che bello ritrovarti con tuo pezzo su Zam, un racconto emozionante.
Mi ha incuriosita il tuo sogno da bambino, mai  sentito parlare di sogni lucidi, viaggi astrali. :-)
Purtroppo è solo un ripescaggio....era uno dei zero commenti che finiscono nei meandri di zam. Speriamo che Ezio torni presto.

nihil

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Re:Parapendio
« Risposta #4 il: Luglio 31, 2012, 09:16:26 »
Enzo torna ci manchiiiiii!

E per quanto riguarda il pezzo, trovo che sia molto profondo. Cos'è la vita se non un ricordi di qualcosa più o meno appena trascorso o trascorso da un tempo infinito? e anche noi siamo solo un ricordo di qualcosa vissuto insieme, nella memoria di altri. Ma allora c'è da domandarsi:  siamo reali o solo qualcosa che è già stato?

piccolofi

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Re:Parapendio
« Risposta #5 il: Agosto 14, 2012, 17:08:01 »

  Il " pezzo " e' bellissimo  : e' un resoconto e un racconto, e' un punto interiore, scritto
  ottimamente e che scopre la ricchezza  dell'autore, capace di comunicarsi anche agli altri
  e produrre anche in loro quelle stesse riflessioni profonde sulla vita.
  Rimasto senza commenti? 
  Possibile solo per mancanza di lettura.. 

eziodellagondola

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Re:Parapendio
« Risposta #6 il: Dicembre 31, 2012, 13:57:59 »
forse non è presto, ma son tornato; mi ero allontanato solo per dedicarmi anima e corpo ad un bel progetto fotografico che mi ha fatto incontrare nuovi amici in un gruppo che si chiama Foto-poesia
E
eziodellagondola