quarta ed ultima parteIn un precedente post ho scritto che in origine, nel 1507, la pala d’altare “Baglioni” era alta circa 5 metri, composta dalla cimasa, il fregio, la parte centrale con la Deposizione, e la predella, ma poi fu divisa in parti.
composizione della pala d'altare Baglioni nel 1507
Nel marzo del 1608 il pontefice Paolo V (Camillo Borghese) fece prelevare la pala-Baglioni dalla chiesa di San Francesco al Prato per donarla al “cardinal-nepote”, Scipione Borghese. Ma la predella rimase nella Cappella di San Matteo, anche detta “Cappella Baglioni”.
Poi ci furono le campagne militari napoleoniche in Italia, come la campagna militare francese del 1796–1797 con la cosiddetta “Armata d’Italia” comandata da Napoleone I Bonaparte contro il Regno di Sardegna, gli austro-ungarici (“Sacro Romano Impero”) e lo Stato Pontificio.
Ed anche per la raffaellesca "pala Baglioni" ci furono traversie. Ma per capirle è necessario riaprire i libri di storia...
In dieci giorni il Regno di Sardegna fu sconfitto e Vittorio Amedeo III costretto a firmare il 28 aprile 1796 l’
armistizio di Cherasco. Il 15 maggio dello stesso anno ci fu con i sabaudi il
trattato di pace di Parigi con gravose condizioni per il Regno di Sardegna, fra le quali la
cessione alla Francia del ducato di Savoia, della contea di Nizza, della contea di Tenda e di Breglio. Nello Stato Pontificio,
Bologna si arrese alle truppe francesi il 19 giugno 1796. Nella città il 23 giugno 1796 venne firmato l’armistizio fra Napoleone e i rappresentanti dello Stato Pontificio:
“armistizio di Bologna”. Al Papa furono obbligate contribuzioni in opere d’arte, in denaro (21 milioni di lire, di cui 15 milioni in lingotti d’oro e d’argento), in derrate e in animali, di solito cavalli, muli.
Nel luglio del 1796 a Parigi iniziarono i negoziati fra la Sede Apostolica e la Repubblica Francese per una pace definitiva, ma non si giunse ad un accordo, perché Napoleone I voleva continuare con le requisizioni per avere denaro, armi, vettovaglie per proseguire a nord lo scontro con l’esercito imperiale.
Il
19 febbraio 1797 tra la Francia e lo Stato Pontificio fu firmato il
“Trattato di Tolentino” (prov. di Macerata), imposto da Napoleone a Pio VI a seguito delle sue vittorie militari. Questo trattato completava (e aggravava) le clausole del precedente accordo (armistizio di Bologna): cessione alla Francia di tutti i territori dello Stato Pontificio a nord di Ancona; l'indennità di guerra passò da 21 a 36 milioni di lire; inoltre, il papa dovette rinunciare alla Romagna, alla città di Avignone con il suo territorio (in Francia). Non basta, lo Stato Pontificio dovette cedere tante opere d'arte conservate nei Musei Vaticani, come il famoso Laocoonte. Statue e Dipinti vennero trasferiti a Parigi.
I francesi si riservarono il diritto di entrare in tutti gli edifici (pubblici, privati o religiosi) per sottrarre le opere.
Questa parte del trattato fu estesa con i trattati del 1798 a tutto il territorio italiano. Infatti anche Venezia fu costretta a cedere numerose opere d’arte, tra le quali i cavalli di San Marco e il leone bronzeo, poi tornati per merito dello scultore neoclassico Antonio Canova.
Gli scopi della Campagna d’Italia comandata da Napoleone I Bonaparte possono essere così riassunti:
accaparrare quanto più possibile denaro, opere d’arte, generi alimentari, animali e armi attraverso furti e contribuzioni forzate; occupare territori da scambiare al momento delle trattative con l’Impero asburgico.
La cessione all’Austria della Repubblica di Venezia con il Trattato di Campoformio (prov. di Udine), del 17 ottobre 1797, costituisce l’esempio più noto di tale intenzione. In cambio l’impero austriaco dovette cedere alla Francia alcuni territori, per esempio il Belgio.
Nel 1797 terminò la prima “campagna militare d’Italia” napoleonica.
Dal 1797 fino al Congresso di Vienna nel 1815, nei territori conquistati dai francesi in diverse aree d’Europa, le armate di Napoleone effettuarono spoliazioni, sottrazioni e requisizioni di beni e opere d’arte. Dall’Italia trasferirono in Francia molti capolavori, soprattutto a Parigi nel Museo del Louvre.
Dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri, manoscritti, medaglie, strumenti scientifici, oro, argento e gioielli, cristalli, tessuti, oggetti di qualsiasi tipo che avessero un interesse economico e culturale. Numerose opere venivano dalle chiese a seguito delle “soppressioni napoleoniche”: i provvedimenti con i quali gran parte delle istituzioni ecclesiastiche (ordini religiosi, congregazioni, confraternite e simili) venivano cancellate e secolarizzate, i beni venivano requisiti oppure ceduti alle istituzioni civili o al demanio statale francesi.
Nel
1815 durante il Congresso di Vienna le potenze vincitrici ordinarono alla Francia la restituzione di tutte le opere sottratte, “senza alcun negoziato diplomatico”. Venne affermato il principio di come non ci potesse essere alcun diritto di conquista che permettesse alla Francia di detenere beni e opere d’arte sottratte da spoliazioni militari.
Ma dopo il periodo napoleonico tante opere d’arte rimasero in Francia, altre furono riportate nei luoghi d’origine, altre ancora finirono nei musei e collezioni in varie parti del mondo. Altre, invece, furono danneggiate.
Per quanto riguarda la pala d'altare Baglioni,
la cimasa e il fregio trasferiti in Francia nel 1797, furono riportati in Italia nel 1816. Sono conservati a Perugia nella Galleria Nazionale d’arte.
Il grande
pannello centrale con il dipinto che raffigura il “Trasporto di Cristo morto nel sepolcro” è custodito a Roma nella Galleria Borghese, perciò detto “Deposizione Baglioni” o “Deposizione Borghese”.
la
predella (i pannelli con le Virtù) rimasta a Perugia fin dall’origine nella chiesa di San Francesco al Prato, dopo la chiusura di questa, fu presa dai francesi nel 1797 e riconsegnata all’Italia nel 1816. Dal 1820 è esposta nella Pinacoteca dei Musei Vaticani.