“La luna e i falò” è l'ultimo romanzo dello scrittore Cesare Pavese. Lo scrisse tra il 18 settembre e il 9 novembre 1949, poi pubblicato nell'aprile del 1950. Si suicidò il 27 agosto 1950.
Il libro racconta la storia di un uomo che, dopo aver vissuto molti per anni negli Stati Uniti torna sulle colline delle Langhe alla ricerca della sua infanzia.
La narrazione s’inoltra tra passato e presente, fra eventi sparsi nel tempo e nello spazio, collegati tra loro solo dai pensieri e dalle riflessioni del protagonista, soprannominato “Anguilla”.
L'evocazione dei ricordi è vissuta insieme e attraverso il vecchio amico falegname Nuto, che era stato per Anguilla una figura paterna e che è sempre rimasto nel paese, vivendo i cambiamenti determinati dalla guerra.
Il desiderio irrealizzabile di ritorno alle origini è riassunto nella domanda di Nuto ad Anguilla:
Nuto: “Che cos’è allora un paese per te?”
Anguilla: “Non lo so, ma so che un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.
Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Forse queste parole sono l’essenza del romanzo. Il narratore, emigrato e di età ormai matura, torna nel luogo della sua infanzia e giovinezza e scopre che tutto è mutato, l’esistenza dei compaesani è divenuta più difficile.
Credo che accada a tutti, tornando nel luogo natio di provare la stessa esperienza.
Ritrovare alcuni odori, vedere i volti invecchiati, alberi sopravvissuti, edifici decadenti. Affiora, così, la nostalgia. Il flusso del tempo che passa ha sommerso quella società un tempo contadina.
Non rimane al narratore che ripartire verso un orizzonte lontano.