"Mangiare come Dio comanda": è il titolo del libro scritto da Marino Niola ed Elisabetta Moro., pagg. 168, edit. Einaudi.
Entrambi sono docenti nell’università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Il prof. Niola insegna “Antropologia dei simboli” e “Antropologia della contemporaneità”, la professoressa Moro, “Antropologia culturale”.
"L’uomo è ciò che mangia”, scrisse il filosofo Ludwig Feuerbach: “
Der Mensch ist wa ser isst”. Frase fortunata, perché nella lingua tedesca ist (= è) e isst (= mangia) sono assonanti e custodiscono una verità che va oltre la fisiologia ed entra nella metafisica, nella cultura e nella stessa spiritualità.
Infatti il cibo, in tutte le religioni, è anche un simbolo di comunione tra Dio e l’umanità e tra gli individui. Le persone celebrano con pranzi le nascite, nozze e anniversari.
In alcuni popoli persino il lutto è accompagnato da “pasti funebri”. Come non ricordare che in epoca romana nel giorno stesso del funerale veniva celebrato il primo banchetto funebre (silicernium). Nove giorni dopo veniva offerta la conviviale "coena novendialis".
Il “refrigerium” (= rinfresco) era il pasto commemorativo per il defunto. Veniva consumato nel cimitero.
I primi cristiani continuarono il rituale del refrigerium, consumando il cibo vicino le tombe dei parenti e le catacombe dei martiri cristiani.
Secondo i due docenti nella nostra epoca abbiamo mandato in esilio le divinità e adottato un nuovo laicismo, basato sulla dieta: questo sostantivo deriva dal greco “
diaita” e significa “modo di vivere”, “stile di vita”.
La secolarizzazione ha “spogliato” il cibo dal simbolismo religioso, dal ringraziamento a Dio che dà la possibilità di averlo. Ciò ha indotto a seguire determinate regole, che per i cristiani significano una modalità di distinzione dagli atei. Infatti nel Medioevo i fedeli quando bevevano, sorseggiavano cinque volte, perché cinque erano le piaghe di Gesù; ogni boccone di cibo doveva essere equamente diviso in quattro parti, che rappresentavano Padre, Figlio e Spirito Santo, l’ultimo era Maria, la Madre di Gesù.
Nelle chiese cristiane cattoliche ogni giorno s’imbandisce la “tavola” (altare) con tovaglia, pane, vino e acqua per il fondamentale rito dell’eucarestia, nel quale Cristo e il fedele sono spiritualmente in comunione. Con essa il credente “rivive” l’ultima cena di Gesù con gli apostoli.
Mangiarono l’agnello, il pane azzimo, le erbe amare e bevvero il vino rosso.
La religione cattolica non ha divieti sul tipo di cibo né regole particolari, ma impone due precetti: divieto di consumare carne nel Venerdì Santo; obbligo del digiuno in alcune circostanze, come il Mercoledì delle Ceneri.
I perentori divieti alimentari sono elementi identitari.
Nell’ebraismo la precettistica gastronomica costituisce una forma di religiosità, che non è fatta solo di incorporei misteri teologici e “altezze” metafisiche, ma anche di comportamenti concreti, cerimonie casalinghe, gesti tramandati sempre alla stessa maniera, per non disperdere quella parte dell’identità collettiva che è intessuta di vita quotidiana.
L’ ebraica
kasherùt ( = adeguatezza) indica se un cibo è idoneo ad essere consumato dal popolo ebraico secondo le regole alimentari stabilite nella Torah, interpretate dall’esegesi del Talmud e codificate nello Shulchan Arukh (= “tavola apparecchiata”): testo normativo e ritualistico ebraico redatto nel 1563 circa.
Il cibo che risponde ai requisiti di kasherùt è definito
kashèr = "adatto alla consumazione".
La Torah non indica il fondamento logico della maggior parte delle norme kasherùt, forse derivate da motivazioni igieniche, ma anche filosofiche.
Il cibo, per essere consumato secondo le regole alimentari ebraiche, deve soddisfare vari criteri tra cui:
la natura del cibo;
la preparazione del cibo;
per i cibi di origine animale, le caratteristiche dell'animale stesso. Ci sono le proibizioni della consumazione di animali considerati impuri, come il maiale, i crostacei e i molluschi, le commistioni di carne e latte. Inoltre c’è il precetto della macellazione di mammiferi secondo la procedura detta
“schechtah.
Una clausola giudaica permette di mangiare carne solo degli animali ruminanti e dotati di unghia bifida: mucche, vitelli, ovini, perciò niente carne di maiale, non ha l’unghia bifida e non è ruminante.
Similmente l’islam, sulla scia della kashrut ebraica, stende una netta linea demarcazione tra il cibo
halal, ammesso, e quello
haram, impuro: non solo il maiale, anche altri animali; inoltre c’è la questione dell’alcol…
E’ interessante il lato consolatorio, l’imposizione del digiuno come pratica per essere più vicino a Dio. Si pensi al digiuno cristiano, al Ramadan islamico.
Pieter Bruegel il Vecchio, Banchetto nuziale, olio su tavola, 1568 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna