Lo scrittore di origine russa ma naturalizzato statunitense Vladimir Nabokov (1899 – 1977), era solito concludere le sue lezioni alla Cornell University (università statunitense situata a Ithaca, nello Stato di New York) dicendo agli studenti che le opere letterarie studiate e argomentate durante il corso non insegnano nulla di utile come affrontare le difficoltà della vita: “non vi aiuteranno in ufficio, né sul campo di battaglia, né in cucina, né in camera dei bambini”, non essendo che un lusso”.
Ma leggendo il romanzo “Alla ricerca del tempo perduto” (“A’ la recherche du temps perdu), pubblicato in 7 volumi tra il 1913 e il 1927 dallo scrittore francese Marcel Proust (1871 – 1922), si comprende che invece è utile la lettura de la “Recherche”, che comincia con: “Longtemps, je me suis couché de bonne heure” e prosegue con la descrizione dei pensieri che accompagnano il dormiveglia, quando la candela è spenta e gli occhi socchiusi quel “je” non sa se dorme, sogna, pensa, se è fuori o dentro quel libro che prima teneva tra le mani.
Comunque, anche se si ha la consapevolezza che non ci sia niente da capire, leggendo la “Recherche” si acquisisce un “valore cognitivo” sulla comprensione e sulla consapevolezza del tempo.
Un romanzo come quello di Proust ci può insegnare ad essere più generosi con noi stessi, che passiamo uno dopo l’altro sul palcoscenico dell’esistenza, domandandoci chi siamo, chi vorremmo essere, consapevoli che la nostra vita non è altro che il tempo perduto.
La facoltà d’illuderci è di aiuto ma evidenzia anche la necessità di scoprire la verità che in vita ci è preclusa.