Otto minuti. La distanza del sole da noi.
Otto minuti impiega la luce di questa stella per arrivare fino a me.
Otto minuti perché l’immagine del sole si rifranga nei miei occhi.
Quindi ciò che vedo in questo momento non è il sole come è adesso, ma com’era otto minuti fa.
E’ notte e osservo la luna, e la sua luce riflessa, che impiega quasi un secondo e mezzo per raggiungere il mio sguardo.
Tento d’abituarmi al buio; rintraccio la costellazione della Lira, ed ecco Vega, la quinta stella, a più di 25 anni luce da me.
Guardo Vega com’era 25 anni fa, quando neanche ero nata.
Ammiro l’immagine di qualcosa che non c’è. O meglio, che non è più così come la vedo io adesso.
Più guardo lontano nello spazio più vedo lontano nel tempo.
Come quando vedo stelle lontane miliardi d’anni luce, che magari ora non esistono più, ma la cui immagine ancora viene trasportata attraverso lo spazio dalla luce fino a me; in quell'istante guardo qualcosa che non esiste più.
Allora rifletto; se è vero che qualcosa che è lontano nello spazio è lontano anche nel tempo, lo stesso vale per ogni cosa.
Ad esempio tu, che mi sei di fronte.
Quante frazioni infinitesimali di tempo impiega la tua immagine ad essere catturata dai miei occhi?
Quanto sei distante, quanto sei lontano?
Ti guardo, ma ciò che vedo è com’eri, non come sei.
Ti conosco nel passato, mai nel presente.
Ognuno di noi due è su di un piano sfalsato rispetto all’altro, anche rispetto alla realtà.
Non riuscirò mai a “vederti” davvero, mai conoscerò come sei adesso, o meglio, saprò fra meno di un miliardesimo di secondo quello che tu sei ora, ma già sarà il tuo passato.
L’unico modo per essere vicini? E’ il contatto la sola maniera per condividere la stessa realtà; non ti vedo ma ti posso sentire, se mi prendi la mano, se mi fai una carezza…
Ma ti guardo e non ti vedo.
Sarai sempre lontano, sempre distante, anche se mi sarai accanto tanto da percepire il battito del tuo cuore.