L’amore fatale si nutre più dell'immaginario che del reale.
La persona (spesso donna) che viene avvolta dalla spirale dell'amore fatale, rischia di rimanere imprigionata in aspettative irrealizzabili a scapito della ricerca di un partner possibile e realistico.
Nell’amore fatale si proietta sul/la possibile partner il proprio Io ideale, lo si sopravvaluta ed appare l'individuo unico al mondo e insostituibile.
La persona su cui ricade l’inconscia proiezione può non avere alcuna caratteristica particolare, non viene scelta per le sue reali qualità, ma le vengono attribuite le qualità che si desidera che egli/ella abbia.
Una ricerca sociologica condotta da Francesco Alberoni nei primi anni ‘90 (vedi il suo libro titolato: "Il volo nuziale",1992) su adolescenti maschi e femmine circa l'ideale amoroso che essi avevano in mente e su quali erano i loro idoli, evidenziò che la grande maggioranza delle adolescenti s'innamorava dei divi della musica o dello schermo, disdegnava i compagni e i coetanei a favore di fantasie in cui era a contatto col proprio idolo.
Gli adolescenti maschi, al contrario, fantasticavano le loro amiche, le ragazzine di loro conoscenza, ed erano relativamente indifferenti alla diva del momento, ritenuta troppo lontana da raggiungere.
Per quanto concerneva la ragazza, Alberoni scrisse: "Il suo ragazzo e' un mortale, il più bello dei mortali. Ma lei oscuramente sente di essere stata predisposta per un dio".
Il mito dell'amore fatale evita la soggettività e con la sessualità ha poco a che vedere.
L'antitodo alle insidie dell'amore fatale è: negoziare sempre tutto, dialogare, dichiarare, contrattare.
“L'amore fatale” (Enduring Love) è anche il titolo di un romanzo del 1997, scritto da Ian McEwan.