Autore Topic: Paradiso perduto dei neoborbonici  (Letto 694 volte)

Doxa

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Paradiso perduto dei neoborbonici
« il: Giugno 01, 2021, 09:45:25 »
In Rete  scrivono appartenenti a gruppi che si definiscono neoborbonici o filoborbonici e  indicano il Regno delle due Sicilie come una sorta di paradiso perduto, basandosi sulle informazioni del best seller del 2010 “Terroni”, scritto da Pino Aprile. Essi  tendono a enfatizzare i lati oscuri del Risorgimento italiano cercando il riscatto per una terra che non era né il paradiso perduto immaginato dai neoborbonici né l’inferno descritto dai primi storici risorgimentali.


Infatti si sbaglia chi considera il Regno delle due Sicilie un Paradiso trasformato in Inferno dalla dinastia sabauda.


Il Regno delle Due Sicilie in sé è esistito per un periodo relativamente breve, dal 1816 al 1861.


Analisi giuridiche, statistiche ed economiche decostruiscono la mitologia che negli anni è stata “fabbricata” dai cosiddetti neoborbonici o da studiosi che considerano il processo di unificazione nazionale come una guerra di conquista, saccheggio e distruzione del Regno di Sardegna nei confronti del Regno delle due Sicilie.


Per cominciare, furono davvero un milione le vittime meridionali dell’esercito piemontese ?  Le vittime furono poche migliaia, briganti inclusi.


Il Sud pre-unitario era davvero un territorio industrialmente avanzato ?


Ed è vero che le industrie del Sud furono depauperate, trasferite al Nord e osteggiate dal nuovo governo piemontese ?


Sono oggettivi i tanti primati che i neo-borbonici rivendicano sul Regno delle due Sicilie ?


Lo storico Pino Ippolito Armino nel suo libro titolato: “ Il fantastico Regno delle due Sicilie. Breve catalogo delle imposture neo-borboniche” (edit. Laterza) abbatte tutti i totem dei neo-borbonici, leggendo il Regno delle due Sicilie nella sua interezza, evidenziando le bugie propagandistiche, le azioni liberticide e il disinteresse per le condizioni socio-economiche delle classi subalterne.


Armino contesta l’uso distorto  che i neo-borbonici fanno delle fonti storiche, spesso manipolate in funzione di una lettura populista e vittimistica della “questione meridionale”.


Non era un Paradiso il Regno delle due Sicilie del 1860. E non è scaricando sull’unità d’Italia le responsabilità del ritardo socio-economico del Sud che si riesce a comprendere le reali ragioni del divario.


Il primo regnante della famiglia Borbone a entrare in Italia e regnare sia sul Regno di Napoli che su quello di Sicilia fu Carlo di Borbone nel 1735.
 Carlo, seguito dal fido consigliere Tanucci, avviò una serie di riforme che porteranno davvero alla rinascita di due territori che erano considerati delle colonie, passate di mano in mano tra corone francesi, austriache e spagnole.
« Ultima modifica: Giugno 02, 2021, 22:36:38 da Doxa »

victor

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Re:Paradiso perduto dei neoborbonici
« Risposta #1 il: Giugno 02, 2021, 14:21:24 »




Ciao Doxa,

Innanzitutto piacere di incontrarti nuovamente.

Tu hai pubblicato questo post e io l’ho letto con molto interesse. Tu sai che io sono siciliano e di conseguenza mi sento obbligato a intervenire per “dovere di cittadinanza”.

Cominci il tuo scritto con il contestare l’affermazione che gruppi neoborbonici fanno affermando che il Regno delle due Sicilie era un paradiso che con l’annessione al Regno d’Italia è andato perduto.

Io, immediatamente, mi dichiaro d’accordo con te: il Regno delle due Sicilie a quel tempo non era un paradiso, come non lo era lo Stato Pontificio, non lo era il Granducato di Toscana, e non lo era neppure il Regno di Sardegna, cioè quello di Casa Savoia. In una situazione leggermente migliore si trovava il Lombardo Veneto, sotto la monarchia Asburgica prima e l’Impero Austro Ungarico, dopo.

È vero però che nel Regno delle due Sicilie esistevano sia la prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici, e sia le acciaierie di Ferdinandea, in Calabria, oltre a notevoli riserve auree presso il Banco di Napoli, cosa che faceva grande gola al Conte di Cavour, indiscutibilmente statista di grande intelligenza e di notevole spessore.

Che poi, da una parte (quella dei vincitori) si tenti di enfatizzare l’impresa di Garibaldi e che dall’altra (quella dei vinti) si tenti di screditarla, fa parte della natura umana.

Come vedi, caro Doxa, convengo con te che il Regno delle due Sicilie non era un paradiso.

Poi, tu ti chiedi quante siano state le vittime delle battaglie di Garibaldi.

Qui è necessari fare una distinzione tra le vittime in battaglia contro le truppe borboniche e le vittime civili dovute a repressione da parte dei garibaldini (che forse in alcuni casi furono stragi di persone inermi).

Se la mia memoria scolastica funziona ancora (è a quell’epoca che risalgono le mie memorie) poche sono state le battaglie combattute da Garibaldi contro le truppe borboniche: quella di Calatafimi, quella di Milazzo, una terza in Calabria, e quella del Volturno. Tutte fatte sotto la protezione della flotta inglese che ne seguiva passo passo l’avanzata.

Il conte di Cavour, come ho già detto fu un grande statista, prima di intraprendere l’avventura di Garibaldi si era prudentemente assicurato il compiacente appoggio dell’Inghilterra, la quale fu felice di darlo in quanto le permetteva sia di proteggere i suoi interessi (Cantine Florio che fornivano il Marsala, vino molto apprezzato dagli inglesi, e la tenuta della Ducea di Nelson, a Bronte), ma principalmente perché la riuscita dell’impresa avrebbe consentito di dare un ulteriore scacco alla Francia, nemica da sempre, eliminando la Monarchia Borbonica.

Quindi furono poche le battaglie combattute e la storia ci dice che le truppe borboniche non brillarono assolutamente nei combattimenti, anzi spesso se la diedero a gambe levate. Quindi è da ritenere che furono poche le vittime e non superarono il migliaio.

Tu precisi che le vittime furono alcune migliaia e io pur non avendo dati certi, concordo con te, ma mi preme precisare che queste poche migliaia furono quasi esclusivamente vittime civili, dovute alle repressioni del generale Nino Bixio.

La più cruenta fu quella di Bronte e Adrano (all’epoca chiamato Adernò), ma ce ne saranno state diverse altre (sto scrivendo a braccio in base ai miei ricordi ormai obsoleti). Pertanto sono questi morti civili, diverse migliaia, che il popolo ricorda con tristezza, se non addirittura con rancore.

Tu fai riferimento all’economia del sud. Depressa era prima della avventura garibaldine e depressa è rimasta con il Regno d’Italia, mentre nel frattempo in Piemonte si sviluppò la Seconda Rivoluzione Industriale.

Altro argomento che tocchi è il brigantaggio presente nel Regno delle due Sicilie.

È vero nel Regno delle due Sicilie esisteva il brigantaggio, ma questo fenomeno esisteva anche nello Stato Pontificio (Abruzzo, Marche, Romagna e perfino nello stesso Lazio). Ma il fenomeno continuò anche durante il Regno d’Italia fino agli anni 20 del ‘900.

Fu il fascismo che lo debellò. Attenzione, con questa mia affermazione non intendo assolutamente fare una apologia del fascismo, voglio solo riferire la realtà dei fatti e pertanto non aggiungo alcun commento.

Terzo argomento che l’unità d’Italia non riuscì a risolvere nel sud fu la miseria e la sua conseguenza diretta, cioè l’emigrazione che continuò, anzi aumentò fino agli anni 20.

Ricordiamoci della struggente canzone napoletana:

“Partono i bastimenti
per terre assai lontane …

Tiro le conclusioni del mio pensiero.

L’unità d’Italia è stata un bene o un male per il sud?

Se rispondo con la ragione, la risposta è che è stata un bene.

Se per assurdo il sud esistesse ancora separato dall’Italia, sarebbe una situazione anti storica, anti culturale, anti sociale, anti politica.

Se, invece dovessi rispondere con il cuore devo dire che sono profondamente deluso dei risultati che ne sono derivati (anzi non sono derivati). Molti meridionali la ritengono un fallimento.

Se dovessi interrogarmi sui motivi di questa delusione o fallimento che sia, l’analisi sarebbe troppo lunga e esulerebbe dal presente discorso.

Pertanto chiudo questo mio intervento.

Ciao, Doxa, sono molto lieto dell’occasione che mi hai dato di poter dialogare ancora con te.

Un caro saluto

Victor

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Doxa

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Re:Paradiso perduto dei neoborbonici
« Risposta #2 il: Giugno 02, 2021, 22:30:10 »
Caro Victor ti ringrazio del tuo intervento perché mi dai la possibilità di ampliare il mio precedente post in questo topic.

L’associazione per lo sviluppo dell’industria Mezzogiorno (SVIMEZ) ha pubblicato dei libri in occasione del centenario dell’unità d’Italia e ai 150 anni dall’unità d’Italia. Per esempio:  “150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011” ;  “Le Università del Mezzogiorno nella storia dell’Italia unita. 1861-2011”, pubblicati dall’editore Il Mulino, e il numero speciale della Rivista giuridica del Mezzogiorno, trimestrale della SVIMEZ dedicato a “Federalismo e Mezzogiorno a 150 anni dall’Unità d’Italia”.

Per quanto riguarda le strade ferrate, re Ferdinando II oltre la Napoli-Portici,  dal 1838 fece costruire la linea Napoli-Nocera con diramazione per Castellamare di Stabia.

Un secondo tronco ferroviario, finanziato dallo Stato borbonico, raggiunse Caserta nel 1843 e Capua nel 1844.
 
Nel 1853 fu concessa in appalto la costruzione della Nola-Sarno-San Severino, che avrebbe dovuto proseguire per Avellino. Il programma prevedeva poi che la linea Napoli Capua fosse prolungata a Cassino per allacciarsi con la ferrovia dello Stato Pontificio.

In Sicilia erano previste le linee Palermo Catania-Messina, e Palermo-Girgenti (Agrigento)-Terranova. Previste, ma non realizzate.

Le linee ferroviarie meridionali al tempo dei Borbone  è uno dei principali motivi di vanto dei sostenitori dell’idea di un Sud avanzato, penalizzato piuttosto che aiutato dall’Unità d’Italia. Ma fu veramente così?  Alcuni  progetti ferroviari non furono realizzati.

Secondo i dati contenuti nello studio della Svimez,  nel 1861 nel  Sud Italia l’estensione della linea ferrata era di 184 chilometri,  limitati in Campania. Nel Centro Italia i chilometri erano 535,  nel Nord 1.801, dieci volte in più.

Durante il regno di Ferdinando II, dopo la repressione del 1849, ci  fu una riduzione drastica della costruzione di nuove strade ferrate. Questo sovrano era giunto alla conclusione che  i collegamenti ferroviari  erano strumento di propagazione delle idee rivoluzionarie e, quindi, elemento di rischio per la stabilità politica ristabilita  in quell’anno.
 
Il Regno delle due Sicilie aveva un’economia basata sul trasporto marittimo, non sul trasporto ferroviario.

Ovvio! Il Sud aveva privilegiato le linee marittime perché circondato dal mare. La  grande flotta era un vanto del regno borbonico.   

Invece la Lombardia e il Piemonte non avevano la  flotta marittima, per i collegamenti dovevano costruire strade. 

Per quanto riguarda il brigantaggio meridionale il protagonista fu quasi sempre il contadino, il pastore o il brigante (che poi è la stessa cosa), ma interessò anche la classe sociale dei ‘galantuomini’: grandi proprietari terrieri e allevatori del Sud Italia,  responsabili del patto con l’amministrazione piemontese. (Il romanzo "Il Gattopardo", di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, docet. Come ben sai narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società in Sicilia durante il Risorgimento, dal momento del trapasso del regime borbonico alla transizione unitaria del Regno d'Italia).

La lotta al brigantaggio coincise con i difficili anni successivi alla formazione dello Stato unitario, quando l’esigenza dei governi di quel tempo era quella di fermare in modo rapido le insurrezioni in varie province meridionali.

Le autorità militari  agirono con metodi brutali ed indiscriminati, a volte illegali. Ci furono molte esecuzioni sommarie ed eccidi durante le sommosse popolari. Numerosi crimini e atti di spietata violenza vennero commessi anche  dalle bande di briganti col sostegno iniziale di ex soldati borbonici e la connivenza di esponenti clericali.

Tra il 1861 e il 1864 avvenne la guerra civile tra gli italiani del Nord e quelli del Sud, fra i  cosiddetti “piemontesi” inclini a considerare il Mezzogiorno una zona della penisola non ancora approdata alla “civiltà”, e gran parte della popolazione locale indotta a odiare i “conquistatori” scesi del settentrione accusati di mire di dominio e di pesanti vessazioni fiscali.

Ma quello che si svolse dopo l’unificazione nazionale (con l’impiego da un lato di un esercito cresciuto man mano da 15 mila a 116 mila uomini contro i cosiddetti “briganti”,  e, dall’altro, con la mobilitazione di folti nuclei di insorti trasformati in guerriglieri) fu un capitolo di un conflitto di più vasta portata. Tra l’eclissi dei Borbone e l’avvento dei primi governi post-unitari riemersero due generi di ostilità: una “guerra fratricida” di meridionali contro altri meridionali, e una “guerra di classe” fra proprietari e contadini senza terre.
« Ultima modifica: Giugno 03, 2021, 15:33:04 da Doxa »

victor

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Re:Paradiso perduto dei neoborbonici
« Risposta #3 il: Giugno 03, 2021, 03:25:16 »


Ciao Doxa,

Tutto esatto quello che tu scrivi. D’altra parte tu, da ottimo giornalista qual sei, conosci bene le fonti dove attingere le tue informazioni e sei perfettamente in grado di esprimere le tue idee.

Addirittura hai aggiunto delle notizie come quelle sulle strade ferrate e sui trasporti marittimi riguardanti il Regno delle due Sicilie delle quali io non ero a conoscenza.

Ma, come ho specificato, il mio è stato un intervento da dilettante. Durante la mia vita con la mia professione mi sono occupato di tutt’altro.

Resta però un dato assolutamente incontrovertibile e io ne ho già accennato nel mio primo intervento: l’enorme divario economico esistente ancora oggi tra Nord e Sud.

È questo ciò che ci rammarica e che crea dissapori.

Sarà possibile colmarlo in un prossimo futuro?

Io non lo saprò mai in quanto la mia vita è al tramonto, ma la questione mi angustia. È ai miei nipoti che penso. Ci sarà avvenire per loro in questa nostra bella e amata terra? Oppure dovranno emigrare anch’essi come tanti hanno dovuto fare in passato per sopravvivere?

Ciao, caro Doxa, un abbraccio.

Victor.

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Re:Paradiso perduto dei neoborbonici
« Risposta #4 il: Giugno 04, 2021, 23:00:58 »
“La guerra ‘cafona’. Il brigantaggio meridionale contro lo Stato unitario” e “Il brigantaggio dopo l’unità d’Italia”, sono due libri scritti dal giornalista e saggista calabrese Salvatore Scarpino, il quale evidenzia che l’unità d’Italia non avvenne perché voluta da tutti i ceti sociali, ma ottenuta da una minoranza ed è rimasta a lungo incompiuta ed incompresa .

Il brigantaggio post-unitario italiano fu un fenomeno di tipo criminale, iniziato nell’ultima fase della spedizione dei “Mille” per volontà del re Francesco II di Borbone e del suo governo. Avevano deciso di fare ricorso a formazioni armate irregolari per supporto delle loro truppe regolari.


Erano bande di malfattori che infestavano le campagne, assalivano i paesi a scopo di rapina, abigeato. Commettevano minacce, angherie, omicidi, stupri. C’erano uomini che avevano subìto soprusi da uomini del nuovo potere, pastori e braccianti senza terra che si ribellavano ai nuovi assetti proprietari, oppure giovani renitenti alla leva militare, della durata di 5 anni,  nel regno sabaudo. Ma  c’erano anche legittimisti vicini ai Borbone, braccianti delusi da riforme non attuate, visto che i demani regi, e con essi i beni della Chiesa, erano  stati venduti per pochi spiccioli a nobili e borghesi che già li sfruttavano da tempi immemorabili.


Mentre nel Nord Italia i giornali inneggiavano alla nascita del Regno d‘Italia, nel Sud l’armata cafona si radunò nel bosco di di Lagopesole, vicino a Potenza, per continuare la guerra contro i “liberatori” venuti dal Nord Italia e  contro gli invasori “sardo-garibaldeschi”.


Al comando di quei cafoni eccitati e vocianti c’era Carmine Crocco, ex mandriano, ex sottufficiale dell’esercito borbonico, sedotto  e deluso dalla rivoluzione mancata di “Garibaldo”.


A seguito della partenza dei  Borbone da Napoli il 6 settembre 1860,  della successiva sconfitta subita ai primi di ottobre nella  “battaglia del Volturno” e dell’assedio di Gaeta, il partito legittimista e la corte borbonica in esilio a  Roma  con la benevola protezione papale, tentarono con ogni mezzo  per tornare a regnare.
« Ultima modifica: Giugno 07, 2021, 16:44:32 da Doxa »

victor

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Re:Paradiso perduto dei neoborbonici
« Risposta #5 il: Giugno 07, 2021, 09:49:32 »

Caro Doxa,

La Storia è importante, anzi importantissima. Va studiata, discussa e ragionata.

A mio avviso la Storia in quanto studio del passato ci permette di  capire il presente e progettare il futuro.

La situazione economica e politica del Regno delle due Sicilie è un periodo importante della Storia.

Questa situazione, che tu hai descritto efficacemente è necessario che sia relazionata con il periodo successivo cioè quello del Regno d’Italia e principalmente con il periodo della Repubblica Italiana.

Anche il fenomeno del Brigantaggio va confrontato con le mafie attuali.

Altrimenti il tuo scritto resta “una” Storia e non “la” Storia.

Tu sei un ottimo giornalista, te l’ho detto e lo ripeto ancora.

Continua questo percorso che hai iniziato. Non interromperlo.

Il presente (che noi viviamo) è figlio del passato, così come il futuro sarà figlio del presente.

Grazie per quello che farai e che ci dirai..

Victor.

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