Autore Topic: Senescĕre  (Letto 904 volte)

Doxa

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Senescĕre
« il: Aprile 24, 2021, 17:56:07 »


Senescĕre: verbo latino che significa invecchiare. Ma senescenza e invecchiamento non sono sinonimi: la senescenza è connessa con il periodo più tardivo dell’invecchiamento, corrisponde alla vecchiaia o senilità.

La senescenza si conclude con la morte.

Ci sono persone che cercano di contrastare i segni del tempo che passa con massaggi, creme, lifting, altre, invece, accettano il cambiamento fisico come un evento naturale.

Il filosofo della politica e giurista Norberto Bobbio, morto nel 2004 all’età di 95 anni, in una intervista al quotidiano “Il Tempo” nel 1996 disse: “Alla mia età si vive un penoso momento esistenziale: ci si rende conto di aver poco tempo per fare le cose che si vorrebbe, e si è consapevoli d’essere ormai incapaci di farle in fretta. Il vecchio è consegnato al tempo lento. La memoria può mantenersi sveglia, ma la velocità di connessione procede al piccolo trotto”.

Nel suo libro “De senectute” dice che la vecchiaia non è bella, non conduce alla saggezza, e i ricordi servono per ricostruire la trama della propria vita.

Nella storia letteraria ci sono testi retorici per esaltare la virtù e la piacevolezza della vecchiaia, come il “De senectute” di Cicerone, scritto nel 44 a. C. all’età di 62 anni, e l’Elogio della vecchiaia, scritto da Paolo Mantegazza alla fine del XIX secolo. Tali libri fanno l’apologia della vecchiaia, la sdrammatizzazione della morte. Questa è considerata da Cicerone secondo il modulo classico del disprezzo della morte.

La vecchiaia è diventata un problema sociale, non solo perché è aumentato il numero dei vecchi, ma anche perché è aumentato il numero degli anni che si vivono da vecchi. Comunque il Covid sta aiutando l’INPS ed altri enti previdenziali.

Si dice che la vecchiaia non è drammatica ma purtroppo dura poco. Non la pensano così i vecchi malati, non autosufficienti. Essi, al contrario, credono che la vecchiaia duri troppo tempo. 

Parlando con altri anziani ho capito che chi ha avuto una vita piacevole combatte per non morire, cerca il miglior ospedale, le migliori cure per prolungare la vita. Invece chi ha avuto una vita tribolata ed è malato ha voglia di finirla al più presto. Per curarsi gli va bene qualsiasi ospedale e qualsiasi cura, non pretende l’accanimento terapeutico.

Il vecchio soddisfatto di sé e il vecchio disperato sono due atteggiamenti estremi, entro i quali ci sono altri modi di vivere la vecchiaia: l’accettazione passiva, la rassegnazione, l’indifferenza, l’ostinazione a non voler vedere le proprie rughe, l’indebolimento fisico; o, al contrario, il distacco dai problemi quotidiani, il raccoglimento nella riflessione o nella preghiera.

La vecchiaia non è scissa dal resto della vita precedente: è la continuazione della vita precedente, dell’adolescenza, la giovinezza, la maturità. C’è il vecchio sereno e quello mesto, il soddisfatto giunto tranquillamente alla fine della vita, l’inquieto che ricorda i suoi sbagli; chi assapora la propria vittoria e chi non riesce a cancellare dalla memoria le proprie sconfitte.

La dimensione in cui vive il vecchio è il passato. Il tempo del futuro è per lui troppo breve perché si preoccupi di ciò che avverrà. 

Nella rimembranza il vecchio che non ha malattie cerebrali ritrova sé stesso, la sua identità, nonostante i molti anni trascorsi, le tante vicende vissute. Nel ripercorrere i luoghi della memoria ti si affollano attorno i morti, le persone che hai conosciuto o amato e non ci sono più.

Doxa

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Re:Senescĕre
« Risposta #1 il: Aprile 24, 2021, 21:42:10 »
“Laudator temporis acti se puero” (= lodatore del tempo passato quando egli era fanciullo) scrisse Orazio nell’Ars poetica (173).

Scrisse la frase pensando alle persone anziane che, non potendo far rivivere gli anni passati, vi ritornano volentieri con la memoria.


Vi segnalo il libro di Francesco Stoppa: “Le età del desiderio. Adolescenza e vecchiaia nella società dell’eterna giovinezza”; edit. Feltrinelli.

L’adolescenza e la vecchiaia  sono passaggi cruciali nell’arte di stare al mondo: arte di crescere in un caso, di tramontare nell’altro.

Sono le età in cui maturare un nuovo sentimento delle cose e dire di sì alla vita, e questo ne fa le età del desiderio. Eppure il mondo adulto, ossessionato dal bisogno di certezze e poco propenso a concepire il proprio tramonto, finisce in fondo per emarginarle.

Nel post precedente ho citato Paolo Mantegazza e il suo libro “Elogio della vecchiaia”. Questo autore si liberava dal pensiero della morte con uno sbrigativo “Basta non pensarci”. Perché farsi tormentare dal pensiero della morte ?”

Un noto imprenditore bresciano, Bruno Dall'Olio,  bravo poeta nel tempo libero, scrisse questo testo titolato “Voli di fantasie”:

“Resiste la mia vita, sta lì ad ali chiuse- come un gabbiano sazio – a farsi cullare dalle acque agitate degli anni.

Specchiandomi resto deluso da come mi vedo – e non me ne importa – perché   l’io che ho dentro è un’altra cosa.

Ogni ragazza che passa sparge il suo fuoco – ed io ne vengo scottato.

Tante cose alla mia età fanno ancora gola – compreso l’amore – anche se poi non combino niente.

Non giudicatemi da quel che scrivo – ben altro fui nella vita – e vi racconto brano a brano”.


Doxa

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Re:Senescĕre
« Risposta #2 il: Aprile 26, 2021, 21:50:11 »
Gli anziani sono parte fondamentale della società:  consumano, decidono se un prodotto funziona oppure no,  votano e influenzano la politica in maniera decisiva.

Il giornalista Giampaolo Pansa poco tempo prima di morire pubblicò il libro titolato “Vecchi, folli e ribelli. Il piacere della vita nella terza età”: argomenta sugli anziani raccontando alcune storie.

A Pansa gli fu chiesto se non fosse stato meglio scrivere un libro sui giovani.  Egli rispose: “Macché, i giovani si arrangino... Dei giovani non me ne frega niente. Quello che va detto è che gli anziani non hanno più il ruolo di una volta nelle famiglie e allora cercano di ritagliarsi altri spazi. Perché no? Anche perseguendo il piacere o un amore in tarda età. E queste situazioni nessuno le racconta. Con esistenze così lunghe e con una vitalità che dura negli anni, è necessario prendere atto che non è possibile considerare gli anziani come soprammobili”.

Ed aggiunse: “Vecchiaia, eufemisticamente detta “terza età” o “quarta età”. Affresco desolante di vecchi ossessionati dalla prostata, circuiti dalle badanti, snobbati dai figli, incupiti dall’impoverimento, terrorizzati dalla criminalità, confinati in squallidi bilocali di periferia, che lanciano strali contro gli immigrati, i politici ladri, le banche assassine.
La vecchiaia riflette soprattutto lo sfacelo fisico.
Nella “terza età” il piacere è diluito nelle piccole cose quotidiane, come il poter invecchiare insieme alla propria compagna, nelle stanze dove hai vissuto le stagioni più felici, tra i tuoi ricordi, i libri che hai raccolto, i mobili che hai acquistato, i quadri che ti hanno accompagnato”
.

Ancora Giampaolo Pansa: “Scrivere mi conferma di essere vivo e mi dà l’illusione di non morire”.


p. s. Nell'età della vecchiaia sono più "rompiballe" gli uomini o le donne ?

Stamane al supermercato ho avuto una discussione con una "leggiadra anziana brontolona" che voleva passare avanti nella fila alla cassa.
« Ultima modifica: Aprile 27, 2021, 08:22:08 da Doxa »

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Re:Senescĕre
« Risposta #3 il: Aprile 27, 2021, 07:42:53 »
Forse in vecchiaia sono più "rompiballe" quelli che lo erano anche da giovani, maschi e femmine, per par condicio.

Stamane amate donne del forum vi omaggio con questi versi poetici

"L'ultimo desiderio
 corteggia la morte
 l'unica amante
 ancora sconosciuta".


A proposito della morte, il genetista Edoardo Boncinelli nel suo libro dedicato alla genetica afferma che nel genoma c’è il nostro “grande libro”: la nostra vita finisce a causa del disinteresse che la natura ha per gli individui dopo che si sono riprodotti. Alla selezione naturale non serviamo dopo che ci siamo riprodotti. Si prova disagio ad accettare questa realtà, perché la logica della natura non corrisponde alla vita affettiva o professionale che ci motiva a vivere in salute e longevi.

"Non è la morte a dover far paura ma è l’invecchiamento e tutto ciò che l’invecchiamento porta con sé: fragilità, impotenza, ridotta mobilità, dolori articolari, perdita dei denti, calo della vista e dell’udito, corruzione fisica del corpo. Bisogna arrendersi, accettare il declino del corpo.

La morte dura un attimo, invece la vecchiaia può prolungarsi per anni, umilia il corpo ed in parte anche lo spirito.
Invecchiando s’impara che quelle che contano non sono le cose  ma è il diverso modo in cui si guarda alle cose".


Doxa

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Re:Senescĕre
« Risposta #4 il: Aprile 27, 2021, 09:52:20 »
Il desiderio sessuale, il piacere estetico che si riceve nel guardare l’immagine corporea giovanile sono presenti anche a 80 anni ed oltre.

Ma a quell’età di solito non c’è corrispondenza tra pensiero e azione e si rimane  al “vorrei ma non posso”.  Ma ciò
non impedisce di amare.

Nella tarda età una nuova relazione amorosa è meno idealizzata, più realistica, ma sempre bella ! E’ un'esperienza rinvigorente, un elisir di benessere che allontana la percezione della vecchiaia intesa come decadimento, perdita e fine.
 
Mentre  sto scrivendo  penso al film del 2019 “I migliori anni della nostra vita”, diretto dal regista Claude Lelouch, con Jean Louis Trintignant,  Anouk Aimée e la partecipazione di Monica Bellucci.



Lo straordinario film è un immaginario seguito dei due protagonisti del film del 1966 “Un uomo, una donna”, con Jean-Louis (nel ruolo di pilota automobilistico) ed Anouk Aimée (nel ruolo di giovane segretaria di edizione, rimasta vedova).

Cinquant’anni dopo l’ex pilota di corse automobilistiche vive in una casa di cura con gravi problemi di memoria, con momenti di lucidità, mentre Anne gestisce un negozio ed è mamma e nonna a tempo pieno.

Per aiutare moralmente il padre, il figlio di Jean-Louis  cerca Anne (la donna che l’anziano uomo, scorbutico e solitario,  ha amato e perduta, senza una ragione particolare, ma della quale parla spesso con rimpianto)  e la convince ad andare a trovare il suo vecchio amore Jean, sperando che l’incontro lo aiuti a migliorare Il suo stato di salute.

Anne va da Jean, i due s’incontrano, lui sembra non riconoscerla, ma resta colpito dalla voce, dallo sguardo, dalla dolcezza della donna.

Dopo  quell’incontro , Anne  torna a trovare Jean, che in qualche frangente  riesce a riconoscerla, e così i due ripercorrono la loro storia  fatta di ricordi, vicini come allora, complici di quel sentimento che sfida il tabu sociale di due anziani che sanno guardarsi e parlarsi d’amore.

Nel film  “Les plus belles années d'une vie” l’attrice Monica Bellucci nel film interpreta la figlia di Jean-Louis, che aiuta il padre a ricordargli la vita perché lui ha perso la memoria o fa finta di non averla.



Nel film le immagini del passato e del presente si combinano, in un vivace avanti e indietro con la pellicola del 1966 di cui  si vedono volti e luoghi in epoche diverse: la stanza d’hotel del loro primo incontro, la spiaggia su cui hanno passeggiato, la corsa in macchina. Possiamo seguire i segni che il tempo ha lasciato sui protagonisti, interrogarsi su cosa sia loro accaduto nel frattempo. 

E’ un film sentimentale, romantico, nostalgico. Quando Anouk e Jean Louis si guardano non c'è solo l'emozione ma la passione e la voglia di piacersi.

C'è un grande tabu sociale su questo. Ci si invecchia e per la società non esisti più dal punto di vista dell'amore, invece i sentimenti ci sono sempre.

L'amore è l'arte del presente.

L’amore contro la morte, nella consapevolezza che il primo soccombe. Prima, però, è ancora in grado di farci sentire la sua forza.

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Re:Senescĕre
« Risposta #5 il: Aprile 27, 2021, 15:45:21 »
Propongo alla vostra lettura un piacevole articolo della professoressa Alessandra Graziottin, direttore del Centro di ginecologia e sessuologia medica al San Raffaele Resnati di Milano.

Il titolo dell'articolo è "Dirsi addio con un sospiro" e riguarda l'ultima tappa della vita di un cavallo campione di corse.

«Preparalo, come per un concorso». O’Dooley, vecchio e malato, era fuori, nel prato. Aveva la sua coperta, la sua capannetta, ma era infinitamente triste. Ancora di più perché pioveva, quella pioggia malinconica, sottile e uggiosa, che sembrava Irlanda. Ma non era la sua Irlanda, dove era nato e cresciuto, con un’ottima scuola. Perfetto in dressage.

Nel prato c’era tanto pantano e faceva freddo. Più di tutto gli mettevano tristezza quelle gambe che non si muovevano quasi più. Ogni passo, una fatica tremenda. E ancora più tristezza gli metteva non lavorare nella scuola e restare solo. Non aveva più il gusto di una volta, a stare nel prato. Una volta gli piaceva, era bello dopo il lavoro. Ora non più. Sì, c’erano altri cavalli negli altri recinti, ma nessuno con cui potersi strofinare e coccolare. Gli occhi erano tristi, quasi assenti. Si rianimavano, e mi sorrideva, quando andavo a trovarlo, ogni giorno in cui andavo al maneggio, e gli portavo zuccherini, mele e carote.

Aveva un cuore grande, O’Dooley. Coraggioso, allegro, attento, affettuoso. Con una pazienza misteriosa che era fatta di intuizione, di incoraggiamento e di ascolto: un vero professore, come si dice dei cavalli che hanno cuore e cervello, e un grande passato. Finiti i concorsi, era diventato un cavallo della scuola. Ci siamo piaciuti subito, tanti anni fa, per quei feeling misteriosi che scattano in un secondo, anche con gli animali, e non basta una vita a spiegarsi perché. Intuiva quello che volevo fare, e anche se lo chiedevo in modo impreciso, mi aiutava a farlo sempre meglio. Sapeva rendermi felice dei piccoli progressi, dei dettagli. Da giovane era stato un grande cavallo. Ora gli piaceva insegnare. «Coraggio – mi diceva – riprova!». Mi consolava e mi ridava fiducia. «Dai, riprova…».


«Preparalo, come per un concorso», dice l’istruttore. Parte lesta la ragazza, va a prendere O’Dooley nel prato, in quel giorno torvo e grigio. Lo lava con dolcezza, lo asciuga, lo striglia bene. Il bel muso baio si riaccende di luce. Lo mette in un box luminoso col truciolo tenero e il fieno profumato e fresco. O’Dooley si guarda intorno, soddisfatto. Gli piacciono tanto quelle cure, quanti bei ricordi… C’è un bel tepore e la luce e gli altri cavalli e i suoni familiari. Il profumo del fieno è ancora più buono. Il cuore è contento, ma le gambe non rispondono più. Con fatica si stende. «Guarda che O’Dooley non è più nel prato, è nel box in fondo», mi dice la ragazza quando la incontro perché lo sto cercando. Mi illudo per un attimo, quando lo vedo. Così pulito, col pelo brillante e lucido, è ringiovanito. E’ ancora così bello, penso. Non può essere il suo ultimo giorno. Il bel muso intelligente mi guarda intenso. E’ sdraiato, ora. Non riesce ad alzarsi. Ha capito. Mi accuccio e gli porgo gli zuccherini, le mele, le carote, il fieno. Intanto lo accarezzo piano piano. E’ lui che mi sorprende, ancora una volta. Pian piano, con gentilezza per non farmi male, lui che è così grande, appoggia la testa sulle mie ginocchia. «Fammi ancora una carezza», sembra mi dica. Lo sguardo è intenso. Risento una dolcezza acquietata e antica. Lascio andare il tempo. Il suo respiro diventa lento e profondo, quasi un sospiro. Si abbandona, con la stessa fiducia, fatta di amore e nostalgia, che ho sentito in mia madre quando mi è morta tra le braccia.

Mi scorre tra le mani la stessa commozione, mentre sento la tristezza irreparabile di un altro addio. Ha capito. Non sarà un concorso. E’ arrivato il momento di portarlo in clinica. Si alza con fatica, lentamente va verso il trailer. Vanno e vengono i cavalli, in una scuderia dove si fanno tanti concorsi. Chi non è in gara, se ne sta tranquillo nel suo box. Quel giorno esce solo lui. Prima di salire, guarda un’ultima volta la scuderia. E lancia un nitrito, basso e lungo. La voce di O’Dooley, sempre così calma, dice qualcosa di particolare, di speciale. Tutti i cavalli alzano la testa attenti. E nitriscono. Un brivido ci prende. Non succede mai. Tutti gli hanno detto addio, in quel giorno grigio e senza più tempo.

Addio O’Dooley. Un ultimo zuccherino e una sedazione serena, senza più dolore. Penso che tutti dovremmo morire così, accompagnati, con una carezza dolce e un sospiro. Non soli e disperati nelle rianimazioni. Forse dovremmo avere le stanze affettuose degli addii, anche negli ospedali. Come a casa, per chiudere gli occhi abbracciati a chi ci ama. Se Dio esiste, e avrà misericordia, forse mi farà ritrovare anche i dolci cavalli che ho amato, per correre e ridere felici, nelle immense praterie dell’infinito.




Regina D'Autunno

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Re:Senescĕre
« Risposta #6 il: Aprile 27, 2021, 21:18:16 »
Io faccio mia una frase di Kirk Douglas nel film "Ulisse": "Nascere, morire e nell'intervallo vivere da uomo". La giovinezza è importante perchè si cominciano ad avere dei valori morali, mentre invecchiando quei valori diventano esperienze da insegnare agli altri, magari ad altri giovani che hanno bisogno di certezze che solo una persona "anziana" può dare.

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Re:Senescĕre
« Risposta #7 il: Aprile 29, 2021, 22:12:22 »

 


Lo scrittore brasiliano Mario De Andrade (1893 - 1945) nella sua poesia titolata "Ho contato i miei anni", dice fra l'altro: "Se conto i miei anni mi sento come quel bimbo cui regalano un sacchetto di caramelle: le prime le mangia felice e in fretta, ma quando si accorge che gliene rimangono poche comincia a gustarle lentamente.

Non ho più tempo per sopportare le persone assurde, gli invidiosi che cercano di screditare i più capaci per appropriarsi del loro talento e dei loro risultati.

Ho poco tempo per discutere di beni materiali o posizioni sociali.

Adesso voglio vivere non tra chi vanta i suoi lussi e le sue ricchezze, ma con gente che desidera vivere con onestà e rettitudine.

Solo l'essenziale è ciò che fa sì che la vita valga la pena di viverla.

Si, ho fretta di vivere con intensità che la maturità ci può dare.
Non intendo sprecare neanche una sola caramella di quelle che mi restano nel sacchetto".

Doxa

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Re:Senescĕre
« Risposta #8 il: Aprile 29, 2021, 22:22:23 »
Per concludere vi faccio leggere un’intervista rilasciata dal prof. Umberto Veronesi, noto oncologo, circa un anno prima di morire

Che cosa rimane della vita a 90 anni ? "A volte il desiderio di morire".

Novant'anni, una data da festeggiare? "Certo. Lo farò con tutta la mia famiglia. Siamo una tribù di quasi trenta persone, dai novanta ai due anni. Un'era geologica".

"Quando sei giovane non pensi alla vecchiaia e man mano che invecchi il confine fra "giovane e anziano" si sposta sempre più in là. Semmai si pensa alla morte, questo sì. Io ci ho pensato molto perché sono un sopravvissuto. A diciott'anni in guerra sono saltato su una mina e sono rimasto vivo per caso. O per miracolo, qualcuno direbbe. Da allora ogni giorno di vita per me è una conquista. Ho deciso che avrei colto la bellezza dell'esistenza a piene mani, finché vita ci fosse stata. E così è avvenuto. Non mi sono fatto mancare nulla".

Lei ha detto: se esiste il diritto alla vita, esiste anche il diritto di morire. Si chiama eutanasia. Sarebbe pronto a farvi ricorso? "Senza la minima esitazione. Se una malattia mi privasse della mia dignità di persona chiederei l'eutanasia. Ho fatto anche il testamento biologico che contiene le mie volontà sulla fine della mia vita, in caso mi accadesse di essere incapace di esprimerle di persona".

È sicuro di non essere sfiorato in alcun modo da un ripensamento sull'abbandonata fede?
"Perdere Dio mi ha obbligato a cercare valori morali dentro di me. Sono sufficienti a darmi forza. L'impegno etico è la sola cosa che mi ha lasciato Dio. Non ho avuto e non avrò alcun ripensamento, ma ho continuato a studiare le religioni. È un viaggio affascinante che aiuta a capire la storia, perché le religioni sono il risultato delle circostanze e della cultura di un popolo in un determinato periodo".

La religione ai tempi della sua adolescenza era l'unica cornice della vita. L'avvertiva addosso?

"Non mi pesava perché rientrava nei riti familiari di mia madre, una donna che io adoravo incondizionatamente. I suoi gesti mi rassicuravano: recitare il rosario, preparare la tavola, mettermi a letto con lo scaldino per i piedi, accendere una candela in chiesa. Quando ho sviluppato un mio senso critico e la cornice ha iniziato a gravarmi, l'ho subito abbandonata. Mia madre ci ha parecchio sofferto, ma mi ha capito".

Come laico ha mai cercato di costruirsi un suo Dio privato e succedaneo oppure, per dirla con Nietzsche, Dio è morto e nulla più? "Sto con lo scienziato Peter Atkins, che dice che Dio non è mai esistito".

Se si guarda indietro, qual è il suo più grande senso di colpa?
"Non aver fatto abbastanza per salvare l'umanità dal cancro".

Meglio Derrida: imparare a vivere significherebbe imparare a morire, a considerare, per accettarla, la finitezza assoluta della vita, senza salvezza, resurrezione o redenzione. O Cioran: chiunque non muore giovane presto o tardi se ne pentirà.

"Derrida dalla prima all'ultima parola. Vivere più a lungo permette di produrre più idee e le idee rappresentano la nostra immortalità. Il senso della vecchiaia è questo. E il senso della vita, in fondo".

Un'altra sua citazione: mi preparo a morire senza accorgermene. Che cosa significa?


"Considero la morte un dovere e un imperativo biologico. Fin da ragazzo ho pensato che la vita deve finire e non ha alcuna dimensione metafisica. Chi crede nella finitezza assoluta della vita è sempre pronto a morire. Non c'è da perdonare né da chiedere perdono dei peccati o redimersi per garantirsi un buon soggiorno nell'aldilà. Se le nostre idee sono la nostra immortalità, con la nostra vita di pensiero, ogni giorno ci prepariamo a morire".

La sua definizione di vecchiaia?
"La vecchiaia del corpo è un massacro. Quella della mente no, se si è fortunati".

Quando ha cominciato a dirsi oggi sono diventato vecchio? Voglio dire, quando comincia l'età della nostra manutenzione?

"La manutenzione del corpo c'è sempre, o almeno dovrebbe esserci, ma mentre da giovane è un dettaglio della vita, da vecchio diventa un'attività prioritaria. La vecchiaia è anche questo: il corpo che non sta più dietro alla mente".

Quali sono i privilegi degli anziani, se ne esistono?

"Il potersi esprimere liberamente senza paura di rovinarsi la carriera, il matrimonio, la famiglia, i rapporti sociali profittevoli".

Tutto si perde, restano solo i ricordi?

"Sì. Dell'infanzia il sorriso di mia madre Erminia, il calore dell'amicizia degli animali. Degli anni della guerra le urla di dolore dei moribondi, gli sguardi increduli dei soldati di fronte alla follia della violenza. La prima donna che ho baciato, non rammento chi fosse, ma ricordo il suo profumo e la sensazione dello sbocciare di un sentimento. Il primo grande dolore, la morte di mio padre, Francesco. Avevo sei anni. Le persone scomparse delle quali continuo a evocare il nome, un gesto, le forme del viso o del corpo: mia madre, mia sorella Franca, i miei fratelli Pino, Lino e Antonio, Don Giovanni il prete-filosofo di campagna. Intorno ai diciotto anni ho vissuto sesso, amore e dolore. La mia vita è continuata così, in sovrapposizione permanente ".

Qual è il tempo più crudele?
"Quando si perde la lucidità, a qualsiasi età avvenga".

Ha finto spesso di essere felice? "Più che felice, ho finto di essere ottimista, per dare speranza ai miei malati".

Pensa di essere riuscito a dare un significato al suo passaggio su questa terra?

"L'esistenza in generale non ha alcun senso. La terra è un granello in un universo indifferente, è destinata a scomparire per la seconda legge della termodinamica. Eppure ho cercato anch'io di dare un senso alla mia vita e l'ho trovato nel trasmettere un pensiero che spero possa contribuire al miglioramento concreto delle generazioni future che per circa due milioni di anni ancora vivranno su questo pianeta".

Quali sono i traguardi raggiunti di cui va orgoglioso?

"I progressi nel controllo del cancro prima di tutto e poi qualche battaglia vinta nell'avanzamento civile e sociale. Come la fecondazione assistita, per fare un esempio. Poi ho creato, con l'aiuto di molte persone straordinarie, delle istituzioni, che, spero, terranno vive molte delle mie idee. L'Associazione italiana per la ricerca contro il cancro, l'Istituto europeo di oncologia e la mia Fondazione per il progresso delle scienze".

Lei è stato spesso, diciamo così, un provocatore: dalla chirurgia sul seno all'eutanasia, dal nucleare agli Ogm, dalla posizione sull'ergastolo fino al riconoscimento parziale delle ragioni dell'Is. Mai un pentimento?

"Nessuno, quelli che lei cita come se fossero errori sono stati gli impegni scientifici e civili più importanti della mia vita. Non sono un provocatore a meno che per provocare si intenda indurre a una visione diversa delle cose che si distacca dai luoghi comuni e dalle posizioni più popolari. Pensi che non sopporto neppure lo scontro verbale dei talk show. Mi sento piuttosto un anticonformista e credo di averlo dimostrato pagandone le conseguenze, venendo preso di mira da critiche feroci. Vede, c'è un doppio fil rouge che lega tutte le mie lotte di pensiero. Il primo è il bisogno di infrangere i retaggi e le verità acquisite per sviluppare un sistema di idee e valori propri. Il secondo è la convinzione che tutti i fenomeni hanno una causa e solo agendo sulle cause si possono risolvere anche le situazioni più dolorose e tragiche. Questo è anche il senso delle mie parole sull'Is. Opporre violenza alla violenza non fa che alimentare una spirale di sangue, morte e paura. Esattamente ciò che l'Is vuole. Occorre invece capire le ragioni della follia jihadista e su queste intervenire dopo averle, non legittimate, ma decodificate".

Che cosa resterà di noi dopo la morte? Non saremo più nulla com'era prima di nascere?


"Noi non saremo più nulla ma rimarranno le nostre idee. Ce l'ha insegnato Socrate che infatti resta nel nostro pensiero anche dopo duemilaquattrocento anni".

Quali sono stati i suoi comandamenti privati?

"Credo nella libertà, nella giustizia, nella solidarietà e nella tolleranza".

E la sua fedeltà assoluta?

"Al principio dell'autodeterminazione della persona".

Siamo noi ad avere una vita o è la vita che ci possiede?

"Siamo parte di un disegno biologico codificato nel nostro Dna che ci impone di conservarci, riprodurci e poi morire ".

L'aldilà è dell'anima o del pensiero?

"Non c'è aldilà. Il pensiero può sopravvivere al corpo ma in modo immanente. Il nostro pensiero può continuare a vivere sulla terra attraverso chi ci pensa".

Ricordo una sua battuta: "Ti annuncio che sono moribondo". Perché? "In questi giorni non ho voglia di fare l'amore".
In una classifica personale delle priorità in quale posizione mette il sesso?


"Altissima. Il sesso è un'espressione vitale positiva e irrinunciabile. Oltre a essere, lo ripeto, un imperativo del Dna, che ci ordina di riprodurci".

È stato più Casanova o più Don Giovanni? "Casanova. Ho sempre amato l'eterno femminino".