Imitazione per sapersi integrare con gli altri.
A Roma, una ricerca effettuata dal dipartimento di psicologia dell’Università “La Sapienza” ha permesso di ideare un nuovo metodo per rafforzare l’imitazione automatica delle emozioni, che umani e primati fin dalla nascita mostrano con la tendenza innata a imitare le espressioni facciali altrui.
La “facial mimicry”, l'imitazione automatica delle emozioni facciali di un altro individuo, è un meccanismo alla base del riconoscimento delle emozioni e del contagio emotivo, forme basilari di empatia che precedono quelle più complesse. Tale abilità è modulata da fattori sociali come l’appartenenza al gruppo, la familiarità, la cooperazione o competizione. Essa inoltre è associata a cambiamenti fisiologici e neurali prodotti dall’effettiva esperienza emozionale dell’osservatore e modulata dai tratti empatici dello stesso. Questa risposta è ridotta e/o rallentata nell’autismo e nella schizofrenia, condizioni caratterizzate tra l’altro da difficoltà empatiche e di riconoscimento delle emozioni altrui.
Le capacità di apprendimento sono la parte emergente di molte competenze che si acquisiscono fin dalla prima infanzia, come l’esperienza motoria, lo sviluppo della percezione sensoriale, le abilità manuali, la capacità di adattamento all’ambiente circostante, ecc..
Soprattutto nei primi anni di vita, imparare a “stare insieme” ha un’importanza fondamentale. Le opportunità di gestire le emozioni e di comunicare con gli altri influenzano considerevolmente la scolarità del bambino. È quindi importante darsi il tempo per conoscere dapprima sé stessi, esprimere a parole ciò che si sente, assumere ruoli diversi (ascoltare per essere ascoltati, guardare per essere guardati, ecc….). Sapersi avvicinare agli altri e toccarsi con rispetto sono le chiavi per la convivenza futura.
L’antropologo franco-statunitense René Girard con la sua “teoria mimetica” assegna all’imitazione un ruolo determinante nelle azioni e nelle scelte degli individui.
L’imitazione motiva il singolo a guardare con interesse, spesso empatico, qualcuno che appare più riuscito in qualche aspetto particolare della vita.
Le ricerche sui neuroni specchio hanno identificato la base fisiologica dei comportamenti imitativi, senza per questo giustificare la sovrapposizione semantica tra imitazione e copia.
La copia esclude la rielaborazione soggettiva. In ambito sociale l’equivalente della copia è il conformismo sociale, che induce a replicare, a mettere tra parentesi il perseguimento di obiettivi e aspirazioni personali.
Invece l’imitazione si sviluppa tramite rispecchiamento, il mirroring, termine inglese che deriva da mirror (= specchio) usato nell’informatica per indicare la duplicazione dei dati su più dischi fissi, invece in psicologia il mirroring è una tecnica che mira a riprodurre la comunicazione sia verbale sia non verbale del soggetto che ci sta di fronte, al fine di creare un rapporto di sintonia e di empatia. E’ come se noi ci specchiassimo nel suo modo di agire. E’ uno specchiamento emotivo, tale da farci sentire attratti dal vissuto altrui, e tale da attivare la comprensione empatica.
Lo storico e insegnante di retorica Dionigi d’Alicarnasso (60 a. C. – 7 a. C.), è noto per aver scritto “Antichità romane”, ma fu autore anche di alcuni trattati di retorica, fra i quali quello “Sull’imitazione”, giunto a noi in pochi frammenti, nei quali evidenzia la necessità di coniugare insieme e in maniera consapevole “mimesis” (imitazione) e “zèlos” (emulazione).
L’emulazione fa dell’imitazione un modo per integrare la propria esistenza con quella di altri. Un passaggio obbligato, non limitato alla fase infantile, per strutturare in modo dinamico la propria identità e poter diventare riferimento per altri. Ciò necessita di intelligenza e talento, indispensabili per scegliere chi, come, quando e in che misura imitare.