In questa mattina volutamente lenta in cui mi ritrovo a scrivere sul mio pc ancora a letto, immersa tra piumoni e con un maglione con il mio nome, penso alla paura.
Quando ero una ragazzina per un'estate intera ho esplorato i dintorni di un ponte pericolante, non sono certa in realtà che fosse un ponte ma era qualcosa che ci assomigliava molto: una corda abbastanza solida ad una certa altezza attaccata ad altre due più in alto che funzionavano un po' da scorrimano ecco.
Quell'estate più di tante altre mi ha fatto capire cos'è la paura e cosa ne deriva.
Ricordo perfettamente il primo passo, io che guardavo di sotto, il vuoto per una ventina di metri, il verde dell'erba alta e il duro delle rocce.
Ricordo perfettamente l'aria e il profumo di quel luglio, il respiro profondo che facevo prima di mettere la prima superga bianca sulla corda, la tensione e l'eccitazione che percorreva ogni nervo del mio corpo da dodicenne.
Quello che ho capito negli anni a seguire è che da grande la paura si dispone sotto i nervi, non scorre più palese, visibile, ma fluisce sotterranea, si traduce nella paura di cambiare lavoro, di fare un figlio, nella paura di lasciare o rinnamorarsi, nella paura di fare scelte che stravolgono la propria vita, nella paura di essere totalmente e completamente se stessi senza corde di sicurezza.