Crono, Medea: dalla mitologia alla psichiatria.
Crono, chiamato Kronos dagli antichi Greci e Saturno dai Romani.
In ambito psicologico è citato nella cosiddetta “sindrome di Crono”; la versione femminile è detta “sindrome di Medea”.
La cosiddetta "
sindrome di Crono" induce il padre ad uccidere i figli, a volte sopprime anche la moglie, poi si suicida.
La “
sindrome di Medea”, invece, allude alla madre che uccide i suoi figli, e a volte poi si uccide.
Le due tragedie, maschile e femminile, scaturiscono da varie motivazioni.
Secondo la cosmogonia greca, a Crono fu profetizzato che uno dei suoi figli lo avrebbe privato del potere e sostituito, perciò iniziò a divorarne uno alla volta. La moglie Rea riuscì a porre in salvo solo Zeus, il sestogenito, trasferendolo nell'isola di Creta.
In ambito psicologico la “sindrome di Crono” allude al timore, alla paura di un uomo di essere sostituito da un altro nel ruolo di marito e padre nella famiglia che ha creato. La tensione, lo stress può innescare il tentativo o l’atto di “sabotare” la moglie uccidendo i figli.
Francisco Goya, “Saturno che divora suo figlio”, 1821 – 1823, museo del Prado, Madrid
Il dipinto raffigura Crono con lo sguardo allucinato in preda alla foga cannibalesca mentre divora uno dei suoi figli appena nati. La violenza diventa energia del male.
Medea nella mitologia.
Giasone, marito di Medea, preferisce abbandonare la moglie per convivere con Glauce, figlia di Creonte, re di Corinto. Medea si dispera, ma Giasone è ingrato e indifferente al dolore della donna, la quale si adira e medita la vendetta. Con un particolare veleno riesce ad uccidere Glauce e Creonte.
Euripide narra che la vendetta di Medea continuò. Dopo angosciosa incertezza uccise i suoi figli, avuti con Giasone, per farlo soffrire atrocemente e non dargli la discendenza.
Eugène Delacroix, “Medea”, 1862, Museo del Louvre, Parigi
Il viso di Medea è in penombra, stringe il pugnale, afferra con forza i figli, volge lo sguardo altrove.
Delacroix dipinse Medea in tre versioni: la prima, conservata al Museo di Lille, è del 1838; la seconda, del 1859 e nella Staatsgalerie di Berlino; l’ultima versione, del 1862, è al museo del Louvre.
Per la criminologia clinica, la “sindrome di Medea” coinvolge la madre che ha problemi conflittuali con il partner. La donna per scaricare la sua aggressività e frustrazione può arrivare ad uccidere il figlio o i figli, come simbolico strumento di potere e di rivalsa sul coniuge. Comportamento finalizzato alla distruzione del rapporto tra padre e figli dopo le separazioni conflittuali: così l’uccisione diventa simbolica; si mira a sopprimere il legame coniugale e la distruzione della famiglia.
Dal punto di vista psicologico, nel momento dell’uccisione del figlio, la madre raggiunge l’apice del delirio di onnipotenza e si considera giudice di vita e di morte.
A volte la madre si uccide insieme ai figli, drammatica conclusione di situazioni di sofferenze, di violenze psicologiche, di incomprensioni, di abbandoni.
Euripide fa dire a Medea: “Non si può giudicare in modo obiettivo quando ci si sofferma soltanto all’apparenza: bisogna conoscere l’animo di una persona e non odiarla a prima vista”.