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interno del duomo (tempio malatestiano)
Entrando nella chiesa, sulla destra c’è la prima cappella gentilizia, dedicata a San Sigismondo, re di Borgogna. Fu iniziata nel 1447 e compiuta nel 1452. In questa cappella c’è la tomba di Sigismondo Pandolfo Malatesta, morto nel 1468. Fu signore di Rimini e di Fano dal 1432 al 1468.
Nella seconda cappella di destra, dedicata a San Michele, c’è il monumento funebre di
Isotta degli Atti, "forma et virtute Italie decori" (decoro d'Italia per bellezza e virtù); era nata a Rimini nel 1432.
Nel 1447 la bella adolescente fu notata, corteggiata ed amata segretamente da Sigismondo Pandolfo Malatesta, allora ancora sposato. In quello stesso anno nacque il loro primo figlio, morto alcuni mesi dopo.
La relazione “clandestina” tra i due divenne pubblica nel 1449, anno in cui morì la seconda moglie di Sigismondo, Polissena Sforza, sposata per alleanza politica con gli Sforza di Milano.
Il matrimonio tra Sigismondo ed Isotta fu celebrato nel 1456.
Dalla loro unione nacquero altri figli.
Isotta governò la città di Rimini dapprima per conto del marito caduto in disgrazia in seguito al contrasto con il pontefice Pio II, poi, rimasta vedova nel 1468, in nome del figlio Sallustio, ucciso l'anno successivo per ordine di Roberto Malatesta, figlio illegittimo di Sigismondo Pandolfo, il quale assunse il controllo della città.
Isotta morì nel 1474 e fu sepolta nel Tempio Malatestiano, come già detto, nella cappella gentilizia dedicata all’arcangelo Michele.
La statua dell'arcangelo è di Agostino di Duccio, autore anche degli angeli alati che giocano e suonano nei riquadri dei pilastri dell'arcone di ingresso.
Sulla parete sinistra c’è il sarcofago di Isotta degli Atti, sorretto da due elefanti porta-stemma e sormontato da un padiglione marmoreo, sovrastato dal cimiero malatestiano, tra teste d'elefante alate recanti cartigli, sui quali anche il sapienziale motto biblico “
Tempus loquendi, Tempus tacendi“, inciso su due fasce alla sommità del padiglione.
tomba di Isotta degli Atti
Il motto deriva dall’Ecclesiaste o Qohélet, nel quale c’è scritto, in ordine di successione, che nulla di nuovo c’è sotto il sole; che è inutile cercare di capire il senso delle cose accadute nel mondo; che "per ogni cosa c’è il suo momento": ed è qui che incontriamo l’elenco dei "tempi", a cui appartiene il motto citato. C’è il tempo di piangere, e quello di ridere, quello del lutto e quello per la baldoria. Anche la gloria è fugace, non è quel sogno d’immortalità che un condottiero pensa per sé e proietta nel futuro. "Sic transit gloria mundi" sembra ripetere anche il motto di Qohélet.
"Tutto è come un soffio di vento: vanità, vanità, tutto è vanità".