Autore Topic: Speranza  (Letto 591 volte)

Doxa

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Speranza
« il: Agosto 25, 2020, 15:23:27 »
Non è mia “costumanza” scrivere aforismi. Oggi ve ne offro uno di tipo religioso.

Ma prima vi dovete subìre la mia “lamentatio”:D

L’aforisma l’avrei voluto inserire in altra sezione con il mio commento, ma questa è inesistente. Mister Blue è insensibile al mio grido di dolore, alle mie ripetute richieste di inserire due nuove sezioni: una dedicata alla religione ed un’altra alla psicologia, in sostituzione delle due più “trascurate”, quella dei “premi letterari”  e l’altra all’enogastronomia”. Perciò scrivo qui.

Questo è l’aforisma: “La speranza riesce a farti vedere la luce nel buio”.

E' un aforisma breve, banale, vuol significare che la speranza è il sentimento che aiuta a “vedere” la metaforica luce in fondo all'oscuro tunnel. 

Aprirsi alla speranza e attendere. La notte non è per sempre, l’alba arriverà,  anche se non si sa quando.



“Shomèr ma mi-llailah ?”, questa frase in lingua ebraica significa  “Sentinella, quanto resta della notte ?”, la domanda allude alla fine del dolore, del male e l’arrivo del nuovo giorno. Il versetto è in Isaia (21, 11)

Chi è falso profeta non dà speranza, conferma che  è notte e non dice che seguirà l’alba.  Eternizza il buio, annulla l’attesa,  la speranza, la fede, l’eskaton, l’ escatologia: è il ramo della teologia dogmatica che si occupa delle realtà ultime e definitive della vita dell’uomo e dell’esistenza del mondo. Infatti la parola greca tà èskata indica le cose ultime. Essa verte sul compimento della salvezza e della speranza cristiana.  Ma “Quid ad aeternitatem?”:  “Cosa giova per l’eternità ?”

Il pontefice Giovanni Paolo II  disse che l’uomo moderno ha tolto la “D” a Dio, sostituendolo con il proprio Io, che può indurre all’individualismo esasperato,  all’utilitarismo: ciò che non è utile per vivere qui e ora, è scartato e gettato.

Doxa

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Re:Speranza
« Risposta #1 il: Agosto 25, 2020, 17:16:01 »
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Nella mitologia greca Elpìs era la personificazione della speranza.

Dalla classicità greca  ci viene la considerazione della speranza come consolazione nelle avversità o in un bene futuro che superi il male.

Il poeta greco Esiodo (metà VIII secolo a.C. – VII secolo a.C.) nelle “Le opere e i giorni” scrisse che la speranza era tra i doni custoditi nel vaso regalato a Pandora: questo nome in greco significa “tutti i doni”; la parola è composta dall’aggettivo “pas” (= tutto) + “dòron” (= dono). 

Il mito narra che Pandora fu creata dal dio Efesto. Ella  ebbe l’ordine di non aprire mai il vaso regalatole, ma spinta dalla curiosità lo aprì  facendo uscire tutti i mali. Soltanto Elpis (la speranza) rimase dentro perché lei  richiuse il vaso.

Nella mitologia romana l'equivalente dell'Elpis è la “Spes” (= speranza). Venne onorata come una dea sin dai tempi più antichi. Soprattutto nel periodo dell'impero  il culto della dea assunse  un valore politico rappresentando l'attesa di una felice successione imperiale. A cominciare dall’imperatore Claudio, che fece raffigurare la dea sulle monete in occasione della nascita del figlio  Britannico.


 moneta coniata durante il governo dell’imperatore Claudio con la raffigurazione della Spes.

Con l’imperatore  Antonino Pio alla Spes fu dato  un valore religioso. In una serie di monete fece riprodurre le sembianze della moglie Faustina, raffigurata  come la diva Spes: una giovane donna che incede, sollevando l'orlo della veste con un bocciolo di fiore nella mano destra. Simbolicamente significa che l'azione benefica di Faustina continuava anche dall'aldilà per coloro che speravano in lei.

Con gli imperatori cristiani la Spes non venne più rappresentata secondo l’iconografia  pagana ma religiosa. I primi cristiani la speranza la dipingevano come un'àncora che affonda saldamente nella riva dell'aldilà.



La speranza fondata sulla “parola” di Dio è come un'àncora che dà fermezza al credente, egli è certo di appartenere a lui.

La simbolica àncora cristiana per la sua forma fu usata anche come significante che evoca la croce di Gesù.

L'àncora, unita al simbolico pesce, indica la fede del credente nella risurrezione.


Nel Siracide (34, 13) la speranza d'immortalità trova certezza in Dio: “Lo spirito di coloro che temono il Signore vivrà, perché la loro speranza è posta in colui che li salva”.

La speranza cristiana. Per la dottrina cristiana la speranza è una delle tre virtù teologali: le altre due sono la fede e la carità. Furono elencate da Paolo di Tarso nella prima lettera ai Tessalonicesi : “L’impegno nella fede, l’operosità nella carità, la costante speranza” (1, 3).

Nella prima lettera ai Corinti l’apostolo Paolo scrisse: “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza, la carità, ma la più grande di esse è la carità”. (1 Cor. 13, 13) Tali virtù sono dette teologali perché fanno riferimento a Dio (Theos).  Le virtù teologali caratterizzano l’agire morale del cristiano.

La speranza è fiduciosa attesa di un bene  desiderato, unita al timore per la sua mancata realizzazione. Viene espressa con le virtù della pazienza e con quella dell'umiltà, che fa accettare il  volere divino.
« Ultima modifica: Agosto 25, 2020, 18:22:28 da Doxa »

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Re:Speranza
« Risposta #2 il: Agosto 25, 2020, 17:47:59 »
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Gli eventi negativi nella vita motivano alla “di – sperazione” e non alla speranza, come confessa nel veterotestamentario “Libro di Giobbe” l’omonimo patriarca, la cui fede è messa alla prova da parte di Dio: “I miei giorni scorrono veloci come una spola, svaniscono senza un filo di speranza … La mia speranza dov’è nascosta ? Qualcuno ha intravisto la mia felicità ?” (7, 6; 17, 15).

L’apostolo Paolo usa due vocaboli greci per descrivere la speranza:

elpìs”, che col relativo verbo risuona 86 volte nel Nuovo Testamento;

hypomoné”, che evoca l’idea di un “rimanere sotto” un peso da reggere, ma con la certezza che giungerà la sosta per sgravarsi dal peso.

La speranza è collegata con l’attesa e la pazienza. Significativa è al riguardo la parabola del grano e della zizzania:

“Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania.  Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?  Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio” (Mt 13, 24 – 30).

Forte è la tentazione di reagire con ira, irrompendo e devastando la zizzania ma con essa anche il grano. La speranza è, invece, fermezza pacata e misurata, che sa attendere il tempo in cui Dio interverrà col suo giusto giudizio, per chi crede in lui. 

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Re:Speranza
« Risposta #3 il: Agosto 25, 2020, 18:10:46 »
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Nel secondo post ho scritto che nella mitologia romana, l'equivalente della greca Elpìs era la dea Spes, tradizionalmente definita “Spes ultima dea”, espressione passata nel detto popolare “la speranza è l'ultima a morire”, perché considerata l'ultima risorsa e consolazione per l'umanità.

A Roma, nell’antichità furono costruiti due templi dedicati alla dea Spes: uno era sul colle Quirinale, nel “Vicus Longus”, l’attuale “via Nazionale”, un altro nel “Foro Olitorio”, fatto costruire dopo la prima guerra punica dal console Aulus Atilius Calatinus (Aulo Atilio Calatino).

Nel Forum Holitorium (mercato per la vendita di frutta e verdura) c’era una zona sacra con tre tempietti, dedicati rispettivamente agli dei Giano, Speranza e Giunone Sòspita. Erano allineati con lo stesso orientamento tra l’attuale sede stradale ed il vicino fiume Tevere, ma è incerta  l’attribuzione della loro posizione.


Ricostruzione della posizione dei tre templi nel Foro Olitorio. In alto a sinistra  la parziale sagoma del teatro di Marcello.


ricostruzione ideale dei tre templi



Resti visibili delle colonne perimetrali di uno dei tre templi sono murati nel  lato sinistro della chiesa dedicata a San Nicola di Mira,  poi denominata  basilica minore di San Nicola in Carcere, perché  nel Medioevo fu anche utilizzata come prigione (vedi foto in basso).
Questa chiesa fu edificata su gran parte del tempio che era al centro.
 

Veduta esterna della chiesa di San Nicola in carcere
« Ultima modifica: Agosto 25, 2020, 18:16:55 da Doxa »

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Re:Speranza
« Risposta #4 il: Agosto 25, 2020, 18:27:31 »
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Nel passaggio dall’Elpìs greca alla speranza cristiana attraverso la fede vetero-testamentaria ha rilievo Filone Alessandrino, un dotto ebreo contemporaneo di Gesù, ma nato ad Alessandria d’Egitto. Egli commentò l’Antico Testamento secondo la filosofia platonica.

Nel mitologico e filosofico “demiurgo” esposto da Platone nel “Timeo” come essere divino dotato di capacità creatrice e generatrice, Filone vide il Dio creatore ebraico, anche se il demiurgo platonico è un dio ordinatore e non generatore.

Filone pose, fra l’altro, le basi per la metafisica della speranza, ontologicamente associata all’agire umano: senza speranza di guadagno il negoziante non si darebbe da fare, senza speranza di vittoria l’atleta non si impegnerebbe nelle gare, ecc..
Egli fece propria la definizione della elpìs (speranza) come “prosdokìa agathòn” (= “attesa dei beni”) e la contrappone alla paura, come “attesa di mali”.

Definisce la speranza come “gioia prima della gioia, e, seppure imperfetta rispetto alla gioia piena, è tuttavia superiore a quella che deve giungere, per due aspetti: allevia l’ansia e le preoccupazioni; annuncia in anticipo l’arrivo del bene” (in “I premi e le pene”, 161).

In un altro suo elaborato Filone afferma che “…il bene è accompagnato dalla gioia; quando è atteso è accompagnato dalla speranza. Se è arrivato ce ne rallegriamo, se deve arrivare lo speriamo…” (in “Il cambiamento dei nomi e perché avviene”, 163). Dunque, come la paura è una sofferenza prima della sofferenza, così la speranza è una gioia prima della gioia”.

Agostino, vescovo d’Ippona nel suo “Commento ai Salmi” dice che Dio ha promesso il bene: “E’ perché hai promesso che mi hai fatto sperare” (118, 15, 1), ed aggiunge: “La nostra speranza è così certa che è come se già fosse divenuta realtà. Non abbiamo infatti alcun timore, poiché a promettere è stata la Verità, e la Verità non può ingannarsi né ingannare” (123, 2).

Inoltre, nelle “Confessioni”: “Ogni mia speranza è posta nell'immensa grandezza della tua misericordia. Dammi quello che comandi e poi comanda ciò che vuoi” (10, 29, 40).
« Ultima modifica: Agosto 25, 2020, 19:04:12 da Doxa »

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Re:Speranza
« Risposta #5 il: Agosto 25, 2020, 19:03:36 »
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“Spe salvi facti sumus”: nella speranza siamo stati salvati, dice Paolo di Tarso nella “Lettera ai Romani” (8, 24)

Spe salvi” è il titolo della lettera enciclica che scrisse il precedente pontifex, Benedetto XVI, e pubblicata  il 30 novembre 2007. Nell’enciclica dice che la speranza è un dono della fede, agisce nel presente come certezza dell’avvenire e fiducia che la propria vita non finisce nel nulla.

La speranza cristiana aiuta il fedele ad affrontare la quotidianità, accettata nella convinzione della meta finale nel regno di Dio. E’ speranza individuale ma anche comunitaria fra credenti in Gesù.

Papa Francesco dice che la speranza è fiduciosa attesa della rivelazione del Figlio di Dio. “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16, 22).

L’umanità ha bisogno di sperare. La speranza dà la forza per lottare, vivere, fare progetti, raggiungere delle mete.

I cristiani sono convinti che la speranza si possa apprendere tramite la preghiera, perché Dio ascolta le loro invocazioni.

Agostino, vescovo d’Ippona, in una sua omelia sulla “Prima Lettera di Giovanni” definisce la preghiera un esercizio del desiderio, confronto dell’Io con Dio.

Nell’esistenzialismo l’appello alla speranza è un punto centrale. Il filosofo e psichiatra tedesco Karl Jaspers nel suo libro “Sull’origine e senso della storia” dice che l’angoscia è il fondamento della speranza.

Nell’esistenzialismo francese il richiamo alla speranza generata dall’angoscia è frequente. Il filosofo Gabriel Marcel, esponente del cosiddetto esistenzialismo cristiano del XX secolo, ne “Le monde cassè” scrisse: “ La speranza, è quella che non dipende da noi [...], il cui fondamento è l'umiltà e non l'orgoglio, perché l'orgoglio consiste nel non ritrovare la forza in noi stessi”.

Il filosofo tedesco Ernst Bloch nella premessa a “Il principio Speranza” (pubblicato in tre volumi dal 1953 al 1959) dice che: “L'importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura, non è né passivo come questo sentimento né bloccato nel nulla.

Bloch sosteneva che speranza e utopia sono elementi essenziali dell'agire e del pensare umano. Esse offrono all’individuo la possibilità di anticipare quel futuro dove realizza la sua essenza.

La speranza non è solo un atteggiamento sentimentale, è certa nella soggettività ma incerta nell’oggettività, perché continuamente sottoposta al rischio; però la speranza è connessa con l’ottimismo, che dà la forza morale per superare l’incertezza, il rischio, per conquistare ciò che si desidera.

Ancora Bloch nel suo libro “Ateismo nel cristianesimo” scrisse: “Solo un ateo può essere buon cristiano, solo un cristiano può essere buon ateo”. Questo paradosso è considerato la sintesi tra la concezione marxista della speranza e la visione teologica cristiana.

Questo filosofo propone una nuova lettura e interpretazione della Bibbia secondo quella che egli chiama deteocratizzazione, l'eliminare cioè dai testi sacri tutto quello che viene attribuito a Dio come monarca trascendente, per eliminare la giustificazione di ogni sopraffazione del potere dell'uomo sull'uomo.

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Re:Speranza
« Risposta #6 il: Agosto 25, 2020, 20:00:03 »
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Nel “Canzoniere” di Francesco Petrarca c’è il sonetto titolato “Quanto più mi avvicino al giorno estremo”, col quale fa un bilancio della sua vita ed evidenzia il suo stato d’animo: " Il tempo fugge veloce e con lui si dileguano le speranze ingannevoli ed effimere"

"Quanto più mi avvicino al giorno estremo"

Quanto piú m’avicino al giorno extremo
che l’umana miseria suol far breve,
piú veggio il tempo andar veloce et leve,
e ’l mio di lui sperar fallace et scemo.

I’ dico a’ miei pensier’: Non molto andremo5
d’amor parlando omai, ché ’l duro et greve
terreno incarco come frescha neve
si va struggendo; onde noi pace avremo:

perché co·llui cadrà quella speranza
che ne fe’ vaneggiar sí lungamente,10
e ’l riso e ’l pianto, et la paura et l’ira;

sí vedrem chiaro poi come sovente
per le cose dubbiose altri s’avanza,
et come spesso indarno si sospira.


Petrarca dice che, quando si avvicinerà il giorno fatale della morte, si renderà conto dell'inutilità del tempo, nel quale non si può riporre speranza.

Nel sonetto Petrarca fa un soliloquio, riflette e afferma che con il corpo cadrà quella speranza (Laura) che gli porta il fuoco nella mente, e con l’annullamento dei sensi conseguenti alla morte del corpo, scompaiono  tutte le emozioni come la gloria, il riso, il pianto, la paura e la rabbia.

I versi del sonetto hanno un tono colloquiale e Petrarca  evidenzia due realtà entrambe negative: la misera condizione umana ed il giorno estremo, cioè la morte.

Invece Ugo Foscolo nel carme “Dei sepolcri”, dedicato a Ippolito Pindemonte afferma:

“Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme, / ultima dea, fugge i sepolcri; e involve / Tutte cose l’obblio nella sua notte;”.

Questo carme fu scritto dal Foscolo nel 1806 e pubblicato nella primavera del 1807 mentre il poeta era ospite dell’amata contessa Marzia Martinengo Provaglio, nel Palazzo Martinengo, a Brescia.

Il testo lo elaborò a seguito di una conversazione avuta con il letterato Ippolito Pindemonte nel salotto letterario veneziano di Isabella Teotochi Albrizzi, riguardo al problema, allora molto sentito, della sepoltura dei morti.

A seguito dell’editto di Saint-Cloud emanato da Napoleone I Bonaparte nel giugno del 1804, ed esteso al Regno d’Italia nel 1806, sulla regolamentazione delle sepolture,  il Pindemonte stava componendo un poema su “I cimiteri”.

L'editto stabiliva che le tombe dovevano essere poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali e senza iscrizioni. Si volevano così evitare discriminazioni tra i morti. Per i defunti illustri, invece, era una commissione di magistrati a decidere se far incidere sulla tomba un epitaffio. Questo editto aveva quindi due motivazioni alla base: una igienico-sanitaria e l'altra ideologico-politica.

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Re:Speranza
« Risposta #7 il: Agosto 25, 2020, 22:00:26 »
/8

La speranza è una virtù rischiosa, è fiduciosa attesa di un  bene che quanto più  desiderato tanto più colora l'aspettativa di  timore per la sua mancata realizzazione.

Noi pensiamo al possibile perché speriamo di poterlo realizzare, ma la realizzazione del progetto da esplicare secondo ragione, si scontra con l'indeterminatezza del futuro.

L’antico filosofo  Aristotele diceva che la speranza è un sogno ad occhi aperti,  un atto della volontà  tendente al raggiungimento di un bene futuro difficile ma non impossibile da realizzare.

Per Aristotele la speranza è un atteggiamento che cambia col mutare dell'età: nella giovinezza si manifesta in eccesso;  nella maturità è definita; nella vecchiaia gli individui sono amareggiati  sia dalle delusioni subìte nel passato  sia per i loro errori, perciò sono meschini, non pensano al futuro.   

Quando l'illusione sparisce, sotto i colpi d'ascia del dolore, del tempo e dell'ingiustizia, è il momento della speranza. Si  spera di essere riamato da chi si ama, nonostante la realtà non tenga conto delle illusioni, delle delusioni e delle speranze, come quelle giovanili, collegate agli innamoramenti estivi,  creduti  o sperati “per sempre”, invece destinati all’oblio alla fine della stagione.

L’innamoramento estivo è breve ma intenso. Non prevede serenate né madrigali alla ragazza attraente. Non c’è tempo per il corteggiamento tradizionale.

Durante la vacanza estiva le modalità dell’approccio vengono accelerate: spazio e tempo sono condensati. Via i fronzoli del corteggiamento normale. Si chiede subito: “Tu chi sei ?, sei disponibile ad accettarmi senza conoscermi a fondo ? Tu mi piaci: ci stai ?”  Lo sguardo può svelare un’intenzione, il desiderio, può far “volare” l’immaginario.
Se l’incontro supera la soglia del terzo giorno di erotismo, comincia il coinvolgimento affettivo, e la “coppia estiva” comincia a fare progetti sul prolungamento degli incontri dopo la vacanza.

Il tempo sembra non bastare mai per “riempirlo” di attimi da vivere. Nasce il desiderio di possedere foto ed oggetti della persona amata per ricordarla nel futuro.

Uno degli aspetti che spesso accompagnano la fine della stagione estiva è il rimpianto delle cose perdute, la tristezza del “lasciato per sempre”, la nostalgia per i luoghi e i tempi che ci hanno dato emozioni e speranze che illuminano la vita. Spazio e tempo sembrano diventare un istante eterno che si deposita nella memoria.

Nel sesto post ho citato il filosofo francese Gabriel Marcel il quale afferma che nel   rapporto di coppia la formula della speranza è: “io spero in te per noi”; cioè: io decido liberamente e responsabilmente di legare il mio futuro a te perché spero, ho fiducia che tu ed io, insieme, potremo avere un futuro nostro che sarà positivo, degno di essere vissuto!

Per creare il “Noi” è necessario l’amore nel rapporto del mio Io con un altro Io.

Nella formula di Marcel: “Io credo in te per noi” sono decisivi i pronomi personali: io–tu per portare a compimento la mia umanità nella sua capacità di responsabilità e di amore e questo richiede che di fronte a me ci sia‘ tu’: il soggetto che mi risponde con la sua libertà e che collabora con me per il compimento della nostra vita. In questo modo la speranza nella vita si specifica nella speranza che nasce da ogni rapporto umano significativo: la vita mi ha portato a contatto con te. Considero la tua presenza non come un impedimento alla mia crescita, tanto meno come una minaccia che può togliermi il mio ‘spazio vitale’; la considero un'opportunità che mi è data per portare a compimento quello che sono, per dare vigore al dinamismo che mi costruisce come persona, anche se l'autenticità è una conquista incerta, forse irraggiungibile. 



 

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Re:Speranza
« Risposta #8 il: Agosto 26, 2020, 11:57:09 »
Ma... Tutto a posto?

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Re:Speranza
« Risposta #9 il: Agosto 26, 2020, 12:49:09 »
Avresti preferito 8 post racchiusi in una poesia ?

Non sono un poeta!  ;D

Cosa aggiungeresti sulla speranza ?