Un altro amore adultero letterario fu quello tra la regina Ginevra e Lancillotto, il più valoroso cavaliere della “Tavola rotonda”: era un tavolo nel castello di Camelot attorno al quale sedevano i cavalieri a re Artù per discutere delle questioni importanti per il reame. Lo scopo della “Tavola rotonda” era quello di evitare conflitti di prestigio fra i partecipanti. Non essendoci nessun capo-tavola, ogni cavaliere (re compreso) aveva il suo posto uguale a tutti gli altri e anche Re Artù si sentiva come ogni altro cavaliere.
Lady Ginevra, moglie del re Artù, in alcuni testi è descritta con carnagione bianca e capelli biondi, in altri, con capelli neri, occhi verdi e fisicamente ben proporzionata. S’innamorò di Lancillotto, ricambiata dalla forte passione del cavaliere, che né le leggi morali, né la fedeltà al re e nemmeno la paura di essere scoperti poté separarli.
La loro relazione amorosa evoca le caratteristiche dell’amor cortese (compresenza di desiderio sessuale e virtù morali), in auge nell’XII secolo con i poeti nelle corti provenzali, i menestrelli di corte e i trovatori francesi in diverse regioni: oltreché in Provenza, anche in Aquitania, Champagne e nel ducato di Borgogna. Questa tradizione successivamente si espanse in Germania. Sopravvisse nel tempo tramite il “Dolce stil novo” dantesco e altri “Stilnovisti” che esaltarono la metafora della “donna-angelo”, con connotazione morale e metafisica.
La vicenda di Lancillotto e Ginevra viene citata anche da Dante nella Commedia. Nel quinto Canto dell’Inferno, nel cerchio dei lussuriosi (versi 127 – 138) il poeta fiorentino cita quei due amanti nel narrare la storia d’amore tra Paolo Malatesta e Francesca da Polenta (frazione di Bertinoro, in prov. di Forlì), figlia di Guido da Polenta, feudatario di Ravenna e di Cervia.
Paolo e Francesca erano cognati. Lei era sposata con Giovanni (detto “Gianciotto”), fratello di Paolo. Il loro amore adultero li condusse alla morte.
Giovanni Boccaccio in un suo commento alla Commedia di Dante Alighieri dice che il matrimonio tra Francesca e Gianciotto avvenne nel 1275 e fu organizzato dalle loro famiglie per consolidare la loro alleanza.
A Francesca fu fatto credere che avrebbe sposato il bello ed elegante Paolo, che era già sposato, e non l’anziano, zoppo e rozzo Gianciotto Malatesta.
Per avere l'approvazione della giovane al matrimonio, la tradizione dice che questo avvenne per procura. Poi la ragazza scoprì l’inganno.
Francesca riferisce a Dante che lei e Paolo si baciarono mentre leggevano il libro che racconta l’amore tra Ginevra e Lancillotto:
“Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancillotto, come amor lo strinse:
soli eravamo e senza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso:
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante:
galeotto fu il libro e chi lo scrisse;
quel giorno più non vi leggemmo avante”.Secondo Boccaccio la dinamica del duplice omicidio avvenne in questo modo: uno dei fratelli, Malatestino dell’Occhio, così chiamato perché aveva un occhio solo “ma da quell’uno vedeva fin troppo bene”, spiando, s’accorse degli incontri segreti tra Paolo e Francesca.
Un giorno del settembre 1289, Paolo passò per una delle sue solite “visite” a Francesca e qualcuno (forse Malatestino “quel traditor”) avvisò Giangiotto, che ogni mattina partiva per Pesaro ad espletare la sua carica di Podestà e tornava la sera.
Gianciotto finse di partire ma rientrò da un passaggio segreto e… mentre Paolo e Francesca leggevano estasiati la storia di Lancillotto e Ginevra, “come amor li strinse” si diedero un casto bacio (questo è quello che Dante fa dire a Francesca!) ma proprio in quell’istante Giangiotto aprì la porta e li sorprese in “flagranza di reato”. Accecato dalla gelosia estrasse la spada, Paolo cercò di salvarsi passando dalla botola dove c’era una scala di legno che conduceva al piano sottostante. Ma, si dice, il suo vestito gli si impigliò in un chiodo, e mentre Giangiotto lo stava per infilzare con la spada, Francesca si mise davanti al marito per salvare Paolo. Ma inutilmente, Giangiotto li uccise entrambi.
In realtà non si sa dove realmente sia accaduto il duplice omicidio. S’ipotizza nel bel castello (restaurato) di Gradara, che è su una collina non lontana da Gabicce, e si può vedere la presunta stanza dove avvenne il misfatto.
“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense”. (Divina Commedia, Inferno – Canto V, 100-107).
Dante non vede una colpa in sé nella pulsione amorosa, ma il peccato nasce quando nell'attuare questa pulsione si viene meno ai precetti morali, come quello riguardante la fornicazione nell'adulterio.
La contraddizione tra precetto religioso e forza travolgente dell'amore spiega la simpatia di Dante per i due peccatori. Il poeta non fa il moralista, ma descrive la tragicità del conflitto tra morale e passione. Anche se colloca Paolo e Francesca tra i dannati ha per loro pietà per la tragica fine.