Autore Topic: Quando i ricordi......spostato e correttamente firmato  (Letto 802 volte)

marisa alberti

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Quando i ricordi......spostato e correttamente firmato
« il: Agosto 17, 2020, 10:07:40 »
                                QUANDO I  RICORDI…   
                                         
Quando lo incontrai lo stavo aspettando. Non gli avevo ancora dato la sua faccia ,le sue mani, le sue gambe, ma lo riconobbi subito e da subito lasciai che la mia pelle lo toccasse. Con lui mi persi e mi ritrovai: ero sempre io ma una parte di me si era arricchita della vita di un altro.
Fui felice e imbarazzata ma non fui mai un “per me voglio”.
La prima volta che mi baciò mi sembrò tutto naturale, scontato,  quasi avessi già saputo.
Sentii lo stomaco contrarsi improvvisamente poi, rilassarsi piano. Non suonarono campane, ma il mio paradiso e il mio inferno, anche se ancora non lo sapevo, erano già cominciati.
Guardai per un attimo le colline che si vedevano oltre la strada; ne segnai distrattamente il contorno con le dita, lasciando visibili striature sul vetro dell’auto Dietro di loro la montagna si stava colorando di scuro. Una macchia nera saliva serpeggiando tra i rami di quercia, partendo dalla valle per arrivare piano fino in cima, quasi a nasconderla, a darle un po’ di tregua a quell’essere esposta allo sguardo di tutti. Io avrei superato le colline, mi sarei arrampicata sulla montagna, sarei caduta, avrei pianto, avrei avuto paura della macchia scura, ma mi sarei rialzata e, anche zoppicando, sarei arrivata lassù dove la macchia nera scompariva.


La prima volta eravamo nella stanza di un albergo alla periferia di Venezia. Fu dolce e imbarazzante, un misto di sensazione strane. Lui non mi conosceva, non mi stava aspettando ma questo non mi interessava perché non volevo sapere. Era come io lo vedevo e lo sentivo che mi bastava. Le sue mani si muovevano esperte e io cercavo di imprimermi bene nella mente il calore e il ritmo di ognuna di quelle carezze.
Mi svegliai prestissimo. Fuori erano caduti alcuni centimetri di neve e i campi attorno all’albergo sembravano essersi macchiati disordinatamente di chiazze bianche.
Fu allora che mi disse di essere sposato e di avere due bambini. In piedi ,di fronte all’armadio, continuai a sistemare le mie cose. Non cambiai espressione, mi muovevo con gesti rapidi, precisi e risposi con uno scontato “ Lo immaginavo “. Ma non mi voltai mai verso di lui. Concentrai lo sguardo e l’attenzione sul listino prezzi attaccato alla porta. Distinsi caratteri scuri e chiari, i primi stampati, gli altri in corsivo, ma non riuscii a leggere perché le righe continuavano a sbiadirsi.
Eppure non stavo piangendo!
Nella strada del ritorno nessuno dei due disse niente. Lui guidava apparentemente calmo, oppure lo era davvero. Io restai quasi immobile con la faccia rivolta fuori. La neve si stava già sciogliendo, scaldata da un sole invisibile che a malapena riusciva a far filtrare un po’ della sua luce attraverso la nebbia che cominciava ad ovattare. Se avessi potuto mi sarei nascosta anch’io tra quella massa grigiastra. Lì avrei raccolto il mio corpo e come un feto mi sarei lasciata cullare. Non ci sarebbe stato nient’altro. La nebbia sarebbe diventata la mia placente, sacca dolcissima, impenetrabile e io avrei anche potuto lasciarmi andare nel liquido caldo che conteneva. Nessun altro movimento che galleggiare nel nulla, nessun contatto con l’esterno, tranne, di tanto in tanto, qualche rumore attutito per assicurarmi che fuori esisteva qualcun altro.
Non pensare, non vedere, non parlare. Non parlavo, ma non potevo non vedere e non pensare. Lui era lì e io a pochi centimetri di distanza. Che diritto aveva di essere l’uomo che avrei voluto amare.
Mi voltai di scatto e lo guardai. Mi sorprese perché sembrava triste. Mi appoggiai allo schienale del sedile e restai così per alcuni istanti. Solitudine, tristezza, lacrime. Eccole finalmente. Le sentii salire su dalla gola, attraversare il naso, uscire dagli occhi e scendere piano lungo le guance. Ne assaporai il gusto salato e cercai altri motivi per piangere ancora.
Vuotai la mia delusione poi, restammo sole io e la mia voglia di lui. Mi si attaccava con prepotenza quando la respingevo, mi si abbandonava addosso quando la cullavo, la rassicuravo, poi restavamo così, abbracciate, fiduciose, spaventate.
Volevo solo amarlo e avrei anche fatto a meno del suo amore. Sarei stata la donna di una notte e, finché i morsi della gelosia non si fossero fatti sentire, avrei potuto continuare.
Diventai la donna di tante notti, di notti fatte di tenerezza, di incontri decisi da lui all’ultimo minuto. Feci uscire da me quanto di più bello potevo contenere e godetti ogni attimo di quanto mi veniva offerto. Potevo ispezionare il suo corpo, guardarlo mentre dormiva, sentirlo parlare, essere con lui in mezzo a tanti altri che non si sarebbero neanche accorti della mia presenza. Ad ogni sua telefonata mi tuffavo in preparativi frenetici: dovevo essere il meglio di me, sia dentro che fuori. E riuscii ad esserlo perché lui se ne accorse. Cominciò a conoscermi e a farsi conoscere e più mi addentravo in lui, più scoprivo che era lui che volevo incontrare, era lui che volevo far penetrare nei vicoli più nascosti del mio io, quelli piastrellati di insicurezza, di voglia di essere, di bisogno di amore… amore con tutte le A, maiuscole, minuscole, scritte con inchiostro multicolore.
Iniziò a telefonarmi più spesso e più spesso io temevo che la macchia scura mi avrebbe impedito di andare avanti.
Teneva molto a mantenere intatte le sue posizioni socialmente rispettabili ma, in quelle strade, io stavo già camminando. Niente di particolarmente preoccupante: c’era ancora tanto spazio per andare avanti indisturbati. Ma lui non si preoccupò, mi lasciava fare e i miei spazi continuavano ad allargarsi. Arrivai ad occupare la strada per intero e allora lo vidi diventare insofferente, lo sentii fare discorsi confusi che a volte interrompeva prima di concludere. Parole che costruivano frasi scontate dove io dovevo leggere solo i suoi sensi di colpa, le sue preoccupazioni, le sue paure, che mi obbligavano a sentirmi in colpa, a preoccuparmi, ad avere paura. Ma in quelle frasi io leggevo anche che era di me che aveva bisogno per raggiungere la cima.
E allora avrei voluto gridargli: - Non preoccuparti, lasciati andare con me in questo piccolo cerchio, non muovere l’acqua se non vuoi allargarlo. Lascialo essere per un anno, un mese, o anche solo per un giorno, ma non cercare di distruggerlo. In quel minuscolo spazio ci siamo noi e non riusciremo più a costruirne un altro così perfetto!-
Invece restavo zitta: non potevo chiedergli qualcosa che avrebbe avuto valore solo se fosse stato lui ad offrirmela. E lui cominciò un po’alla volta a darmi la possibilità di restare nel cerchio e parlandomi delle sue paure mi chiedeva indirettamente di poterci restare con me.
Mi disse di amarmi mentre eravamo al ristorante.
Feci finta di non aver sentito. Mi alzai solo quasi di scatto ed uscii.
Ero felice, toccavo il mio paradiso, ma le gambe mi tremavano. La mia parabola stava per essere raggiunta dalla sua e, una volta allineate, avrebbero potuto scontrarsi. Allora forse sarebbero ritornate a scorrere piatte, in direzioni diverse.

La strada si srotolava su per la montagna come un nastro, quasi a voler scappare da chi gli camminava sopra. Nella furia della corsa, si addentrava tra i pini, costeggiava burroni altissimi poi tornava a riprendere fiato e allora scivolava calma tra i prati. Seguivo con gli occhi il suo percorso man mano che ci avvicinavamo al paese dove, finalmente esausta, essa si fermava sciogliendosi in una serie di vie e viuzze. Era la nostra prima vacanza!
Tutto di lui mi sarebbe appartenuto, dal mattino quando aprivo gli occhi fino alla sera prima di chiuderli. E tutto di lui mi appartenne. E io bevevo assetata ogni più piccolo istante e, come un cammello, ne facevo scorta per i periodi di deserto che sarebbero venuti subito dopo. Insieme formavamo uno spazio unico, il resto era sfondo, comparsa.
Guardavamo la gente passare ma non ci riconoscevamo in nessuno di loro. Eravamo gli unici, i migliori, la perfezione della coppia.
Non c’erano progetti, non esistevano domani programmati ma esistevamo noi con la nostra voglia di raccontarci, di scivolare l’uno nell’altro per carpirci anche i segreti più nascosti. Gli raccontavo la mia vita, gli indicavo le strade che avevo percorso per raggiungerlo. Strade così lontane e qualche volta sbagliate. Guardavo la sua faccia: non mi capiva, soffriva dei miei errori ma sentivo la stretta della sua mano sulla mia spalla farsi più forte, possessiva.

- Ora ci sono io. – E questo significava ti amo, sono qui per accompagnarti e ti ho scelto come compagna di viaggio. Viaggeremo insieme e insieme grideremo, salteremo. La nostra strada attraverserà paesaggi così belli che alla loro vista non potrai fare a meno di commuoverti. Insieme sbaglieremo, ma forse uno dei due farà in tempo ad avvertire l’altro, lo spingerà dalla parte opposta pur di non perderlo, a costo di fargli male, di violentare i suoi desideri.

Per lui stavo diventando unica, splendida, meravigliosa. Come poteva non uscire da me qualcosa di meraviglioso, di splendido, di unico?
La sera, con la testa appoggiata nell’incavo del suo braccio, gli raccontavo la nostra vita. Non tralasciavo nessun particolare di come volevo che fosse. Smantellavo le parti della sua esistenza in cui non entravo poi, le ricostruivo minuziosamente a modo mio. Ogni volta diverse, ogni volta più belle. Sogni guidati, fiabe dolcissime senza maghi né streghe. Un uomo e una donna che entravano in una miriade di personaggi. Eravamo principi, principesse, servi, naufraghi, gente comune che in comune aveva un’unica cosa preziosa, incomprabile, invendibile: il bisogno di esistere per l’altro. Lui mi lasciava fare, non suggeriva modifiche e la mia ninna nanna andava avanti con un ritmo sempre più lento finché si spegneva del tutto.

Conobbi lui e attraverso lui prese forma nella mia mente  la figura di lei.
Io diventai l’altra, l’altra da cui si corre appena possibile, l’altra con cui si ride, si ama.
Ma ero anche l’altra che stava cominciando a soffrire, che avvertiva i primi sintomi di quella gelosia che sarebbe durata fino al prossimo incontro. E allora mi sentivo persa, ingannata. Cominciarono le prime cadute. Sentivo il dubbio arrivare da lontano e impossessarsi a poco a poco del mio cervello. Era inutile concentrarsi su altro . Lui era con lei e con lei mangiava, parlava, dormiva. Non entravo in quella parte domestica di giornali sportivi letti durante il pranzo, di resoconti giornalieri detti a bassa voce prima di dormire. Non ero la donna che presentava agli amici di famiglia e che il sabato sera portava fuori e la domenica a pranzo.
Della sua presenza a me restavano brevi frasi segnate di sbieco sul calendario o su un biglietto attaccato alla testata del letto. Frasi brevissime, di saluto, di tristezza, di scoraggiamento, di speranza: frasi che puntualmente trovavo rientrando dopo che se era andato. Qualche volta cercava di addolcire la sua partenza con delle rose: erano sette oppure tredici e in ogni rosa io cercavo di nascondere sette o tredici momenti belli passati insieme. Li sistemavo, gli davo dei valori dal buono al migliore e lasciavo il migliore per ultimo. Erano la spinta ad arrivare in cima alla macchia scura quando sentivo che stavo per cadere, per tornare indietro, quando leggevo la mia sconfitta nella vittoria delle altre che incontravo la domenica sottobraccio ad un uomo.
E allora raccoglievo tutte le mie forze e cercavo di difendermi. Mi allenavo a non amarlo. Scivolavo con la mia solitudine in un tunnel senza uscite, eppure così  poco protetto, sempre pronto a far uscire da ogni piccola crepa momenti di dolcezza.
Moltiplicavo le mie mani per coprire quei buchi per impedire che ne entrassero altri.
Proiettavo nella mia mente le sequenze della mia vita senza di lui. Erano momenti ben scanditi, di settimane, al massimo di un mese: andare da un’amica, fermarsi giusto il tempo di non lasciarsi scoprire, ripartire, ritornare, interessarsi di cose che non mi erano mai interessate prima, vivere per me, perché era su di me che avrei dovuto contare.
In fondo sembrava semplice. Sentivo la serenità toccarmi come una pioggia leggera, scivolare in piccoli rigagnoli sulla mia faccia, sul collo, sulle braccia, sulle gambe. Ma bastava un’incognita banale per ripulire tutto e riportarmi al punto di partenza. E allora mi sembrava di soffocare e ogni alternativa diventava un rimedio inefficace. C’era solo da soffrire e allora sarei rimasta inerte e avrei sofferto. Bastava riconoscerne i segni e lasciarli fare, senza cercare di combatterli, di allontanarli, sapere che sarebbero andati avanti per mesi, poi il tempo li avrebbe mitigati, resi sopportabili. Sarebbero stati i miei nemici fedeli, decisi a non lasciarmisi sfuggire. Al mattino mi sarei svegliata con la tristezza immotivata ma, subito, il mio cervello l’avrebbe identificata, dandole una consistenza reale. Di giorno avrei camminato, riso, pianto, scherzato. La sera sarei stata troppo stanca per combattere ancora e allora mi sarei addormentata con la voglia di toccarlo.

Ho ritrovato questi fogli in un vecchio cassetto. Quando le ho scritte avevo vent’anni, ora ne ho cinquantasei. Di quest’ uomo sono stata amante, compagna, moglie, moglie tradita e separata, donna che a fatica ha cercato di  perdonare
Per lui ho superato le colline, mi sono arrampicata sulla montagna, sono caduta, ho pianto, ma mi sono rialzata e anche zoppicando, ho cercato di arrivare lassù dove la macchia nera scompariva.
Non riesco ancora a vedere l’altro versante della montagna ma… la storia continua!
 

 
« Ultima modifica: Agosto 17, 2020, 10:51:18 da marisa alberti »

presenzadiritorno

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Re: Quando i ricordi......spostato e correttamente firmato
« Risposta #1 il: Agosto 17, 2020, 15:00:29 »
Pagine intime della tua vita che regali a noi comuni lettori, quanto c'è dietro di esse! E oggi con le postille che annoti alla fine sembra tu voglia fare più a te stessa che a noi il resoconto di questa lunga storia. Molta amarezza per te stessa inoltre, mi sembra traspaia tra le righe di questo scritto e mentre scrivo questo commento mi suona in testa la canzone di Gino Paoli... una lunga storia d'amore
Accarezzati, amati e lascia andare :rose:

marisa alberti

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Re: Quando i ricordi......spostato e correttamente firmato
« Risposta #2 il: Agosto 17, 2020, 19:27:12 »
Hai colto in pieno le mie intenzioni: ho bisogno di fare a me stessa il resoconto della mia vita. Nel topic" MAI E POI MAI" racconto che cosa mi aspettava nell'altro versante della montagna. L'ho riletto cercando di estraniarmi perché fa sempre  male fare i conti con l' aver vissuto una vita falsa ma, purtroppo, così è stata la mia. Altro che "lunga storia d'amore", lunga sì ma...... di squallore!
Unica cosa bella mia figlia.
 

presenzadiritorno

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Re: Quando i ricordi......spostato e correttamente firmato
« Risposta #3 il: Agosto 17, 2020, 19:33:43 »
... e allora, a tua figlia!

marisa alberti

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Re: Quando i ricordi......spostato e correttamente firmato
« Risposta #4 il: Agosto 17, 2020, 19:46:37 »
A mia figlia!

mr.blue

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Re: Quando i ricordi......spostato e correttamente firmato
« Risposta #5 il: Agosto 18, 2020, 16:49:46 »
Una travolgente e struggente storia d'amore.

Bentornata Marisa.

marisa alberti

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Re: Quando i ricordi......spostato e correttamente firmato
« Risposta #6 il: Agosto 18, 2020, 19:37:41 »
Grazie.
Se ti va leggi MAI E POI MAI così saprai come questa storia ha reso la mia vita: uno schifo!

Platino

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Re: Quando i ricordi......spostato e correttamente firmato
« Risposta #7 il: Agosto 19, 2020, 18:11:35 »
Marisa, ben trovata, non ti conoscevo qui. Pensieri intensi, scritti conosciuti in prima linea per alcuni, troppi aspetti, diretti o di riporto, scritti feroci di intensità, ancora prima del ricordo. Io spesso da questi spunti parto, taccio di realtà, scrivo in fantasia. Quanto dentro, spesso, mai fuori.