Il suicidio di Cyrano
Deluso e stanco se ne sta Cyrano
meditando sull’ultimo commiato;
per una volta uscirà di scena
senza clamore, quasi di soppiatto.
Posa prima la spada, poi la penna;
chiude infine anche il libro di memorie,
alla fiamma l’accosta e la candela
attizza il fuoco su quei fogli amati.
La carta brucia senza crepitare,
s’accartoccian le pagine al calore;
alla fine rimane grigio e vuoto
quel ch’era un monumento di parole.
Parole sparse, adesso, in libertà:
sogno, furore, rabbia, pentimenti,
qualche rimorso, e poi molti rimpianti,
una bellezza allegra tra le righe,
amore e morte uniti in un sol canto..
di tutto ciò rimane solo brace;
stranamente, un frammento ancora intatto:
c’è solo un nome, ma non è Rossana.
Il fumo della carta ha disegnato
sul candido soffitto ghirigori
neri, incombenti, quasi minacciosi.
Li riconosce, tetri simulacri:
maledetti pronomi possessivi.
A stormi gli svolazzano dintorno
corvacci scuri, amici della morte.
Il guerriero si sente soffocare,
un tremore lo invade, ed è finita:
lesto lo stilo penetra nel cuore.