- Il vento di Maggio ti ha portato via -
Una madre è sempre una madre. Ma quando diventa fragile, e tanto vecchia, e con fiducia si rivolge a te confidando che l'aiuterai, si trasforma in una sorta di figlia che induce tenerezza e vorresti proteggere da tutto.
Così, quando non ce la fai, quando viene l'insopportabile momento in cui ti devi arrendere e la devi cedere a un destino che rotola come un sasso giù dalla china, ti ritrovi sgomenta e senti di aver fallito.
Ecco, madre mia, io ho fallito perché non sono riuscita a proteggerti dal mondo, dalla superficialità e sbrigatività con cui certi dottori stilano sentenze definitive e inappellabili.
Ho dovuto subire l'onta di accompagnarti alla morte quando in me tutto era teso a farti vivere, a farti arrivare magari a 100 anni, come tua sorella. Quando tu stessa, povera piccola che credeva che l'esser curata significasse la salvezza, dicevi piano, nei tuoi monologhi o discorsi a persone a noi invisibili : " Io voglio vivere, non voglio morire! ".
Io ti sentivo, e mi si stringeva il cuore. Sembravano così elementari, così ovvie quelle parole!
Pareva quasi che tu, con queste affermazioni, chiarissi da che parte stavi : non da quella di chi si arrende, è stanco, vuole morire; ma di chi, in barba ai 98 anni suonati, trovava ancora un suo modesto senso nel vivere.
Avevi la tua personalità, mai venuta meno fino all'ultimo.
Ma poi.. in quei giorni di calvario impotente dopo l'ospedale, si era fatto strada un " Ho paura ".
" Di cosa? " ti chiedevano con toni sensati come si fa con un bambino per rassicurarlo su un'assurdità.
" Non lo so. Ho paura " rispondevi come un cucciolo ferito.
Avevi paura, e avevi ragione di aver paura.
Avvertivi non solo quel dolore che nessun accudimento ti toglieva come compagno costante, ma anche ( parole tue quando parlavi al vuoto) che " era tutto sconvolto ".
Si, il tuo fisico non ti rispondeva più.
Subivi sempre gente attorno che ti toccava, ti manovrava, ti curava quelle povere gambe straziate facendoti gridare nonostante la morfina. Non volevi essere toccata, ti ritraevi con la paura negli occhi ogni volta che qualcuno ti si avvicinava.
E dicevi : "Basta, basta ", come un'intimazione o un'affermazione di diritto.
Si, basta, basta : non si tocca una povera vecchia.
" Basta, mio Dio - sono arrivata a dire anch'io - " se ci sei, prendila ".
E infine così è stato.
Tu non volevi morire, volevi vivere, ma certo non in quel modo, come una povera crocifissa in un letto da cui era precluso riemergere.
Così ora la tua poltrona vicino al termosifone è vuota.
E anche la casa è improvvisamente vuota : non sembra più la stessa senza di te.
Perché.. come avevo capito già anni fa in altra circostanza, una casa è fatta da chi la abita, e quando l'abitante se ne va .. resta un guscio vuoto, una conchiglia senza echi, un involucro.
Quanto vale una conchiglia senza il suo mollusco, un involucro senza il contenuto?
Guardo quella casa che mi era cara, che conserva ancora i tuoi passetti, il tuo esserci stata, e mi grida un'assenza insopportabile.
Ti penso avvolta in un telo, andata chissà dove, il volto che si è fatto cera e il sangue che ha smesso di scorrere, di donarti la vita.
Non ci sei più. Sei solo in me, mia povera piccola Anna : e qui sei forte come una roccia, qui non cessi di esistere solo perché il vento di Maggio ti ha portato via.
Sei madre e figlia.
E io sono figlia e madre, in un vincolo indissolubile.