Autore Topic: Venerdì Santo  (Letto 885 volte)

Doxa

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Venerdì Santo
« il: Aprile 11, 2020, 21:47:53 »
Piazza San Pietro. Finalmente  ieri sera  un “Venerdì Santo” storico, da ricordare. Meravigliosa la scenografia,   non quella affollata “nazional-popolare” con contorno  di turisti al Colosseo, ma silenzio e preghiere per la Via Crucis di papa Francesco nella semideserta piazza illuminata dalle luci serali e dalle fiaccole in terra a forma di croce al centro del colonnato del Bernini. 

Bravi gli scenografi.
 
Questo è il modo per suscitare la spiritualità  cristiana, per  far pensare alla trascendenza altro che le affollate processioni che si snodano in paesi e città.

La spiritualità non implica la fede in una religione. Anche l’ateo, se vuole, può intraprendere il soggettivo, intimistico ed ascetico cammino spirituale.







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Re:Venerdì Santo
« Risposta #1 il: Aprile 11, 2020, 22:51:06 »


“Via Crucis”, una storia lunga secoli. Cominciò a Gerusalemme alla fine del IV secolo, ma come la conosciamo noi risale al Medioevo.

La Via Crucis è un rito che intreccia “Parola di Dio”, storia e preghiera.

Evoca l’ultimo tratto del cammino percorso da Gesù durante la sua vita terrena: da quando Egli e i suoi discepoli, “dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il Monte degli Ulivi” (Mc 14, 26), fino a quando il Signore fu condotto al “luogo del Golgota” (Mc 15, 26), fu crocifisso e sepolto in un sepolcro appartenente a Giuseppe d’Arimatea scavato nella roccia di un giardino vicino.

Reperti archeologici attestano l’esistenza del culto cristiano nel II sec. d. C., nell’area cimiteriale dove era stato scavato il sepolcro di Gesù.

Alla fine del IV secolo la pellegrina Eteria nel suo diario descrive tre edifici costruiti sul Golgota e della processione che in alcuni giorni si snodava dall’Anastis al Martyrium. Non era una Via Crucis o una Via Dolorosa. Ma quella processione con i suoi canti nei luoghi della Passione, è considerata da alcuni studiosi la forma embrionale della futura Via Crucis a Gerusalemme.

Alla pietà compassionevole dei fedeli verso il mistero della Passione si deve aggiungere l’entusiasmo sollevato dalle crociate per recuperare il Santo Sepolcro, i pellegrinaggi dal XII secolo, la presenza stabile dal 1233 dei Frati Minori Francescani nei “luoghi santi” del cristianesimo.

Alla fine del XIII secolo la “Via Crucis” era menzionata, non ancora come “pio esercizio” ma come cammino percorso da Gesù nella salita al Calvario, indicato da una successione di “stazioni”.

Nel 1294 circa il frate domenicano Rinaldo di Monte Crucis, nel suo “Liber peregrinationis” afferma di essere salito al Santo Sepolcro “per viam, per quam ascendit Christus, baiulans sibi crucem”, e ne descrive le varie stationes: il palazzo di Erode, il Litostrato (dove Gesù fu condannato a morte), il luogo dove egli incontrò le donne di Gerusalemme, il punto in cui Simone di Cirene prese su di sé il patibulum che portava Gesù sulle spalle, ecc..

La Via Crucis come “pio esercizio basato sulla devozione alla passione di Cristo e al cammino percorso da Gesù nella salita al Calvario, nacque da una sorta di fusione di tre devozioni che si diffusero dal XIV secolo soprattutto in Germania e nei Paesi Bassi:

1. la devozione alle “cadute di Cristo” (stremato dal peso del patibulum);

2. la “devozione ai cammini dolorosi di Cristo” (consiste nell’incedere processionale da una chiesa all’altra) in memoria dei percorsi di dolore compiuti da Cristo durante la sua passione: Dal Getsemani alla casa del Sommo Sacerdote Anna (Gv 18, 13, da questa alla casa di Caifa (Gv 18, 24; Mt 26, 56), poi nel palazzo del Pretorio dov’era Ponzio Pilato (Gv 18, 28; Mt 27, 2), al palazzo di Erode (Lc 23, 7);

3. la devozione alle “stazioni di Cristo”, ai momenti in cui Gesù si ferma durante il cammino verso il Golgota, o perché costretto dai soldati romani, o perché stremato dalla fatica, o per dialogare brevemente con alcune persone.

Nel lungo processo di formazione della Via Crucis sono da segnalare due elementi: la “fluttuazione” della “prima stazione” e la varietà delle altre “stazioni”.

Per quanto concerne l’inizio della Via Crucis, gli storici segnalano almeno quattro episodi differenti, scelti come “prima stazione:

1. l’addio di Gesù a sua madre (come prima “stazione” non ebbe larga diffusione a causa del problematico fondamento biblico);

2. la lavanda dei piedi (questa “prima stazione” che si situa nell’ambito dell’ultima cena e dell’istituzione dell’eucarestia, è attestata in alcune Vie Crucis nella seconda metà del XVII secolo;

3. l’agonia (= angoscia) del Getsemani; il “giardino degli ulivi” costituisce l’inizio di una breve Via Crucis del XVII secolo con sole sette “stazioni”, diffusa dai religiosi della “Compagnia di Gesù”;

4. la condanna di Gesù nel Palazzo del Pretorio, antica “prima stazione”, che segna l’inizio dell’ultimo tratto del cammino di Gesù dal Pretorio al Calvario.

Anche il soggetto delle stazioni era vario. Nel XIV secolo vigeva la diversità nella scelta delle “stazioni”, del loro numero e ordine. Nei vari schemi di Via Crucis c’erano “stazioni” con la cattura di Gesù nel Getsemani, il rinnegamento di Pietro, la flagellazione, le accuse diffamatorie in casa di Caifa, lo scherno della veste bianca nel palazzo di Erode, che non figurano in quello che diverrà ‘iter definitivo.

La Via Crucis, nella sua forma attuale, con le 14 “stazioni” disposte nello stesso ordine, è attestata in Spagna nella prima metà del XVII secolo in ambito francescano. Dalla penisola iberica passò prima in Sardegna, in quel tempo dominio della Spagna, poi nella penisola italica.

Un convinto ed efficace propagatore fu Leonardo da Porto Maurizio (Imperia), frate minore riformato francescano, al secolo Paolo Girolamo Casanova (1676 – 1751). Fece edificare 752 Vie Crucis, delle quali è nota quella di Roma nel Colosseo, su richiesta del pontefice Benedetto XIV, il 27 dicembre 1750, a ricordo di quell’Anno Santo.

Le 14 stazioni della Via Crucis, nella forma definitiva arrivate a noi, sono le seguenti:

1) Gesù è condannato a morte;
2) sulle spalle di Gesù viene messo il patibulum;
3) Gesù cade per la prima volta;
4) Gesù incontra sua Madre;
5) Simone di Cirene aiuta Gesù a portare il patibulum;
6) Veronica asciuga il volto di Gesù;
7) Gesù cade per la seconda volta;
8 Gesù ammonisce le donne di Gerusalemme;
9) Gesù cade per la terza volta;
10)Gesù è spogliato degli abiti;
11)Gesù è inchiodato sulla croce;
12)Gesù muore in croce;
13)Gesù è deposto dalla croce;
14)il corpo di Gesù è collocato nel sepolcro.

(Fonte “Famiglia Cristiana”; articolo di Alberto Chiara; 14- 4 – 2017).

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Re:Venerdì Santo
« Risposta #2 il: Aprile 11, 2020, 23:36:15 »
Tra la curiosità dei passanti, in quella tarda mattinata primaverile, forse dell’anno 30 della nostra era, in una strada di Gerusalemme (che nei secoli successivi avrebbe avuto il nome emblematico di “Via dolorosa”) procedeva un piccolo corteo con un condannato a morte, scortato da un picchetto dell’esercito romano, comandato da un centurione, l’exactor mortis, che poi avrebbe dovuto verificare l’avvenuta esecuzione del reo, il galileo Gesù di Nazaret. Egli reggeva a fatica sulle spalle il patibulum, ossia la trave trasversale che sarebbe stata affissa al palo verticale, già conficcato nel terreno del luogo della crocifissione, su una collinetta denominata “Golgota”, nome che nella lingua aramaica significa “cranio”, in latino “Calvarium”, da “Calvariae locus” (= “luogo del cranio”).

Gesù, ferito dalle precedenti torture inflitte con  il flagello dai soldati romani, camminava verso l’ultima tappa della sua vita terrena, conclusa con la crocifissione del suo corpo e la conseguente morte.

Sull’asse verticale della croce venne affisso il “titulus”, la placca lignea sulla quale era scritta l’imputazione nella lingua ebraica locale, in greco (lingua internazionale dell’epoca) e in latino: “Gesù Nazareno re dei Giudei”, che diverrà nei secoli successivi l’acronimo “I.N.R.I.” (Jesus Nazarenus Rex Iudeorum).


Diego Velàzquez: “Cristo crocefisso”, olio su tela, 1631, Museo del Prado

Nessuno a Gerusalemme quel pomeriggio, era l’ora nona, cioè le 15.00, avrebbe immaginato che quella scena tragica sarebbe divenuta un vessillo simbolico per secoli.

Quella croce si sarebbe trasformata per la cultura occidentale in un “soggetto planetario”.

I Vangeli non considerano la morte di Cristo sulla croce l’estuario definitivo di un’esistenza votata all’abisso del silenzio sepolcrale.

E’ così che, dopo le ore dell’agonia, la tenebra della morte e il grembo della tomba, sorse il sole dell’alba di Pasqua e la risurrezione di Cristo, che ci permette di inoltrarci verso le frontiere della fede e dello spirito.

Gesù prima di morire disse sette frasi, composte da 41 parole, riportate nella redazione greca dei vangeli. Per la fede dei cristiani sono l’estremo testamento del loro Dio che muore.

1) ai Crocifissori: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,24);

2) alla Madre Maria: “Donna, ecco tuo figlio”.  Al discepolo amato Giovanni: “Ecco tua madre” (Gv 19,28);

3) al malfattore pentito, crocifisso  vicino a lui: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,24);

4) “Elì, Elì, lemà sabachtani?” (= Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) (Mt 27,46; Mc 15,34; Sal 22,2);

5) “Ho sete!” (Gv 19,28);

6) “Tutto è compiuto” (Gv 19,30);

7) “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” ( Lc 23,46; cfr. Sal. 31,6);


Le sette parole dette da Gesù in croce:

1) Il “perdono” come dono libera dall’ansia di vendetta”.

2) L’affidamento della madre al discepolo Giovanni e questo alla madre.
“Come Mosè incarico Giosuè di prendersi cura del popolo ebraico in sua vece, cosi Gesù incarico Giovanni di prendersi cura di Maria , cioè della Chiesa, popolo di Dio”.

3) Gesù “promette il paradiso”, cioè la vita con lui, al ladrone buono: “Egli si poneva al livello di costoro non per compromettersi nelle loro scelte, ma per salvare chi era escluso o era stato emarginato, per far tornare in vita chi era morto e ritrovare chi era perduto”.

4) Gesù “non muore disperato”, pur nel dolore atroce, fisico, morale e spirituale; E’ il dramma umano della separazione da Dio che sembra indifferente al grido del Figlio.

5) Dalle labbra inaridite  di Gesù segue la parola “Ho sete”, la sete che simboleggia  la volontà  di Cristo  di redimere gli uomini; “Se non sentite nel profondo di voi stessi che Gesù ha sete di voi, non potete capire ciò che lui vuol essere per voi e voi per lui”.

6) Con il termine “Tutto è compiuto” sussurrato da Gesù  si intende non la rassegnata affermazione di una fine, bensì la consapevolezza del raggiungimento di un fine, di una meta di pienezza il cui effetto perdurerà per sempre.

7) Nell’ultima frase “Nelle tue mani padre consegno il mio spirito”  Gesù affida al Padre la sua vita, il proprio principio vitale “Pneuma”, che, nel linguaggio biblico, non è solo il principio.

La croce e il sepolcro non  furono l’estuario di quella storia, ma lo fu sua risurrezione, perno portante della teologia cristiana.

Per secoli i cristiani hanno voluto ripercorrere le tappe di quella Via Crucis, un itinerario orante proteso verso il colle della crocifissione ma con lo sguardo rivolto alla meta ultima, la luce pasquale. L’hanno fatto come pellegrini a Gerusalemme, o nelle loro città, nelle loro chiese.

Per secoli scrittori e artisti, grandi o ignoti, hanno cercato di far rivivere davanti agli occhi stupiti e commossi dei fedeli quelle “stazioni”,  le  soste meditative nel cammino verso il Golgota.

(mia rielaborazione di un articolo di cui non ricordo il titolo del cardinale Gianfranco Ravasi).
« Ultima modifica: Aprile 12, 2020, 21:15:30 da dottorstranamore »

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Re:Venerdì Santo
« Risposta #3 il: Aprile 12, 2020, 21:20:40 »

 


 Il Tempio di Gerusalemme con la fortezza Antonia  evidenziata dal cerchio rosso



 Ideale ricostruzione della fortezza (plastico). Era di forma rettangolare, mt 160 x 135.  Ai lati  c’erano quattro torri: tre alte 27 mt, la quarta, di 35 mt, dominava il tempio. Fu fatta costruire dal re Erode e in onore del suo patrono Marco Antonio fu detta “Antonia”, al di sopra dei resti della fortezza degli ex regnanti Asmonei e denominata Baris.

La fortezza Antonia fu sede di una guarnigione romana di milites. La roccaforte fu distrutta nel 70 d. C. insieme al tempio e alla città dall’esercito romano comandato da Tito Flavio Vespasiano, figlio dell’imperatore Vespasiano e futuro imperatore Tito.
La Giudea era divenuta provincia romana, nel 6 d.C.,  governata dal praefectus, che  risiedeva a Cesarea Marittima, in quell’epoca capitale della provincia.

Il governatore romano andava a Gerusalemme solo nelle grandi feste ebraiche. In quei giorni  a Gerusalemme  si stava celebrando la Pasqua (Pèsach), che ricorda la liberazione del popolo di Israele dall'Egitto e il suo esodo verso la Terra Promessa. Perciò Pilato era  in quella città  e non a Cesarea Marittima quando Gesù venne processato.

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Re:Venerdì Santo
« Risposta #4 il: Aprile 12, 2020, 21:28:02 »
Secondo alcuni studiosi il praetorium di cui si parla nella “Passione di Gesù” era parte della fortezza Antonia.

Il Vangelo di Giovanni narra che Gesù dal Getsemani fu condotto nella casa di Anania (o Anna), sommo sacerdote dell’ebraismo dal 6 al 15 d. C., deposto da Valerius Gratus,  procuratore imperiale romano della provincia di Giudea e di Samaria (dal 15 al 26 d. C.),  prefetto con potere di condanna a morte durante l’imperium di Tiberio.

Anche se deposto, Anania mantenne il titolo onorifico ma non effettivo di sommo sacerdote e fino alla morte rimase influente nel sinedrio. Nella carica di sommo sacerdote gli succedettero diverse persone della sua famiglia, fra i quali il genero Caifa, che fu capo del sinedrio dall’anno 18 al 36. Fu questo che fece arrestare Gesù e ne chiese la crocifissione, secondo i vangeli di Luca e Giovanni.

Dal Vangelo di Giovanni (18, 24) “Allora Anna lo mandò (Gesù) legato a Caifa, sommo sacerdote”.

Giovanni riferisce dell’interrogatorio di Gesù nella casa di Anania, ma non dice nulla del processo del sinedrio presieduto da Caifa, durante il quale Gesù fu condannato a morte. Eppure ne era a conoscenza, in quanto racconta ciò che avvenne prima e dopo: “Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua” (Gv 18, 28).

Nel pretorio c’era il governatore romano Ponzio Pilato,  prefetto della Giudea dal 26 al 36 d. C. e noto per il suo ruolo nei confronti di Gesù; ne ordinò la flagellazione e la crocifissione su istigazione ebraica, anche se non era convinto delle colpe attribuite a Gesù. 
L’evangelista Matteo considera Caifa il principale responsabile della morte di Gesù.

Matteo racconta la riunione in cui viene decisa la morte del Nazareno: “Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire. Ma dicevano: ‘Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo” (26, 3 – 5).

Le guardie del sinedrio condussero Gesù nel pretorio. “Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: ‘Che accusa portate contro quest'uomo?’. Gli risposero: ‘Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato’. Allora Pilato disse loro: ‘Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!’. Gli risposero i Giudei: ‘A noi non è consentito mettere a morte nessuno’. Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire” (Gv 18, 29 – 32). 

Gli  Ebrei rimasero nel cortile o piccola piazza di fronte al pretorio in cui Pilato aveva la residenza privata; nel complesso edilizio c’erano  anche i pubblici uffici amministrativi ed un tribunale.

Il cortile era lastricato (= “lithostrotos” in lingua greca).  Comunemente si localizza questo luogo nell'attuale convento di Nostra Signora di Sion.


Il lastricato dove, secondo la tradizione, Gesù fu interrogato da Pilato,  poi  flagellato e schernito.

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Re:Venerdì Santo
« Risposta #5 il: Aprile 12, 2020, 21:30:46 »

Nella Via Dolorosa c’è un edificio con loggia due finestre  che ha incoraggiato l’ardita fantasia di alcune guide turistiche a mentire ai pellegrini dicendo loro che era il luogo da dove Pilato con le parole “Ecce  homo” (Gv 19, 5) presentò  Gesù alle persone nel cortile.
 
All’epoca del processo a Gesù, la Giudea non era provincia romana, bensì “federata”.

Il rappresentante del proconsole di Cesarea (come era il procuratore Pilato) aveva giurisdizione politico-militare soltanto sui delitti di infedeltà a quel “foedus”, mentre, per tutti gli altri, e a maggior ragione quelli di sacrilegio contro la legge mosaica, la competenza esclusiva era dell’autorità locale ebraica, e cioè del sinedrio. Infatti, quando le guardie del Sinedrio (non i soldati romani!) arrestarono Gesù, cercarono di farlo condannare da Pilato con l’accusa di sedizione contro Roma.

Pilato interrogò l’imputato, e la sua sentenza fu: “Io trovo quest’uomo immune da colpa”. Anche in seguito, insistendo gli accusatori che il Nazareno si era proclamato re,  Pilato rispose: “Ma il suo regno non è di questa Terra”?

E per il presunto delitto di sedizione politica a carattere continuativo, Pilato si dichiarò incompetente per territorio e rimise la causa al tetrarca di Galilea, Erode Antipa.

L’evangelista Luca scrive che Pilato inviò  Gesù da Erode Antipa ma anche questo lo giudicò innocente e lo rimandò da Pilato, il quale ordinò la flagellazione per il Nazareno  e poi di liberarlo. Dopo questa tortura, mostra Gesù  con le ferite,  con la corona di spine sulla testa e vestito come un re.

Per tradizione in occasione della Pasqua ebraica il popolo poteva  graziare un condannato a morte. I condannati erano due: Gesù Nazareno e Barabba. Pilato sapeva che Gesù era molto popolare e sapeva anche che il sinedrio lo odiava per le accuse contro la maggioranza di Farisei e Sadducei.

Pilato s’illuse che ricorrendo alla volontà popolare  sarebbe riuscito  a salvare Gesù, ma la folla scelse di salvare Barabba. Pilato consente. Siede “nel tribunale” (Gv 19,13) nel litostroto, e si lava le mani in segno di rinuncia, dicendo:  “Io sono innocente del sangue di questo giusto”.

E’ la condanna definitiva.  Pilato consegnò Gesù ai milites romani. Le guardie del sinedrio erano alle prese con la Pasqua e non potevano fisicamente sporcarsi le mani. Gesù  viene portato via. Sulle spalle gli viene messo il patibulum ed avviato verso il Golgota.

A condannare a morte Gesù fu dunque il sinedrio e poi un gruppo di popolani, non Pilato, che sulla tabella lignea infissa sulla croce fece scrivere: “ Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum (I.N.R.I.).I sinedriali gli chiesero di modificare la scritta in “preteso re” ma egli  fu irremovibile: “Quello che ho scritto, ho scritto!”.
« Ultima modifica: Aprile 13, 2020, 10:19:48 da dottorstranamore »