Il filosofo e sociologo francese Paul-Michel Foucault (1926 – 1984) scrisse il saggio titolato “Sorvegliare e punire. Nascita della prigione”. Nella terza parte del terzo capitolo dedicato al "panoptismo" argomenta anche sulla peste.
“Panoptismo” è una parola di origine greca derivante da “panòpticon, lemma composto da “pan” (= tutto) + “opticon” (= visione completa). Fa riferimento al carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham per permettere ad unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i soggetti e le strutture dell’istituzione carceraria. E’ una costruzione ad anello al cui interno si trovano tante celle e al cui centro è posizionata una torre per mezzo della quale viene esercitato il controllo.
Il nome panòpticon evoca il mito greco di “Argo Panòptes”: un gigante con un centinaio di occhi disposti in tutte le direzioni; dormiva chiudendone cinquanta per volta, perciò considerato un ottimo guardiano.
Foucault usò il termine panòpticon come metafora del potere invisibile che ha la possibilità di spiare tutto e tutti.
La descrizione dell'epidemia di peste riportata dall'autore è tratta dagli archivi militari di Vincennes (Francia) della fine del XVII secolo e somiglia in parte alle odierne pratiche di quarantena e misure di sicurezza messe in atto per contrastare il propagarsi del COVID 19.
La città idealmente divisa in settori amministrativi e chiusa alla circolazione anche nel circostante territorio agricolo. Interdizione di uscirne, pena la vita. Tutti gli animali randagi venivano uccisi. Ogni strada era sottoposta all’autorità di un sindaco. Se la lasciava incontrollata veniva ucciso.
In un giorno pre-determinato ogni famiglia doveva rimanere in casa. Il sindaco chiudeva dall’esterno le abitazioni e le chiavi le consegnava all’intendente di quartiere, che le conservava fino alla fine della quarantena.
Ogni famiglia aveva le provviste, gli alimentari che non avevano venivano forniti e introdotti in casa tramite tubature in legno o ceste issate con le carrucole o le corde.
Se era assolutamente necessario uscire di casa, poteva farlo uno alla volta. Nelle strade giravano soltanto il sorvegliante, l’intendente, i soldati di guardia e i cosiddetti “corvi”, “persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti”.
Foucault dice che le ispezioni erano continue: ogni giorno il sindaco passava per la strada di cui era responsabile; si fermava davanti ad ogni casa; faceva mettere tutti gli abitanti alla finestra e chiamava ciascuno per nome; si informava sul loro stato di salute; erano obbligati a dire la verità per non rischiare la vita; se qualcuno non si presentava il sindaco chiedeva la motivazione: “In questo modo scoprirà facilmente se si dia ricetto a morti o ad ammalati”.
Vigeva un sistema simile a quello carcerario, quando la guardia passava di cella in cella, batteva sulla porta e il prigioniero doveva presentarsi.
La sorveglianza degli abitanti si basava su un sistema di registrazione permanente: rapporti dei sindaci agli intendenti, degli intendenti agli scabini o al sindaco della città.
All’inizio della “reclusione” veniva stabilito il ruolo di tutti i cittadini. Sui registri venivano annotati “il nome, l’età, il sesso, senza eccezione di condizione”: una copia per l’intendente del quartiere, un’altra per l’ufficio comunale, ed ancora un’altra per il sindaco della strada, per poter fare l’appello giornaliero.
Tutto ciò che veniva osservato nel corso delle visite (morti, malattie, reclami, irregolarità) veniva trascritto e trasmesso agli intendenti e ai magistrati. Questi sovrintendevano alle cure mediche, attribuivano un medico e nessun altro sanitario poteva curare l’infermo, nessun farmacista poteva preparare i medicamenti, nessun confessore poteva visitare un malato, senza aver ricevuto un’autorizzazione scritta “per evitare che si dia ricetto e si curino, all’insaputa del magistrato dei malati contagiosi”.
Dopo cinque o sei giorni dall’inizio della quarantena si procedeva alla disinfezione delle case. Gli abitanti venivano fatti uscire all’esterno. In ogni stanza venivano spostati mobili e merci, chiuse le finestre e diffuse delle essenze. Al termine gli addetti alla disinfezione venivano controllati, per vedere se avevano rubato oggetti di valore nelle abitazioni. Dopo quattro ore gli abitanti potevano rientrare in casa.
Alla peste si rispondeva con gli ordini da parte delle autorità costituite, per evitare le confusioni create dalla paura e dalla morte a seguito della malattia e del contagio che si diffondevano rapidamente quando i corpi delle persone erano ravvicinati.
Foucault afferma che oltre alla paura della peste c’era il timore per le rivolte, i crimini, il vagabondaggio, lo sciacallaggio. L’epidemia suscita il desiderio dell’ordine, della disciplina, sorveglianze e controlli, intensificazione e ramificazione del potere.