Autore Topic: Homo faber, homo ludens  (Letto 841 volte)

Doxa

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Homo faber, homo ludens
« il: Febbraio 24, 2019, 17:06:03 »
Homo faber, homo ludens


 
Di solito quasi tutti lavorano per vivere, per avere come corrispettivo il denaro necessario. Si accetta qualsiasi tipo di lavoro, pur di lavorare.
Spesso, sentiamo dire la tipica frase “dovresti trovare un lavoro che ti piaccia davvero", come se fosse facile.

Per poter vivere, molte persone  sono costrette a fare un lavoro inadatto alle loro capacità, a  trascorrere la maggior parte della giornata in un ambiente lavorativo che non piace, con conseguenze sulla salute. E la vita è troppo breve per fare il lavoro che non piace. Per questo motivo, per quanto sia possibile,  si dovrebbe cercare di fare un’attività adatta più o meno al proprio  talento e che dia soddisfazione  quando si fa qualcosa che fa sentire utili e che ci fa stare bene psicologicamente.

Dal modo in cui si affronta la mansione che si svolge  gli esperti in psicologia del lavoro distinguono tre  tipi di persone:
 
1. Chi odia il proprio lavoro. In questo primo gruppo sono incluse le persone che per diversi  motivi odiano il lavoro che fanno. Accade  quando i lavoratori non vengono valorizzati ma “sfruttati”, quando  nell’ambiente lavorativo c’è la competitività esasperata, quando il comportamento di alcuni colleghi  induce ad andare al lavoro svogliati, con stress, senza sentirsi a proprio agio.

2. Chi cerca di svolgere al meglio il proprio lavoro. In questo gruppo  c’è la maggior parte della popolazione. Lavorare è una necessità ed impegno, perciò si cerca di farlo nel miglior modo possibile, anche se con rassegnazione e con la speranza di un lavoro migliore nel futuro o di vincere alla lotteria.
Col tempo si passa dalla speranza all’apatia, all’insoddisfazione,  alla noiosa stressante routine quotidiana.

3. Chi ama il proprio lavoro. In quest’ultimo gruppo ci sono le persone che hanno trovato un lavoro che li definisce e li identifica. Per loro, lavorare non è costrizione, bensì il senso della propria vita.
Con il loro lavoro non solo favoriscono la propria soddisfazione, ma migliorano anche la qualità di vita degli altri.

Le persone che lavorano facendo ciò che amano e che hanno avuto la fortuna di trovare il contesto che dà valore alle loro capacità, lavorano per vocazione.

E’ importante poter svolgere bene un lavoro che piace, verso il quale si ha attitudine. Penso a professionisti come ingegneri, architetti, avvocati, notai,  medici, commercialisti, docenti, ecc., se veramente hanno talento, ma penso anche agli artisti, ai creativi. Per chi ama il proprio lavoro questo non è alienante, non lo considera noioso, ripetitivo, anzi non lo considera lavoro ma piacevole occupazione,  non lavora  solo per avere il denaro necessario, ma “vive per lavorare”.

L’homo ludens è caratterizzato da una naturale tendenza al gioco, al riso, al divertimento. Non subisce il suo lavoro come incombenza necessaria, routinaria, ma lo considera come  piacere dell'homo faber:  l'uomo (e la donna) capace di creare, costruire, trasformare l'ambiente.

Quando è creativo il lavoro diventa gioco, ludum, e  la fase faber diventa parte del piacevole gioco di vivere in cui faber e ludens si fondono indissolubilmente.

Doxa

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Re:Homo faber, homo ludens
« Risposta #1 il: Febbraio 24, 2019, 17:09:44 »

 
Vivere o sopravvivere? È un’espressione quasi comune da sentire quando si parla del binomio lavoro/retribuzione. Si lavora per vivere una vita in maniera dignitosa o per “sopravvivere” ed evitare di scivolare sotto la soglia di povertà ? Non è strano sentire persone che, nonostante abbiano un lavoro, si lamentano di non riuscire ad arrivare a fine mese con un solo stipendio o, in alcuni casi, anche con due.

Il lavoro è l’abilità mentale o manuale che un individuo svolge dietro un corrispettivo economico, ma quanto questo lavoro può “togliere” alle persone?

Un individuo può passare tutta la sua esistenza a lavorare otto, dieci o dodici ore al giorno per avere una paga con cui non può permettersi il lusso di passare del tempo senza stare lì a pensare a cosa fare o non fare, a cosa comprare oggi o rimandare a domani.

Si dovrebbe lavorare per vivere e non vivere per lavorare. Bisognerebbe alzarsi al mattino e affrontare la giornata lavorativa con entusiasmo perché il lavoro dovrebbe rispecchiare le passioni e le capacità di ognuno e questo già è importante per una questione di dignità personale e soddisfazione, e inoltre non dovrebbe essere visto come una costrizione o una corsa affannata per “raccogliere” più soldi possibili ma senza poterli spendere in maniera “calcolata”.

Doxa

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Re:Homo faber, homo ludens
« Risposta #2 il: Febbraio 24, 2019, 17:14:43 »


Si vive per lavorare o si lavora per vivere?

E’ importante che uomini e donne si sentano realizzati nel lavoro che svolgono, ma la loro vita non può essere limitata a questo. E’ importante avere una famiglia, relazioni interpersonali soddisfacenti, degli interessi e delle passioni. Vivere per lavorare non è l’auspicio migliore.

Ci sono persone che hanno bisogno di fare due lavori per poter avere un guadagno mediamente soddisfacente, e ci sono persone che hanno bisogno  continuamente di lavorare per potersi sentire bene, giustificando le loro azioni con frasi del tipo “io sono l’unico che può mandare avanti la baracca”, “io non posso mollare”. Schiavi di se stessi, si deprivano dei piaceri della vita e si isolano sempre più, a volte pur avendo una famiglia che li ama.
Cosa accade a queste persone?

Esiste una forma di dipendenza patologica chiamata work addiction o workaholism definita per la prima volta nel 1971 da Wayne Oates.

Il dipendente da lavoro è caratterizzato da ansia,  nervosismo, se è costretto a stare lontano dall’ambiente lavorativo o da ciò che lo collega: computer, smartphone ecc.. Considera un “lusso” che non si può permettere potersi fermare, godere della compagnia delle persone, viaggiare, uscire a cena ogni tanto, giocare con i propri figli. Invece ciò non è un lusso ma dovrebbe far parte integrante della vita, di una normale vita.

La dipendenza da lavoro può creare ansia, insonnia, difficoltà nell'alimentazione (non c’è tempo per mangiare, bisogna produrre), disturbi psicosomatici come problemi alla pelle, gastrite, disturbi intestinali, emicranie ecc.