Autore Topic: Piacere  (Letto 1332 volte)

Doxa

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Piacere
« il: Ottobre 01, 2017, 00:27:32 »
“Piacere”: figura mitologica, figlia di Amore e Psiche.

Nella mitologia greca è denominata “Hedoné”, divinità di straordinaria bellezza che personifica il piacere. Nella mitologia romana è indicata col nome “Voluptas”, voluttà.

Il sostantivo italiano “piacere” deriva dal latino “placēre”. Ma cos’è il piacere ? E’ la soddisfazione di un desiderio, fisico o spirituale, oppure di aspirazioni di vario genere. 

Nella lingua greca il lemma “piacere” è “hedoné”, che deriva da “hedys” (= dolce).

Da “hedoné” deriva anche il sostantivo “edonismo”: la corrente filosofica che identifica il bene morale col piacere immediato, il godimento come fine dell’essere umano. 

Fu il filosofo Aristippo (435 a.C. – 366 a.C.), fondatore della “scuola filosofica cirenaica”, a porre il piacere come fine primario dell'esistenza, da perseguire ma senza diventarne dipendenti.
Per Aristippo il piacere va vissuto nel presente. Tale opinione fa pensare alla notoria locuzione latina oraziana del “carpe diem”.

La filosofia “edonistica” cirenaica fu ripresa successivamente, ma solo in parte dall'epicureismo, dal nome del filosofo  Epicuro (342 a.C. – 270 a. C.).

Per gli epicurei la felicità è piacere, è assenza di dolore (aponia) e di turbamento (atarassia).

Il conseguimento del piacere costituisce il fulcro dell'etica epicurea che, diversamente da quella cirenaica, tende a conseguire il piacere stabile, duraturo ("catastematico") inteso come conseguimento di benessere e privazione del dolore.

L’epicureismo si diffuse dal IV sec. a.C. al II sec. d.C., quando fu avversato dai cosiddetti “Padri della Chiesa”.
« Ultima modifica: Ottobre 06, 2017, 11:23:41 da dottorstranamore »

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Re:Piacere
« Risposta #1 il: Ottobre 02, 2017, 10:36:16 »
L’edonismo è diverso dall'eudemonismo e dall’utilitarismo, che sono altre due correnti filosofiche che s’interessano anche del piacere.

In questo post esamino l’eudomonismo ed il piacere, nel prossimo post l’utilitarismo ed il piacere.

Eudemonia: deriva dal greco “eudaimonìa” e questo lemma da “eudáimōn”, parola composta da “êu” (= bene) + “dáimōn –“ (= demone): nel significato di “demone favorevole” al destino dell’individuo.

L’eudemonismo considera cosa buona e giusta la felicità, perciò l’individuo deve perseguirla per raggiungerla.

Per gli antichi greci e latini la parola “felicità” poteva essere intesa nel senso che si considerava "felice" chi aveva la fortuna di possedere beni materiali (“olbios” in greco, “felix” in latino) oppure chi poteva godere della serenità psicologica: “eudaimonia” in greco, “beatitudo” in latino.

Ho suddetto che l’eudemonismo va distinto l'edonismo: questo si propone come fine dell'azione umana il conseguimento del piacere immediato inteso come godimento, secondo il pensiero di di Aristippo, o come assenza di dolore, secondo la concezione epicurea.

Anche il filosofo Platone argomenta sul piacere in vari suoi libri, in almeno una decina di dialoghi - in particolare il Filebo.
Platone distingue i "veri" piaceri dai "falsi" piaceri;  esclude i piaceri sensibili, in particolare la sessualità. I piaceri veri sono quelli connessi con la vista e con l'udito e fa l’esempio del bello, assimilato al vero e al bene.  I piaceri veri  li considera stabili, instabili quelli sensibili, connessi al bisogno e al desiderio.

Platone critica una vita intesa unicamente come un continuo fluire, come dimensione del movimento, la quale, secondo Aristippo, era implicita nella nozione di piacere. Una vita di piaceri sensibili, per Platone, è una vita in cui tutto si dissolve nel continuo fluire, in cui non c'è niente di stabile, mentre il piacere vero deve essere in sé stabile. Inoltre,  il piacere vero è un piacere puro, mentre la maggior parte dei piaceri sensibili di cui parlava Aristippo erano "mescolati". A questo proposito Platone dice che se noi vogliamo cogliere il vero piacere, non dobbiamo guardare ai grandi piaceri, perché questi sono sempre piaceri mescolati a grandi dolori; dobbiamo invece guardare ai piccoli piaceri, che sono quelli che ci portano in qualche modo alla nozione del vero piacere. I piaceri puri sono privi cioè di mescolanza coi dolori, hanno un carattere esclusivamente positivo.

Altro carattere fondamentale che rende il piacere "vero" è la misura. Platone fa  degli esempi di piaceri veri: una vita piacevole è in qualche modo una vita che ha bisogno di intelligenza, è una che quindi è connessa con quella capacità di calcolare la quale invece è esclusa dal discorso di Aristippo. Sono piaceri puri quelli che proviamo nel contemplare le figure geometriche, quelli collegati con la conoscenza, quando essa non è connessa ad una eccessiva sete di sapere, che implica in qualche modo uno stato di bisogno. In sintesi, la posizione platonica rappresenta una specie di riforma estetica della nozione di piacere, in cui questa è messa soprattutto in connessione con l'esperienza del bello.

La filosofia cristiana, influenzata dal platonismo e dal neoplatonismo, considerò i piaceri sensuali come fonti di peccato, perciò nel Medioevo scomparve dal dibattito filosofico la relazione tra piacere e significato della vita umana, che costituiva l’oggetto principale della filosofia antica.

Per la Chiesa il piacere è peccato, specie quello derivante dalla concupiscenza sessuale. L’individuo deve avere per il piacere il disinteresse, simile a quello professato dalla filosofia stoica.

Nel periodo dell’Umanesimo il filologo Lorenzo Valla (1405 circa – 1457) pubblicò nel 1432 il “De voluptate” (“Il piacere”), testo nella forma di dialogo, col quale polemizza con la morale stoica e l’ascetismo medievale; esalta il piacere come reale movente dell’azione umana. In questo libro sostiene la possibilità di conciliare il cristianesimo delle origini con l’edonismo di Epicuro e Lucrezio: per questi due filosofi vivere significa aspirare al piacere, al soddisfacimento materiale e spirituale.

A conclusione del dialogo, Valla per non suscitare l’ira della “santa Inquisizione” dice che la suprema voluttà è la ricerca spirituale e la fede in Dio. Ma ovviamente la pubblicazione del testo suscitò molte polemiche e costrinse Valla a lasciare Pavia, dove insegnava nella locale università.
« Ultima modifica: Ottobre 06, 2017, 11:25:42 da dottorstranamore »

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Re:Piacere
« Risposta #2 il: Ottobre 05, 2017, 09:33:30 »
Dopo la medievale considerazione del piacere come peccato da parte del cristianesimo, con l’Umanesimo e poi nel Rinascimento c’è la rivalutazione edonistica del piacere: l’individuo deve seguire gli impulsi naturali, deve perseguire il summum bonum che la natura gli ha indicato.

Ne era convinto anche Lorenzo de’ Medici, infatti nel suo canto carnacialesco “Canzona di Bacco”, scritta nel 1490 per il Carnevale a Firenze, dice:

“Quanto è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c'è certezza.
….”


L’edonistico invito esalta l’effimero piacere nell’età della giovinezza.

Prima di Lorenzo de’ Medici il poeta Angelo Poliziano (segretario di Lorenzo de’ Medici) nella “Ballata delle rose”, scritta nel 1485 per un altro festeggiamento cittadino, una festa della primavera, allude ad una fanciulla che raccoglie fiori e si rivolge alle compagne perché vivano intensamente la giovinezza che come la rosa, presto sfiorisce.

Il piacere come fine dell’agire è sempre stato un vanto dell’utilitarismo (dal latino utilis, utile), dottrina filosofica di natura etica per la quale è "bene" (o "giusto") ciò che aumenta la felicità.

Teorico influente del “principio di utilità” fu il filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham (1748 – 1832), il quale affermava che nel dominio morale i soli fatti che contano sono il piacere ed il dolore: raggiungere il piacere ed evitare il dolore sono gli unici motivi dell’agire umano.

All’utilitarismo fu collegata la “teoria consequenzialista”, secondo la quale un’azione deve essere giudicata buona o cattiva in base alle sue conseguenze e non alle ragioni per cui è stata decisa. Le conseguenze di un'azione devono essere valutate quantitativamente in termini di piacere.

Un altro esponente dell’utilitarismo fu il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill (1806 – 1873), il quale nel suo libro del 1861 titolato “Utilitarismo” assiologicamente divise il piacere in qualità: dai più nobili, come i piaceri morali ed intellettuali, ai meno nobili, come quelli fisici. Un piacere qualitativamente superiore è preferibile ad uno qualitativamente inferiore, per quanto quest’ultimo possa essere più lungo ed intenso.

Per Mill “riconoscere che alcuni tipi di piacere sono più desiderabili e hanno maggior valore di altri, è perfettamente conciliabile con il principio di utilità. Sarebbe assurdo supporre che la valutazione dei piaceri debba dipendere solo dalla quantità”. Ogni individuo potendo scegliere, si indirizzerebbe a quelli più elevati. In questo modo Mill si differenzia da Bentham, secondo il quale i piaceri e i dolori possono essere misurati soltanto con criteri quantitativi.

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Re:Piacere
« Risposta #3 il: Ottobre 11, 2017, 16:41:37 »
Il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724 – 1804) nella “Critica del Giudizio” afferma che piacere e dispiacere sono anche connessi al bello tramite l’immaginazione.

Kant si occupa del “Bello” nella prima parte della “Critica della capacità di giudizio”, nella quale descrive alcune diverse definizioni del bello, una delle quali è compendiata nel detto: “Bello è ciò che piace”. Il bello suscita piacere, a prescindere dalla sua utilità. Ciò che conta è la sua rappresentazione, la sua visione, che viene elaborata dall’individuale percezione, dalla capacità di giudizio e dall’immaginazione.

Il neurologo e psicoanalista austriaco Sigmund Freud (1856 – 1939), fondatore della psicoanalisi, è noto per aver elaborato una teoria scientifica e filosofica, secondo la quale i processi psichici inconsci esercitano influssi determinanti sul pensiero, sul comportamento e sulle interazioni tra individui.

Per Freud l'impulso sessuale infantile e le sue relazioni con il rimosso sono alla base dei processi interpretativi. In disaccordo con lui furono Adler, Jung ed altri per il ruolo eccessivo dato da Freud alla sessualità.

Nella teoria delle pulsioni, contenuta nel saggio “Al di là del principio del piacere”, Sigmund Freud argomenta sui temi dell’Eros e del Thanatos per dare un assetto coerente alle contraddizioni del “principio del piacere”, rilevate durante la sua esperienza clinica.

Invece nei “Tre saggi sulla teoria sessuale” articola il tema dello "sviluppo psicosessuale" e dei correlati processi della libido. L'importanza di questa nuova concezione fu nel non identificare più la sessualità con la sola attività genitale dell'individuo adulto, ma nello scoprire l'esistenza di una sessualità infantile, che si manifesta secondo le caratteristiche peculiari delle evoluzioni dei processi pulsionali della libido.

Nell’Europa cristiana la sessualità veniva considerata una prerogativa della vita adulta, in quanto connessa al solo uso dell’apparato genitale finalizzato alla sola riproduzione della specie e non come una fonte del piacere, perciò la teoria di Freud fu considerata scandalosa.

Il bambino, la bambina venivano considerati creature prive dell’impulso sessuale.
Invece Freud rivoluzionò tale concezione e teorizzò la sessualità non solo come un impulso diretto al piacere corporeo, ma come l’insieme di tutte le attività che provocano appagamento di bisogni elementari. Inoltre, non considerava il bambino una creatura priva di spinta sessuale, perché già nell’infanzia dispone di una propria sessualità.

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Re:Piacere
« Risposta #4 il: Ottobre 12, 2017, 11:45:02 »
Il filosofo e sociologo Herbert Marcuse (1898 – 1979), negli anni ’60 dello scorso secolo fu considerato un leader dei movimenti studenteschi per la grande importanza da lui attribuita all’immaginazione come strumento capace di comprendere la potenzialità delle cose.

“Immaginazione al potere” era lo slogan gridato dagli studenti per realizzare la “liberazione” insieme alle minoranze emarginate, e per contestare il potere a tutti i livelli.

Il 1968 è l’anno simbolo, soprattutto per le contestazioni studentesche in diverse nazioni del mondo, ma anche perché in quell’anno vennero uccisi Martin Luther King (4 aprile) e Robert Kennedy (5 giugno). Ci fu la cosiddetta “primavera di Praga”, stroncata dalle truppe sovietiche nell’agosto successivo, analoghe speranze e delusioni in Polonia, ecc..

In Europa divenne punto di riferimento il maggio francese, con l’occupazione della Sorbona e i tentativi degli studenti di organizzare una forma di democrazia diretta con “l’immaginazione al potere”.

In Italia divenne quasi un simbolo l’università di Trento, con la Facoltà di Sociologia che parve presentarsi come fonte e promotrice di tutte le grandi contestazioni, mentre facevano particolare scalpore le agitazioni studentesche che si verificavano a Milano all’Università cattolica del sacro Cuore (novembre 1967) che avrebbero provocato l’espulsione di alcuni studenti e le reazioni delle autorità accademiche.Le occupazioni si susseguirono in molte altre sedi universitarie, raggiungendo il culmine il primo marzo quando a Roma si svolse la “battaglia di Valle Giulia”, causata dall’occupazione della facoltà di architettura, una vera e propria battaglia urbana che provocò centinaia di feriti tra i manifestanti e le forze dell’ordine.

Gli studenti protestavano anche contro le «baronie» degli accademici, contro un'università ritenuta classista e strumento del capitalismo e contro una scuola ancorata a schemi e regole antiquate.

Vi furono in seguito manifestazioni del dissenso cattolico. L’uso delle categorie marxiane sembrava introdurre nelle comunità ecclesiali alcuni concetti base del marxismo, identificando il Regno di Dio con l’utopia marxista, spingendo i cristiani ad operare in vista della trasformazione della società e presentando la prassi sociale come criterio della stessa vita religiosa.

Un altro segno del dissenso cattolico furono le reazioni, spesso critiche, all’enciclica di Paolo VI, Humanae vitae, pubblicata il 25 luglio 1968, dedicata in particolare al problema del controllo delle nascite.

Da aggiungere che molti studenti della seconda metà degli anni '60 non condividevano i valori dominanti nell'Italia del cosiddetto "miracolo economico": individualismo, potere totalizzante della tecnologia, esaltazione della famiglia e corsa ai consumi. Il rifiuto trovò terreno fertile nelle minoranze che contestavano le due ortodossie dominanti in Italia: quella cattolica e quella comunista. Anche all'interno di tali ortodossie si muovevano ondate di contestazione, basti pensare a don Milani e ai Quaderni rossi e i Quaderni piacentini.

La congiuntura internazionale degli anni '60 ebbe poi un particolare ruolo. La guerra del Vietnam cambiò, ad esempio, il modo di guardare all'America di una intera generazione di italiani. Il mito dell'America degli anni '50 crollò sotto le vampate di napalm dei villaggi vietnamiti.

La Rivoluzione culturale cinese sembrava offrire nuove strade al socialismo: in antitesi al modello gerarchico e centralistico sovietico, la rivoluzione cinese fu largamente interpretata in Italia come un movimento di massa, spontaneo e anti-autoritario, che muoveva dalla base e non dal vertice.

Gli avvenimenti dell'America del Sud e la morte di Che Guevara nel 1967 munì infine gli studenti del loro principale e più grande eroe.

C'era la voglia di dire basta a un modo di essere che molti giovani consideravano ipocrita, formalista, egoista.
Francesco Guccini scrisse la canzone "Dio è morto": "...ai bordi delle strade Dio è morto, nelle auto prese a rate Dio è morto, nei miti dell'estate Dio è morto. Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede (...) perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudini e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto ...".
La Rai la censurò, e fu la dimostrazione del bigottismo del tempo. Infatti, subito dopo il niet della Rai, Dio è morto fu trasmessa dalla Radio Vaticana: La gerarchia vaticana aveva compreso la religiosità della canzone che, fra l'altro, finiva così: "Tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge, in ciò che noi crediamo Dio è risorto, in ciò che noi vogliamo Dio è risorto, nel mondo che vogliamo Dio è risorto, Dio è risorto".

Alla fine del 1968, il movimento studentesco cominciò a capire che le sue lotte, per avere uno sbocco, dovevano agganciarsi a quelle della classe operaia e, seppure le motivazioni di questa alleanza non fossero ben chiare, si verificava una notevole empatia durante determinati eventi di lotta condotti separatamente, con reciproche manifestazioni di solidarietà e sostegno durante l’occupazione di alcune fabbriche o in occasione di scontri con i neofascisti e con le forze dell’ordine.

Con il passare degli anni, il ’68 è diventato una specie di mito; indica per alcuni il tempo della libertà, della fantasia al potere, del sogno di una società di uguali, del rifiuto delle gerarchie e delle regole dell’economia di mercato; per altri sembra il simbolo del rifiuto di ogni gerarchia sociale, di una specie di delirio collettivo distruttore di ogni forma di tradizione, principio dei diversi mali sociali e soprattutto premessa del futuro terrorismo.

In quegli anni dominava fra gli studenti il libro “Eros e civiltà”, pubblicato nel 1955 dal filosofo e sociologo Herbert Marcuse, nel quale formula l’idea di una società non repressiva e confuta alcune tesi espresse da Sigmund Freud ne “Il disagio della civiltà”: saggio sociopolitico col quale esprime la sua opinione sulla tensione tra la civiltà e l’individuo. L'attrito principale, afferma questo psicoanalista, nasce dalla ricerca della persona della libertà istintiva mentre la civiltà necessita della limitazione della libertà istintuale degli individui per il buon funzionamento di una comunità. Perciò la società crea leggi che inibiscono tali desideri per garantire sicurezza e l’ordine a chi ne fa parte, ma gli imperativi che essa impone al singolo sono spesso in contrasto con la soddisfazione dei bisogni individuali. Il disagio del vivere nella società è dunque determinato dal contrasto perenne tra felicità individuale e moralità pubblica.

La teoria di Freud si basa sulla convinzione che nell’umanità alcuni istinti sono immutabili, perciò vengono ostacolati per rendere gli individui civilmente conformi ma infelici, perché gli esseri umani sono governati dal principio del piacere, che viene è soddisfatto dagli istinti.

La civiltà, per intrinseche necessità di ordine, induce a reprimere l’eros tramite la sublimazione. Se al disagio creato dalla civiltà si aggiunge il conflitto fra fra Es, Io e Super-Io si può arrivare alla nevrosi.

Marcuse contesta il processo repressivo descritto da Freud come fattore intrinseco alla natura di ogni società, ed in “Eros e civiltà” sostiene in modo utopico che l' eros, represso dalla civiltà occidentale, dovrebbe allearsi con il progresso tecnologico per la liberazione sociale e individuale dell'uomo.

Nel 1964 questo sociologo pubblica il saggio titolato “L'uomo a una dimensione” nel quale esprime il suo pessimismo e la sua incapacità ad arrendersi ad un ordine sociale che gli appare totalitario, che permea di sé ogni aspetto della vita dell’individuo. Denuncia il carattere repressivo della società industriale, perché induce l’individuo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.

E la Chiesa cattolica ? Di fronte al “nuovo” che irrompeva cosa fece ? Capì di essere coinvolta nella “dissacrazione”, di essere accusata di oscurantismo ed autoritarismo. Credette che le urla dei contestatori fossero la vox populi e cercò, come al solito, di adattarsi alla contemporaneità.

Il Sessantotto durò dieci anni, fino al settembre del 1977, ed ebbe poi, ancora per molto tempo, una tragica appendice con la lotta armata.

ectobius

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Re:Piacere
« Risposta #5 il: Ottobre 13, 2017, 10:55:36 »
Il sessantotto!
“Formidabili quegli anni!”.
Ne so qualcosa!…
Il mondo sarebbe cambiato
Per merito dello spirito
E il mondo è cambiato… come no?
Ma è lo spirito che non è venuto.
È morto, il sessantotto!…
Morti i sogni!
Ora possono ancora vivere i sogni, ma solo fuori dal mondo
“…dormono sulle ali… Dormono al vento”
Fuggono la mota
“L’ermellino muore appena il suo candido vello s’imbratta”:
“… l’ermellino è un animaletto dal mantello bianchissimo, e per catturarlo i cacciatori usano quest’artificio: conoscono le sue tane e sbarrano i luoghi per cui è solito passare, li sbarrano con il fango; poi incalzando la bestiola, la spingono da quella parte, e così, quando l’ermellino arriva al fango, si ferma e si lascia prendere pur di non finire nella mota, lordando quel suo candore al quale tiene più  che alla libertà e alla vita”.
(Cervantes)
La morte sarà rapida a evitare il fango.
Che sarà durato?
Due tre anni ancora, dopo la prima bomba
Millenovecentosessantanove
La reazione fu immediata
E nel millenovecentosettantaquattro era tutto finito!
Restavano il delirio della distruzione
Bombe e terrorismo.
E la moda!
Si la moda che impossessa dei simboli…
E ancora a TV…
E tutto viene imbrattato
E l’hanno ucciso!

Il PCI che ne approfitta… e i radicali anche
Il momento è buono per aumentare il consenso
Consenso inutile, ma buono per il potere.
Essi Lo sanno!
E ingannano.

Si era anche iscritto al partito, che l’avrebbe tradito…
Se ne accorgerà solo dopo molti anni.

Ancora, di quando in quando, si continuava a scendere in piazza con le bandiere Si riempivano strade e piazze, un gran casino di slogan, fischietti… qualche botto di petardi. Ma il sessantotto era fottuto Refluito nella politica… nelle estenuanti mediazioni per il consenso e perdeva pezzi, il sessantotto. Non più rivoluzione culturale, e una nebbia la scontornava mentre rifulgeva la violenza di quelli che non avevano capito un cazzo.
L’aria della rivoluzione culturale: aria fritta!
La sua eco ancora, nell’aula magna o nelle aule dell’università, potevi incontrarla Basaglia, Maccacaro, medicina democratica, i sindacati medici di sinistra… Ancora si riusciva a parlare di autoritarismo, potere, industria farmaceutica… di prevenzione primaria Ambiente, servizio sanitario… ma nel chiuso.
Le assemblee pacifiche, ancora affollate attente composte Ancora, ma come era solo un’eco, la cultura, l’ onestà, l’ intelligenza.
E una volta c’era Maccacaro, in persona, e gli applausi erano scroscianti, ma, improvviso dal fondo della sala, si levò l’urlo: su toni acutissimi… un grido isterico:
“I SOLDI!... I SOLDIiiiiii!!”.

E di soldi, in realtà, molti ne sentivano il bisogno in quell’epoca di inflazione a due cifre. Nei negozi si cambiavano le etichette del prezzo di giorno in giorno, e i ricchi si arricchivano viepiù senza lavorare E gli altri, quelli che tiravano la carretta del Paese, si impoverivano viepiù.
Per alcuni era già questione di sopravvivenza, e di bei discorsi!, mentre i soldi si avviavano a divenire il valore prioritario. 
E poi le bombe… l’insurrezione armata.
La stagione della rivoluzione culturale
Finita!
« Ultima modifica: Ottobre 13, 2017, 16:52:57 da ectobius »

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Re:Piacere
« Risposta #6 il: Ottobre 13, 2017, 16:08:36 »
Ciao Ectobius, si hai ragione la lunga stagione della contestazione giovanile durò più di dieci anni e si unì alla cosiddetta “rivoluzione sessuale femminile” . Aiutami a rammentare  quegli anni analizzando e distinguendo tra  movimento studentesco e successiva lotta armata.

Anche quelle masse, giovanili e non, cercavano il piacere di vivere nella contrapposizione al sistema sociale vigente in quel tempo per colpa della politica, dell’economia, della finanza ed anche della Chiesa cattolica ?

Il piacere e il dispiacere sono i moduli regolatori della nostra vita psichica. La psicanalisi si è interessata molto del piacere. Fu Sigmund Freud  a delineare questa pulsione interna (la libido nella sessualità) che spinge  l’individuo al piacere da soddisfare subito e l’ostacolo che incontra come suo limite. 

Freud distingueva  un  piacere preliminare ed un piacere finale.  Egli scrisse: "Sulla via della copula vi sono certe relazioni intermedie  con l’oggetto sessuale, come il toccamento e la contemplazione del medesimo, che sono riconoscibili come mete sessuali provvisorie. Queste operazioni sono  da un lato collegate esse stesse al piacere, dall’altro aumentano l’eccitamento, che deve durare fino a che venga raggiunta la meta sessuale definitiva” (‘”Tre saggi sulla teoria sessuale”,1905) . Se ne desume che lo scopo della sessualità e del piacere sessuale è la copula.

Freud studiò anche un altro meccanismo psicologico che sposta la pulsione sessuale o l’aggressività verso qualcosa di non sessualizzato o di non aggressivo che ha solitamente un valore sociale,  ad esempio l’attività artistica, intellettuale o  religiosa. Tale funzione la chiamò “sublimazione”.  Il soggetto prova durante le attività sublimanti  un piacere paragonabile alla  soddisfazione della pulsione sessuale o aggressiva. Egli scrisse: “Chiamiamo proprietà di sublimazione questa proprietà di scambiare la meta originaria sessuale con un’altra, non più sessuale ma psichicamente affine alla prima”. 

Nel saggio “Al di là del principio di piacere”, Freud argomenta sui temi dell’Eros (= pulsione di vita) e del Thanatos (= pulsione di morte) e sul concetto della libido (l’energia psichica di natura sessuale) che regola l’eccitazione.

Le scelte della psiche sono dettate dal principio del piacere: l’individuo mira alla soddisfazione immediata e incondizionata dei suoi desideri, anche in modo irrazionale, ma tale desiderio si scontra quasi sempre con la realtà, ovvero con le costrizioni morali e le tradizioni sociali che ostacolano il soddisfacimento del piacere.

Allora al "principio del piacere" subentra il "principio di realtà", che ha lo scopo di rinviare la soddisfazione  in funzione delle condizioni imposte dall’ambiente esterno. Il soggetto, dovendosi adeguare alle richieste ambientali, è costretto ad abbandonare il piacere immediato per l’eventuale  gratificazione differita. Tale principio è  collegato alla coscienza, all’attenzione, al giudizio, alla memoria.

Freud comprese che la psiche non è solo governata da una pulsione al piacere, che chiamò Eros, ma anche da una pulsione distruttiva, un istinto incontrollato di morte che chiamò Thanatos,  come autopunizione derivante dall’impossibilità del piacere.

ectobius

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Re:Piacere
« Risposta #7 il: Ottobre 13, 2017, 18:05:51 »
L’autentica stagione della contestazione culturale in realtà durò pochissimo: la reazione del potere fu immediata, tanto che potremmo già datarla al millenovecentosessantanove con la bomba alla banca dell’agricoltura. Ogni mezzo fu usato, dal controllo dei media, alla moda, al cosiddetto tradimento del Concilio di Papa Giovanni… E le stragi poi che furono il vero inizio degli anni di piombo addebitati alla rivoluzione culturale, nonostante nulla avessero a che fare con le idee del sessantotto, che erano idee di pace… amore. Semplificazione gigantesca!, e a distanza ormai di tanti anni l’origine e la conduzione della lotta armata  restano ancora nel vago… ancora avvolte in una fitta nebbia 
Riguardo alla rivoluzione sessuale femminile, non mi sembra che si possano operare distinguo in quanto essa nacque col sessantotto e ne fu parte integrante fin dall'inizio.
A mio parere quel che è mancato al sessantotto sono state la forza; la capacità; la lucidità di portare veramente a conclusione il “parricidio culturale”, bloccati di fronte al “socialismo reale” e alla “chiesa post-conciliare”… E sì che avevano a disposizione - per agire e portare a fondo l’opera di contestazione globale - non solo il lontano “Budapest 1956”, ma anche la recentissima “primavera di Praga”; oltre l’azione  restauratrice di Paolo VI.
Mancato questo, la reazione ebbe buon gioco nel riportare il tutto al “conformismo borghese” coadiuvata in seguito dalle crisi economiche ricorrenti e dai “progressi” della tecnica.
La frattura ha continuato ad allargarsi e siamo giunti alla voragine dei nostri giorni.
« Ultima modifica: Ottobre 13, 2017, 19:41:41 da ectobius »

Doxa

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Re:Piacere
« Risposta #8 il: Ottobre 17, 2017, 11:13:41 »
Grazie Ectobius per la tua interessante opinione e riflessione riguardo quegli anni della “nostra migliore gioventù”, ben descritta nel film “La meglio gioventù”, diretto dal regista Marco Tullio Giordana. La trama del film comincia dall’estate del 1966 e racconta 37 anni di eventi italiani attraverso la storia di una famiglia, in particolare di due fratelli negli anni della contestazione, della controcultura, e poi della loro maturità. Un bel film che dà malinconia. Come antidoto c’è il piacere, che è il tema del topic.

C’è chi pensa che piacere e felicità siano sinonimi o che coincidano, ma a me sembra che la ricerca del piacere non conduca necessariamente alla felicità, invece la ricerca della felicità può essere tentata tramite il piacere, che è un aspetto importante della motivazione. 

Le teorie della motivazione spiegano che la forza pulsionale spinge ad agire verso oggetti o situazioni che attraggono, provocano il piacere, gratificano. E’ il desiderio che  motiva il soggetto verso l’oggetto di piacere, e la dopamina è il neurotrasmettitore che induce verso l’obiettivo, per esempio nell’ambito della sessualità.

Il piacere è anche collegato alle due forze vitali e simmetriche che il filosofo Friedrich Nietzsche descrive nel saggio del 1872 titolato “La nascita della tragedia dallo spirito della musica”: lo “Spirito dionisiaco” (dal dio Dioniso) e lo “Spirito apollineo” (dal dio Apollo).  Due energie  che sono in opposizione dialettica.

Con “dionisiaco” e “apollineo” Nietzsche intende due atteggiamenti spirituali ( o “psicologici”) dell’individuo, desunti per analogia dalle caratteristiche delle due corrispondenti divinità greche.

Lo “Spirito dionisiaco” indica l’impulso vitale, erotico ed eroico, l’estasi e la volontà di potenza, invece lo “Spirito apollineo” esprime l’equilibrio armonico fra le parti, è estetizzante. L’apollineo nasce come fuga dalla visione dionisiaca della realtà, dal tentativo di sublimare il caos nell’ordine.
Essi simboleggiano due atteggiamenti antitetici: da un lato, Dioniso è l'orgiastico dio della natura selvaggia e incarna il disordine, le forze irrazionali e istintive dell'uomo; dall'altro lato, Apollo è il dio solare, emblema dell'equilibrio, dell'armonia, della razionalità e dell'ordine.

Dionisiaco e apollineo, due poli antitetici, nel contempo  due facce della stessa medaglia, in quanto l'apollineo nasce come reazione alla tragicità dionisiaca della vita, considerata da Nietzsche il valore supremo, perciò la tragicità che la connota non è un motivo sufficiente per sottrarsi ad essa, anzi va motivata dall’individuo con una quantità sufficiente di attività, di pensieri e di emozioni ispirate al principio del piacere, per non diventare preda dell’anedonia, l’incapacità di provare piacere anche in circostanze ed attività normalmente piacevoli, come l’attività sessuale, la socialità, mangiare, dormire.

Gli psicologi consigliano di dedicare una parte di tempo alle cose che piacciono quando si ha la sensazione, quasi ogni giorno, di “tirare avanti” e non di vivere.
« Ultima modifica: Ottobre 17, 2017, 11:38:52 da dottorstranamore »

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Re:Piacere
« Risposta #9 il: Ottobre 19, 2017, 07:15:49 »
Ildegarda di Bingen (1098 – 1179), monaca benedettina tedesca, venerata come santa dalla Chiesa cattolica;  nel 2012  dichiarata “dottore della Chiesa” dal tedesco papa emerito Benedetto XVI.

Ildegarda e le sue monache in preghiera – fotogramma dal film “Vision” di Margarethe von Trotta


L’enciclopedica visionaria Ildegarda, una delle religiose più sorprendenti del Medioevo europeo, dedicò le sue riflessioni anche al corpo femminile: il ciclo mestruale e il modo in cui le fasi lunari lo influenzano, il piacere sessuale, l’orgasmo femminile,  il parto, la maternità. La riproduzione della specie umana e l'amore sono per lei manifestazioni della potenza divina creatrice, di cui uomo e donna sono i portatori. Parlava del sesso come di un atto meraviglioso, passionale e sublime.
Nel suo libro titolato: “Liber causae et curae” (pp. 69 – 70, 76), scrisse: "Quando nel maschio si fa sentire l'impulso sessuale (libido), qualcosa comincia come a turbinare dentro di lui come un mulino, poiché i suoi fianchi sono come la fucina in cui il midollo invia il fuoco affinché venga trasmesso ai genitali del maschio facendolo bruciare ... Ma nella donna il piacere (delectatio) è paragonabile al sole, che con dolcezza, lievemente e con continuità imbeve la terra del suo calore, affinché produca i frutti, perché se la bruciasse in continuazione nuocerebbe ai frutti più che favorirne la nascita. Così nella donna il piacere con dolcezza, lievemente ma con continuità produce calore, affinché essa possa concepire e partorire, perché se bruciasse sempre per il piacere non sarebbe adatta a concepire e generare. Perciò, quando il piacere si manifesta nella donna, è più sottile che nell'uomo, perché il suo fuoco non arde in essa con la stessa forza che nell’uomo”.

“Quando una donna fa l’amore con un uomo, sentendo un senso di calore nel cervello che porta alla gioia dei sensi, comunica il gusto di quella delizia durante l’atto e stimola l’emissione del seme dell’uomo. E quando il seme è caduto nel suo luogo naturale, quell’impetuoso calore discende dal cervello della donna e attira il seme e lo trattiene, e presto gli organi sessuali della donna si contraggono e tutte quelle parti che sono pronte ad aprirsi durante il periodo mestruale adesso si chiudono, nello stesso modo in cui un uomo forte può tenere qualcosa stretto in un pugno”.

Nello stesso libro sopra citato argomenta anche sul parto e sulla maternità: "Quando è vicino il parto, il vaso in cui è chiuso il bambino si apre e la forza dell'eternità, che trasse Eva dalla costola di Adamo, è lì, giungendo all'improvviso, e rivolta tutti gli angoli di quella casa che è il corpo femminile. La prima madre di tutta l'umanità fu fatta a somiglianza dell'etere, perché come l'etere contiene in sé tutte le stelle, così essa, integra e intatta, conteneva in sé tutto il genere umano, che avrebbe generato senza dolore, poiché le fu detto: Crescete e moltiplicatevi."



il monachesimo rappresentava per le donne medievali l’occasione per l’emancipazione almeno parziale dallo stato di sottomissione nella famiglia, questo avveniva tuttavia attraverso l’accettazione della verginità: una modalità voluta dalla struttura ecclesiastica (maschile): le donne uguali agli uomini davanti a Dio (sul piano spirituale), diverse ed inferiori per natura (il corpo, il sesso).

Accettare la monacazione significa, almeno nelle intenzioni, la rinuncia alla propria natura femminile e alle esigenze della propria sessualità, seguendo l’idea-base  dell’uguaglianza spirituale intesa come negazione delle differenze e riduzione della donna a creatura asessuata. Che tale rinuncia avvenisse nei fatti è lecito dubitare.

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Re:Piacere
« Risposta #10 il: Ottobre 20, 2017, 07:48:59 »
Quando soddisfiamo un desiderio il cervello rilascia la dopamina, un neurotrasmettitore che si attiva quando abbiamo esperienze gratificanti, come nel vizio, che è  ricerca reiterata del piacere.

Il vizio induce la pulsione impellente, incontrollabile, da soddisfare; può diventare lesivo per sé e per gli altri; può limitare la propria libertà o la libertà altrui, come accade nelle forme di dipendenza o nelle perversioni.

Per esempio la ludopatia, dà piacere ma  ottenebra la coscienza ed altera la valutazione del bene e del male.

Potenzialmente tutte le azioni che attivano il circuito del piacere sono in grado di sviluppare la dipendenza. Si torna verso la stessa cosa perché s’impara a riconoscerla come fonte di piacere. 

Tra le fonti primarie del piacere c’è l’attività sessuale, che può diventare un’ossessione, come il “sex addicted” (dipendenza sessuale) o eccesso di desiderio sessuale, noto come  lussuria, considerata uno dei sette “vizi capitali” dalla Chiesa cattolica.

Dante Alighieri nella “Divina Commedia” colloca i lussuriosi nel secondo cerchio del quinto canto dell'Inferno, dove vengono puniti: “i peccator carnali,/ che la ragion sommettono al talento.”, cioè i lussuriosi che hanno fatto prevalere l'istinto sulla ragione.

Secondo la teologia morale del cattolicesimo la lussuria è concupiscenza, eccede il raggiungimento del fine riproduttivo, infrange il sesto Comandamento, che vieta di commettere atti impuri. Invece per la psicofisiologia è semplicemente iperattività sessuale.

I cosiddetti “dipendenti dal sesso” pensano che questo sia il loro bisogno primario ed agiscono in risposta al bisogno imperioso ed irrinunciabile di eseguire l’attività sessuale. Considerano il/la possibile partner come un “oggetto” finalizzato al proprio compiacimento, a prescindere dai risultati negativi che il loro comportamento può arrecare a se stessi ed agli altri. Se non riescono a placare il desiderio sessuale diventano ansiosi.

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Re:Piacere
« Risposta #11 il: Ottobre 21, 2017, 11:01:00 »
Il terzo re di Israele, Salomone (1011 a. C. circa – 931 a. C. circa), è descritto nell’Antico Testamento come uomo saggio. Nella sua vecchiaia valutò ciò che aveva fatto e comprese la vanità del tempo dedicato a soddisfare il piacere nelle sue varie modalità: "Poi mi volsi a considerare tutte le opere che le mie mani avevano fatto, e la fatica che avevo impiegato a compierle; ed ecco tutto era vanità e un cercare di afferrare il vento; non c'era alcun vantaggio sotto il sole" (Ecclesiaste 2,11).
Il re aveva fondato la sua esistenza sul piacere come sommo valore,  ma in età avanzata comprese che l'unico valore al di sopra di ogni cosa è l'amore.

Lo conferma anche Paolo di Tarso (5 d. C. circa – 64 o 67 d. C.) nella prima Lettera ai Corinzi "…Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la  speranza e l’amore; ma la più grande di esse è l'amore" (13, 13).

Alla dea dell’Amore, Venere, dedicò questa raffigurazione il  pittore francese William-Adolphe Bouguereau (1825 – 1905)

William-Adolphe Bouguereau: “Nascita di Venere”, 1879; Paris, Musée d’Orsay

Nelle due coppie di amanti ai lati della dea gli uomini sono di carnagione scura e le donne chiara: il pittore manifesta in tal modo la sua opinione della complementarità dell'amore.

Invocò Venere pure il  poeta e filosofo Tito Lucrezio Caro (94 a.C – 50 a. C.) nel suo poema didascalico titolato “De rerum natura”. All’inizio del primo dei sei  libri scrive un inno  alla dea dell'amore, forza vitale della natura e simbolo della “voluptas”, del piacere.  La chiama con l’appellativo  “Aeneadum genetrix”, Madre degli Enèadi, “piacere degli uomini e degli dèi, Venere vivificante, che sotto le mobili costellazioni celesti ravvivi il mare portatore di navi, la terra che reca le messi, poiché grazie a te ogni genere di esseri animati è concepito e vede, (una volta) nato, la luce del sole: te, dea, te fuggono i venti, te ed il tuo arrivo le nuvole del cielo, per te la terra industriosa fa crescere i fiori soavi, per te sorridono le distese marine, e, rasserenato, brilla di una luce diffusa il cielo. Infatti, non appena la bellezza del giorno primaverile si svela, ed il soffio del favonio vivificatore, dischiuso, prende forza, per prima cosa gli uccelli del cielo annunciano te e il tuo arrivo, o dea, colpiti in cuore dalla tua potenza”. […].


« Ultima modifica: Ottobre 21, 2017, 14:44:34 da dottorstranamore »