Parte I
Di uomini, nella mia vita, c'è ne sono stati a bizzeffe.
Aspettate un attimo, non arriviamo a conclusioni affrettate... per chi mi avete preso, una famme fatale? Io sto parlando di amici, amori idealizzati, storie assurde seppur vere, non parlo di amanti e passioni di una notte, altrimenti il mio racconto finirebbe proprio...
ora.
Dicevo, uomini da citare ne avrei in quantità. Ho pensato a lungo su chi soffermarmi: su tutti non si può, si perderebbe troppo tempo.
Allo stesso modo, se ne tralasciassi qualcuno sentirei di star facendo a questo lui un torto. Un torto che, ne son certa, poca importanza avrebbe in quanto lo saprei solo io.
Perciò, comincio subito col dire che il primo, ineguagliabile che mi viene in mente è di sicuro
Papà.
Papà, il cui nome è l'unica cosa che non m'è mai piaciuta tanto, è stato sempre il mio idolo.
Papà il più bello, Papà con i muscoli grossi (e quindi forte come Ercole!), Papà il più intelligente e di sicuro Papà il migliore del mondo.
Un problema a pensarci bene, perché dapprima mi sono trovata a fare i conti con il malsano pensiero che qualche bimbetta con gli occhi grandi e i capelli con i boccoli avrebbe potuto rubare il mio Papà. Poi sono scesa a patti con la vita quel giorno, quando avevo tredici anni e io e Il Mio Idolo abbiamo fatto questa conversazione, più o meno.
《Papà》io, sorriso sgargiante, 《vorrei fare il piercing qui》dito sulla narice. Destra o sinistra non me lo ricordo, perché quel piercing non l'ho fatto.
《No.》Un solo, secco, indiscutibile no.
Dicevo, da quel giorno cominciai a capire che forse, con gli uomini, avrei combattuto tutta la vita. Con le loro incoerenze e i miei perché.
Questa lezione mi fu molto utile quando ebbi una specie di relazione con Davide.
Non saprei come altro definire un rapporto a distanza fra due quindicenni - dei quali uno incerto sulla sua sessualità (non sto parlando di me) - se non
una specie di relazione.
Davide era uno di quei figli di papà, oddio se lo era: basso, riccioluto, viso d'angelo e portafogli così gonfio da camminare zoppicando. Cosa avesse visto in me, non l'ho capito per circa dieci anni. Poi un giorno, pensandoci, mi sono resa conto che in me c'era qualcosa di meravigliosamente perfetto: l'ingenuità.
La nostra pseudo relazione a distanza (800 spendidi chilometri italiani) gli permetteva di passare moltissimo tempo con Marco, il suo migliore amico.
《Sto facendo shopping da Versace per la festa della mamma... con Marco.》
Averei volentieri risposto "Io a mia madre ho preso un bracciale da tre euro".
《Questo week sarò in campeggio... con Marco》
Io quel weekend probabilmente avrei mangiato patatine riguardando La Sirenetta.
Il campanello d'allarme non scattò nemmeno quando la sottoscritta, con le sue deboli forze economiche, percorse quegli ottocento chilometri (troppi da scrivere a numero, bisogna percepire la grandezza della parola ot-to-cen-to) per andarlo ad incontrare.
Un abbraccio. Un "ciao tesoro". Un "mi dispiace Marco non è voluto venire".
Nessun bacio, nemmeno a stampo.
Troppe domande che trovarono risposta due mesi e una email dopo. In breve:
"
Sono un codardo a lasciarti il giorno di San Valentino. BLA BLA BLA. Ti auguro il meglio Bla Bla bla".
Dopo due giorni una foto su MySpace.
Davide. Marco. Un bacio. In bocca.
Avevo avuto la mia prima storia d'amore.
Con un ragazzo che non aveva mai amato me, ma il suo migliore amico.