Autore Topic: Di un giorno  (Letto 502 volte)

presenza

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Di un giorno
« il: Maggio 24, 2017, 20:51:07 »
La storia, mi viene in mente la mia da quando ho cominciato a camminare per quella via che poi ho abbandonato. Non posso dare nulla per scontato, nessuno mi conosce a parte me che so come sono andati i fatti, e se sono qui a parlare di me stessa, qui seduta su questa panchina mentre il mondo scorre, è perché voglio raccontarmi. Penso che possa farmi solo bene, come quando si fa il punto della situazione o che so io, il bilancio della propria vita, si mettono poco a poco i pezzi come in un mosaico, e tutto poi coincide, anche se sbagliato. Il mio disegno non era poi così cattivo, avrei dovuto vivere, e certo questo ho fatto, ma poi sono passati tanti anni, qualche volta me ne sono accorta e qualche altra ho fatto finta, adesso so che è trascorso anche fin troppo tempo e non ho concluso  niente, se per concludere s'intende realizzarsi. Seduta qui adesso mi vengono in mente tanti momenti, o forse sono stati solo sogni, di quelli che ho fatto ad occhi aperti e poi ho messo da parte come abiti vecchi. E comunque poco importa se alla luce di questa giornata senza sole, sto qui a parlare con me stessa come se avessi un pubblico e nemmeno tanto attento. E meno male che i miei pensieri non si vedono, come quelli di chiunque altro d'altronde, anche se poi credo possa essere interessante se fossero trasparenti, così almeno non dovremmo metterci a mentire anche con gli altri. E se a quel tempo, quando laureandomi avessi deciso di partire, andare via senza fermarmi, senza guardarmi indietro, oggi potrei rispondermi diversamente, potrei non essere seduta qui sotto questo cielo grigio di fronte a un campetto dove alcuni bambini gridano rubandosi la palla.
Eppure me la sono fatta tante volte la domanda, se mai avessi un'altra opportunità di vita, come potrebbe essere, farei le stesse cose? E no che non le farei, la risposta ormai è certa, nemmeno una virgola lascerei di quel che ho fatto,  vorrei vivere sicuramente un'altra vita. Magari avrei un albergo, o meglio ancora lavorerei in un circo così potrei girare il mondo perché ho imparato che niente e nessuno rimane sempre uguale, tutto cambia, anche se oggi sono ancora questa me stessa ferma su una panchina con tutt'intorno l'asfalto e qualche carta, e guarderei l'uomo senza stanchezza come fosse peso difficile a rinunciare. In verità ci ho dentro alla radice di me stessa solo amarezza, l'ho già capito da quel giorno in cui te ne sei andato malgrado supplicassi i medici di farti rimanere in vita.
La vita poi cos'è, tutti dicono la loro, io l'ho solo sognata e nel frattempo ne ho vissuto un pezzo senza sapere ch'era partito il conto alla rovescia.  Ora voglio solo guardare, senza pensare a quello che ho davanti, e che sarà mai vivere come fossi un' accampata.
Distendo le mie gambe, alzo le braccia e un ragazzino qui davanti continua a fissarmi come fossi pazza, non c'è tua madre in giro? Suvvia vedi di allontanarti, dico a lui e a chi mi guarda e basta, ho dimenticato da tempo quelle maniere buone delle quali ne avevo un secchio pieno e all'occorrenza le tiravo fuori, oggi non mi rimane che guardare in faccia e dire pane al pane quando è brutto o buono. Forse me lo hai insegnato tu quando sei andato via senza nemmeno salutarmi, non mi hai aspettato eppure mancavano solo due passi. Di certo adesso non mi serve a niente dare la colpa ad un ciao che non c'è stato, però m'aiuta a ritornare all'uso del ricordo, era rimasto impolverato giù in cantina senza nessuna voglia d'essere riguardato come si fa con quei filmini vecchi in super otto, che nemmeno più esiste il proiettore.
Ma a questo punto del racconto ricordo all'improvviso il motivo per cui sono qui seduta ad aspettare, forse qualcuno deve venire, o forse è già venuto e aspetta solo d'essere riconosciuto. Se stessi in silenzio per qualche minuto, forse qualcosa si svelerà alla mia attenzione. Ma certo, adesso sì che mi ricordo, semplicemente voglio che la mia vita si fermi in questo istante così che io possa rivederla tutta, per capire quel senso fino ad oggi non trovato. E vedo scelte fatte perché altre non ce n'erano a disposizione, come quella di quando sono andata a vivere lontano conscia che l'avrei spuntata, e invece sono tornata come una disperata. Avevo, è vero, un po’ d'indipendenza, ma quanto mi è costato comprare casa nuova. Ampia e spaziosa per essere un monolocale, ma tutta mia e simbolo di vittoria. L'avevo arredata in stile marinaro, per sentirmi tutt'uno con il mare e il suo equipaggio. Eravamo io e te, e poi te ne sei andato. Oggi  rimane il ricordo tuo e del tuo nome, ma non me ne faccio niente se non ti posso accarezzare.
Avrò il viso pietoso se questa donna mi ha lasciato un fiore, le sorrido mentre sto a pensare ai fatti miei e a come me li sono procurati.
Ritorno allora a quella sera particolare, giravo in lungo e in largo per trovare una soluzione e tu dicevi di calmarmi che sarebbe andata a finire male. Forse sapevi già qualcosa e non avevi il coraggio di tirarla fuori, e ti guardavo scoprendo in ogni istante gli occhi di chi sa, di chi non vuol restare. Ed aumentava in me la voglia di tirarmi fuori dal tuo pensiero, da quello mio e anche  di quello di qualcun altro.
Non c'erano motivi, ma li volevo e basta. E quella casa piccola sembrava starmi stretta, ciò che all'inizio amavo era diventato uno strazio. E già erano giorni che non dormivo e non mangiavo affatto, non me ne accorgevo, e mi sentivo imperfetta, ma almeno della colpa mi ero liberata lasciandola a te perché potessi farne uso. E tutto questo dentro la mia testa montava come panna, e di ogni aspetto vedevo una mancanza. Poi te ne sei andato a letto, non hai aspettato che mi distendessi accanto, e dopo un attimo ti sei addormentato. Te lo racconto io, te lo racconto come è finito il dopo, e di come le cose sono cambiate.
Giravo in lungo e in largo quel misero monolocale, senza trovare sosta, e neanche una soluzione. Tutto girava anche nella mia testa, del fatto e del non fatto e di come ero diventata, di te, di me e di quello che non avevamo, degli altri come dei nemici, di chi mi aveva oltrepassato, di chi s'era mostrato e di chi s'era realizzato. Così mentre pensavo ad un certo punto una soluzione ricordo d'avere trovato: sarei stata io a dispensare finalmente pace. 
E lo ricordo adesso, come fosse la prima volta, dirigermi al cassetto degli attrezzi di cucina e prendere un coltello, quello di tante volte, quello che un giorno comprasti per caso, e mentre lo impugnavo sempre di più pensavo a come finalmente avrei azzittito tutte quelle voci. Dormivi ed era perfetto, non ci sarebbe stato bisogno di svegliarti, nella testa il rumore era assordante, ed io non vedevo l'ora di sentire pace, e fu così che diedi a tutto una risposta colpendoti senza sapere dove, e poi mi dissi un po', un po' anche per me, non dimenticare che ti sei fatta una promessa e cominciai a sentire un fortissimo dolore prima della pace finale.
Adesso sono qua seduta su questa panchina e aspetto di risentire quella pace, me l'hanno tolta, me l'hai tolta tu quando te ne sei andato senza nemmeno una parola. Quegli uomini vestiti di bianco quando ho chiesto di te, mi hanno risposto che te n'eri andato, ch'ero stata responsabile, di cosa poi, di cercare la pace? Ma almeno dirmi grazie prima di andartene per sempre, questo almeno da te me lo aspettavo, o almeno che ti avrei trovato nel nostro nuovo mondo, ora sono rimasta solo io e non capisco perché. Perciò mi sono decisa d'aspettare questo momento, succederà ancora e questa volta non ci saranno conseguenze.
Il mio essere è dentro questo involucro, imprigionato come fosse in colpa, manca di respiro, ed è pure intorpidito, ogni movimento è lento, ed il pensiero si spezza come fosse debole e senza una vita propria. Di chi è questa voce che mi parla a gesti, guardo e non riesco a vedere niente, continuo a sentirla nelle orecchie, vuole dire qualcosa. Ma io so cosa voglio, voglio di nuovo la mia pace, l'avevo in pugno, e non sono riuscita a compiere gli ultimi due passi.
Guardo le mie mani e non rispondono al comando, suvvia svegliatevi, ordino loro e loro non mi ascoltano, come potrò perciò riprendere il mio discorso?
Nemmeno voglio chiedere, mi dicono tutti che non è il giusto modo, come se ce ne fosse uno quando niente funziona come dovrebbe. E dire che avevo tanto, mancava giusto un poco, e con la mia pace avrei raggiunto il tutto, una vita fatta di mille colori, e tutte le sfumature di ogni momento, uno spazio e un tempo senza bisogno di dire fino a quando, e tu insieme a tutto il resto. Ora so per certo che hai paura, per questo te ne sei andato senza una ragione, hai paura di vivere la vita sul bordo di un muretto, in bilico tra un dirupo e l'altro, eppure questo faccio da quando sono nata, certo sono alla ricerca, ma chi non lo è anche se dice d'essersi realizzato?
Cos'è poi la realizzazione? Una casa, un marito, un lavoro, soldi, viaggi, cosa? Secondo me è essere solo se stessi, la quadratura del cerchio in mezzo a tutte quelle linee che non spuntano da nessuna parte, è questo il vero che non ho raggiunto, e mi bastava poco, sarei stata in un unico atto me stessa per la prima volta, quella che non sono stata quando ho cercato solo cose che potessero restituirmi un po' di me, le stesse cose che tutto il resto del mondo cerca pensando che possano creare una persona. Ma una persona è solo di se stessa e non delle sue cose, questo è lo sbaglio grande che tutti facciamo, e quando lo capiamo per molti è troppo tardi.
Io non voglio perdermi, l'ho fatto per tutto quanto il tempo, e se ne è rimasto ancora, voglio riprendermi quella me stessa e riportarla qui su questa panchina solitaria.