Cos’è la buona scuola?
Se penso che buona significa conforme al bene, che ha voglia di fare, di qualità, di pregio e conservata bene, che rende, che conviene, che fa bene alla salute ed ha validità, a ogni modo giustamente, ch’è senza regole, risulta gradita e rallegra perfino, è ben disposta, promette bene, di sorte propizia, di esito positivo, di cosa semplice, allora di buono, la scuola non ha proprio niente.
Lontano è il tempo in cui la creatività caratterizzava il momento, pezzo di anima ispirata e propria, di una persona libera senza catene appresso. Era sola voglia di trasmettere un vissuto, trama di vita tessuta sui quaderni, a poco a poco, giorno dopo giorno come le ore nel cerchio dell’orologio.
Lontano è il tempo in cui giocando si trasmetteva il senso, poche parole e tutte di un unico effetto.
Oggi c’è tutto e niente, manca il conforme al bene, c’è solo un volto uguale e tutti che lo devono guardare. Da sopra a sotto, dal centro alla periferia è solo una trasmissione di dati virtuali, proiettati di continuo per ore ed ore su una lavagna che non è più nera e sporca di gesso e mani trasudate, ma è bianca, algida, ferma lì impalata a rimandarci l’immagine di cose e non più persone. Così s’è perso che cos’è il rapporto, la relazione tra umani, il rispetto, la stima e perfino il ricordo. Le persone non sono più tali, schedate insieme ai loro fogli per dimostrare al mondo quanto sono bravi, vivono pensando d’essere reali, e in verità parlano con i loro cellulari, seduti accanto gli uni agli altri non si conoscono affatto, ed il profilo è solo riempito da uno stato squallido sul telefonino. Che gli adulti si preoccupino pure dei loro dati trascritti e poi riscritti, hanno bisogno anch’essi dei loro giochi perversi, e chi li sta a sentire se poi sono sbattuti da un luogo all’altro fuori dalle loro case, lontani dai loro figli, hanno voluto lavorare? Che dimostrino pure di saperlo fare, altrimenti nulla è garantito, devono pur sempre documentare, riempire pagine di competenze personali, e fare a gara a chi presenta più dati dentro una griglia predisposta uguale. E l’ironia sta nel far credere d’essere originali, quando non è rimasto altro che il proprio nome in basso, in calce ad una pagina.
E’ questo il territorio nazionale che si difende come fosse inestimabile? Vorrei piuttosto migrare dove l’identità è più sentita che dimostrata, dove alle parole si preferisce il fatto, quello quotidiano, quello più vero e di contatto. Dov’è la scuola, mi chiedo quando ci sto dentro, quando percorro ogni mattina quei corridoi imbiancati mentre ci si rincorre per far firmare circolari di questo e quello, di ciò che deve andare, di meriti e di pregi, di bonus e incentivi.
La scuola è diventata una grande politica, dove chi primo arriva si siede e la stravolge e guarda caso rimane ad ammirare l’operato, come fosse il “creatore”. Che cosa importa se dentro ci stanno uomini e donne, in fondo è un lavoro come tanti, peccato che non rende a breve tempo e si è costretti ad investire lo stesso! Perciò forza e coraggio ad abbattere i tempi, mandiamo tutti al massacro e che si combattano tra loro, usciranno i forti e cadranno i perdenti. Diamo loro in pasto carte, in fondo vivono di questo, chiamiamoli “docenti” e si accontenteranno pensando d’essere vincenti. Diamo loro pensieri, produrranno elementi per aggrovigliare le menti e intanto si sentiranno i salvatori delle nuove genti!
Poveretti, poveri di spirito questi deficienti che ogni giorno si alzano qualunque sia la condizione del loro tempo, mettono i libri in cartella, sottobraccio il tablet a loro regalato perché sono stati tanto bravi, un saluto a distanza alla famiglia perché sono anche stati trasferiti tanto sono competenti, e vanno incontro a quegli adolescenti peggio combinati, attorno ai quali ignari come cavie in un laboratorio, si sperimentano progetti per omologare le loro menti!