Autore Topic: La Chiesa cattolica e le donne  (Letto 9663 volte)

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #45 il: Gennaio 17, 2017, 00:07:18 »
Nel Settecento l’assistenza sociale pubblica e religiosa erano di solito indirizzate alla beneficenza verso i mendicanti, gli infermi, il ricovero di orfani, di bambini abbandonati e illegittimi. In particolare, il recupero delle ragazze abbandonate a se stesse era finalizzato a sottrarle alla prostituzione e alla criminalità. La maggior parte degli interventi erano rivolti alla creazione di istituti femminili, destinati principalmente a ospitare le fanciulle sole. Vennero indicati con il nome generico di “Conservàtori della Virtù”. Una efficace sintesi dei loro scopi è tramandata del cardinale Carlo Luigi Morichini  (1805–1879): “I conservàtori furono creati perché ponessero in salvo l’onestà delle fanciulle, dessero loro una cristiana educazione ed abilitandole ai lavori donneschi e alle faccende domestiche, le preparassero a diventar buone madri di famiglia”. L’istruzione che veniva loro impartita era basata sull’economia domestica: non veniva insegnata la scrittura alle ragazze perché giudicata pericolosa. Gli istituti religiosi femminili avevano regolamenti severi, venivano sorvegliati da chierici che ne garantivano il buon funzionamento nell’affrontare situazioni individuali di grave disagio sociale.

Numerosi istituti religiosi femminili cercarono di dare aiuti alle ragazze povere, di tutelare l’onorabilità delle donne che si rivolgevano a loro (nubili, separate, abbandonate, maltrattate, vedove senza legami parentali e senza casa), di rieducare sia le fanciulle “pericolanti” esposte a situazioni di rischio sia le “pericolate” già “cadute” per errore o sventura. 
 
Questi istituti erano spesso vittime del clientelismo degli amministratori laici o ecclesiastici, che se ne servivano per sistemare le proprie parenti e quelle dei propri “clienti”: “nulla di nuovo sotto il sole” (Ecclesiaste 1, 10).  In questo modo, l’originaria ragion d’essere di tali strutture, ovvero l’opera di soccorso a tutela della moralità femminile negli strati più poveri della popolazione, ne risultava grandemente indebolita. Non va dimenticato che tale servizio non era rivolto alle esponenti della piccola e media “borghesia”, ma a quelle popolane che, per la loro marginalità sociale, costituivano la maggiore minaccia alla stabilità di una società basata sulla centralità e sacralità della famiglia e, soprattutto, su quella gelosa custodia dell’onore femminile che ne costituiva l’indispensabile premessa e il principale fondamento.

La Rivoluzione francese travolse la vita religiosa con le “Leggi di soppressione”, che in tutti gli Stati cattolici (in Spagna nel 1820, in Italia nel 1855 e nel 1866, in Francia nel 1880) si abbatterono sugli istituti religiosi di assistenza considerati non socialmente utili. I loro beni vennero  sottratti alla Chiesa ed incamerati, vennero disperse persone e cose (documenti, archivi, oggetti), le strutture furono diversamente riorganizzate per la diretta gestione dei loro patrimoni e delle loro finalità sociali.

Anche i monasteri femminili (non sottratti alla Chiesa cattolica) necessitavano di azioni più incisive per salvaguardarne il decoro. Gli interventi del vescovo di Bologna, Prospero Lambertini, furono diretti all’efficace controllo istituzionale sulle esuberanze delle monache e indicarono la strada per la “regolata devozione”, per arginare i fenomeni mistici, le esperienze estatiche e visionarie, i casi di simulata santità. Vennero intensificati i controlli sulla scrittura femminile e sui comportamenti disdicevoli.

Le suore e le monache dovevano detestare ricchezze e vanità, vivere in semplicità e modestia, pensare alle devozioni, agli esercizi spirituali. Ma i riti per la monacazione delle ragazze aristocratiche erano, al contrario, la manifestazione dell’eccesso, con feste paragonabili alle cerimonie nuziali, perché considerate nozze mistiche con Gesù.  Le istituzioni ecclesiastiche  tolleravano e spesso incoraggiavano quegli eventi fastosi e costosi  per rendere meno triste l’ingresso delle giovani aristocratiche nella vita religiosa. Erano previsti pranzi, cortei con molti invitati,  ricchi ornamenti  per la monacanda e la chiesa, servizio di paggi e persino spettacoli teatrali. Quei rituali consentivano alle  nobili famiglie di ostentare il proprio prestigio sociale, le relazioni di patronage o di matronage col monastero,  erano occasione per le monache recluse di avere contatti con l’esterno.

A Napoli, ad esempio, il monastero di Santa Chiara si distingueva per il fasto e l’agiatezza dello stile di vita con ricevimenti, feste ed esecuzioni musicali. La stessa opulenta agiatezza c’era nel monastero di San Gregorio Armeno, centro di vita musicale della città, dove si eseguivano musiche composte  dalle stesse monache oltre a quelle di Handell, Pergolesi e Paisiello.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #46 il: Gennaio 24, 2017, 00:13:13 »
Nel 1751, in Francia, con la pubblicazione dell'Encyclopédie cominciò la sfida ai privilegi feudali della nobiltà e dell’alto clero. Le accuse di Diderot, d'Alembert, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Holbach ed altri  contro il fanatismo, l'intolleranza, il dogmatismo, la superstizione, il potere temporale della Chiesa cattolica e il clericalismo, indussero dal 1770 il cattolicesimo conservatore a reagire contro quei philosophes 'colpevoli' di ateismo, miscredenza, empietà.

Poi ci fu la Rivoluzione francese, ed il processo di secolarizzazione della società e di laicizzazione dello Stato furono considerati dalla Chiesa  l’attuazione di un progetto satanico per scristianizzare il mondo. I primi provvedimenti dell’Assemblea nazionale costituente  francese intesero razionalizzare gli intrecci Stato-istituzione ecclesiastica e la proclamazione della libertà religiosa. Furono soppresse  le decime (tasse, ribadite come obbligatorie dal Concilio di Trento, con comminazione della scomunica a chi non le pagava) e furono “incamerati” i beni della Chiesa.

Numerosi monasteri e conventi avevano ricche rendite e grandi proprietà. Ad eccezione di quelli che si dedicavano all'insegnamento o all'assistenza medica, gli ordini religiosi venivano considerati socialmente inutili. Ignavia e rapacità le accuse principali a loro rivolte.

La confisca dei beni, la perdita del potere temporale spinsero i papi a credere che i principi di libertà e di uguaglianza della Rivoluzione francese fossero incompatibili con l’essenza del cristianesimo e motivo di sfaldamento della società. Solo la Chiesa, riunita sotto il sovrano pontefice, poteva garantire “verità”, stabilità e sicurezza. Ma questa velleità papale fu sconfitta da Napoleone I Bonaparte, che in Italia conquistò Stato Pontificio  e fece imprigionare il pontefice Pio VII, favorendo la  “repubblica giacobina romana” del 1798. Poi Napoleone per non inimicarsi i cattolici si accordò con Pio VII, il quale accettò l’assetto politico fondato sui principi della Rivoluzione francese ed il controllo statale dell’istruzione, ma in cambio ottenne per la Chiesa cattolica la restaurazione del culto pubblico e l’istituzione canonica dei vescovi (1801).

Dopo il Congresso di Vienna (1815) si affermarono tre orientamenti nella gerarchia della Chiesa cattolica.  Il primo voleva tornare all’alleanza trono-altare tipica dell’ancien regime, recuperando gli antichi privilegi. La corrente più radicale, controrivoluzionaria (Maistre, Bonald), puntava ad un ritorno al medioevo  teocratico, cancellando l’evo moderno portatore di secolarizzazione e laicizzazione. La terza corrente era quella cattolico-liberale: la chiesa non doveva contrapporsi alla costruzione di Stati ad ordinamento liberal-costituzionale perché i valori di fondo erano compatibili con la fede cristiana.

Un esponente della corrente cattolico-liberale fu Pio IX, eletto al soglio pontificio nel 1846. Fra le sue prime decisioni ci fu quella di concedere l’amnistia per i reati politici. Nei primi anni di pontificato governò lo Stato Pontificio con progressiva apertura alle richieste liberali della popolazione. Istituì nel 1847 la Consulta di Stato, concesse la libertà agli ebrei, permise la libera circolazione dei giornali, ed altro. Il suo rappresentò il più importante tentativo politico-diplomatico dell'epoca per realizzare l’unità d’Italia ma in modo federale  e permettere la sopravvivenza dello Stato pontificio.

Il 14 marzo 1848, a seguito dei moti rivoluzionari  diffusi in varie parti d’Europa, Pio IX concesse la Costituzione: lo “Statuto fondamentale pel governo temporale degli Stati della Chiesa
”, seguendo l’esempio del sovrano delle Due Sicilie. Lo Statuto istituiva due Camere legislative e apriva le istituzioni (sia legislative sia esecutive) ai laici. Ma non fu sufficiente.
Quel 1848 fu un anno drammatico per il papato. Involontariamente lo Stato Pontificio rimase coinvolto nella guerra contro l’Austria, nazione cattolica, per l’indipendenza del Regno Lombardo-Veneto. Come capo della Chiesa universale e allo stesso tempo capo di uno Stato italiano (lo Stato Pontificio) non poteva mettersi in guerra contro un regno cattolico: "Fedeli agli obblighi del nostro supremo apostolato, Noi abbracciamo tutti i Paesi, tutte le genti e Nazioni in un istintivo sentimento di paterno affetto". E ritirò le truppe pontificie da quella guerra.  Non senza conseguenze. Il 15 novembre 1848 a Roma ci fu un tentativo di rovesciamento politico. Fu ucciso Pellegrino Rossi, capo del governo dello Stato Pontificio. Successivamente i rivoluzionari, guidati da Angelo Brunetti (detto Ciceruacchio) pretesero di dettare condizioni per la formazione del nuovo governo. Pio IX, non volendo scendere a patti con essi, ma avendo capito che un'azione repressiva avrebbe potuto innescare una guerra civile, decise di lasciare Roma. Il 24 novembre 1848 il pontefice partì di notte, con la talare di semplice sacerdote, per andare a Gaeta, nel territorio del Regno delle due Sicilie. Pio IX si appellò alle potenze straniere affinché gli fosse restituito il potere temporale. Come è noto accorse in suo aiuto la  Francia. E Pio IX dopo un esilio di 17 mesi rientrò a Roma. Annullò gli atti governativi della “Repubblica romana”, abolì lo Statuto, ripristinò la pena di morte, ripristinò l’isolamento degli Ebrei nel ghetto, con relativi balzelli e divieti.

Successivamente Pio IX contro la sua volontà si trovò coinvolto nella nascita anche in Italia di uno Stato nazionale unitario. Nello Stato della Chiesa le prime città a manifestare l’insofferenza al dominio papale furono quelle dell’Emilia Romagna. Negli anni seguenti numerose furono le insurrezioni, sempre represse con l’aiuto delle truppe austriache. Infine il 20 settembre 1870 si giunse alla conquista di Roma e alla dissoluzione dello Stato Pontificio. 

Durante il pontificato di Pio IX (che durò più di 31 anni, dal 1846 al 1870) alcuni articoli pubblicati tra il 1852 ed il 1854 sulla rivista “La civiltà cattolica”, ribadirono i tradizionali compiti della donna cattolica: sottomessa, obbediente ed esclusa da qualunque tipo di partecipazione attiva alla vita sociale e religiosa. “All’uomo soltanto appartiene per universale dispensazione della Provvidenza il nome di cittadino e l’uso della cittadinanza” (“Dell’educazione dell’uomo e della donna”, in “La civiltà cattolica”, 1854, 6, pag. 502). Secondo tale rivista il sapere non era per tutti, anzi pericoloso oltre che disdicevole per la  modestia della donna, alla quale erano precluse le “arti liberali” e lo studio delle scienze.

Papa Leone XIII pontificò dal 1878 al 1903 ed affrontò in varie circostanze la “questione femminile”. In più occasioni affermò la sua ideologia: società gerarchizzata nella quale le disuguaglianze , espressioni di un ordine stabilito da Dio, dovevano essere accettate come tali. Nelle encicliche “Quod apostolici muneris” (del 1878), “Arcanum” (1880), “Diuturnum” (1881) e “Rerum novarum” (1891), ribadì il carattere sacro dell’autorità e la conseguente sottomissione della donna. Nelle teorie sociali egualitarie vide “mostruosità” che non tenevano conto che la “diseguaglianza degli uomini sulla terra è diseguaglianza necessaria, inevitabile”.

Pur approvando la formazione del movimento cattolico femminile, Leone XIII lo volle circoscritto all’ambito assistenziale per “perfezionare l’istinto materno” ed escluse che potesse occuparsi di emancipazione sociale e politica della donna.

I “diritti dell’uomo e del cittadino", che i movimenti femminili laici volevano declinare anche per le donne, furono vissuti come una minaccia, un pericolo per la “diseguaglianza nel diritto e nei poteri (che) proviene dall’Autore stesso della natura” (da “Quod apostolici muneris”).

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #47 il: Gennaio 26, 2017, 00:08:58 »
La consapevolezza della necessità dell’istruzione per le donne motivò numerose religiose a volgere la propria vocazione verso l’insegnamento scolastico.
 
Rosa Venerini (1656 – 1728) nel 1685 a Viterbo, dov’era nata, cominciò a dedicarsi all’educazione femminile aprendo alcune scuole gratuite. Nell’attività destinata all’istruzione e all’educazione religiosa delle giovani più povere, fu aiutata  da altre due ragazze, Girolama Coluzzelli e Porzia Bacci. 
Nel 1692 il cardinale Marcantonio Barbarigo, vescovo di Montefiascone, affidò  alla Venerini l’incarico di aprire scuole popolari per fanciulle nella diocesi da lui governata. Per iniziativa dello stesso cardinale fu istituita la congregazione religiosa delle “Maestre Pie”, che successivamente aprì altre a scuole in varie località laziali. 
Nel 1694 la Venerini lasciò Montefiascone per tornare a Viterbo, distante circa 15 chilometri, affidando le scuole istituite nel comprensorio falisco ad una sua discepola,  la nobile Lucia Filippini (1672 – 1732) che nel 1707, su richiesta del pontefice Clemente XI, aprì una scuola autonoma a Roma,  dando origine a una nuova congregazione indipendente di “Maestre Pie” , che vengono distinte in “Maestre Pie Venerini” e “Maestre Pie Filippini”.
Nel 1926  Lucia Filippini fu dichiarata beata da  papa Pio XI e canonizzata dal medesimo il 22 giugno 1930. Anche Rosa Venerini salì agli onori degli altari: fu beatificata  da Pio XII nel 1952 eproclamata santa nel 2006 da papa Benedetto XVI.

Altre esperienze di donne religiose che si dedicarono  all’educazione femminile.

A Verona la giovane nobile Maddalena Gabriella dei marchesi di Canossa (1774 – 1835) si dedicò all’educazione delle ragazze povere e la visita agli ammalati. Nel 1808 con alcune compagne diede vita nel quartiere di San Zeno  all’istituto religioso “Figlie della Carità”, dette “Canossiane”.
La congregazione ebbe rapida diffusione in Veneto e Lombardia, specialmente nei centri urbani: nel 1812  venne avviata anche la formazione di maestre contadine per l'insegnamento nelle scuole nelle aree rurali.
Nel 1831 Maddalena di Canossa fondò anche un ramo maschile, la congregazione dei “Figli della Carità”, detti comunemente “Canossiani”, che ebbero origine  a Venezia presso la "casa di carità" annessa alla  chiesa di Santa Lucia, abbattuta nel 1844 per far posto alla nuova stazione ferroviaria.Nel 1941 la fondatrice fu beatificata e nel 1988 proclamata santa dal papa Giovanni Paolo II.

Altre “Figlie della Carità” sono quelle di “San Vincenzo de’ Paoli”. Derivano dalle confraternite francesi delle nobili  “dame della carità”, istituite nel 1617 dal presbitero francese  Vincent de Paul (1581 – 1660) (in Italia noto come Vincenzo de’ Paoli), per il servizio a domicilio dei poveri e degli ammalati. Le “Figlie della carità” erano di estrazione sociale più bassa rispetto alle “dame”. La “Compagnia delle Figlie della Carità” fu fondata a Parigi nel 1633 da san Vincenzo De Paoli e da santa Luisa de Marillac.
Molte generose volontarie erano sparse per Parigi, ognuna a servizio di una diversa confraternita; Luisa de Marillac si rese conto della necessità di raggrupparle, per meglio formarle e accompagnarle nel loro servizio, sia materiale che spirituale. Era una novità per la Chiesa di allora che non ammetteva che ci fossero delle religiose al di fuori del chiostro. Per salvaguardare il servizio dei poveri San Vincenzo impegnava le sue “Figlie” a curarli nelle loro case e conoscerli di persona. Fin dalle sue origini la Compagnia è sottoposta al Superiore Generale della Congregazione della Missione, come volle Luisa de Marillac per preservare l’unità della Compagnia.

Pure la religiosa italiana Leopoldina Naudet (1773 – 1834) fu fondatrice di una congregazione, quella delle “Sorelle della Sacra Famiglia”, creata nel 1816 per l’educazione delle ragazze appartenenti alle classi sociali medio-alte e la formazione delle maestre.
Leopoldina redasse un piano di studi per le ragazze: la conoscenza di 4 lingue (lingue italiana, francese, tedesca, inglese), la calligrafia, il disegno, il catechismo e  la storia sacra. Lezioni di belle arti, matematica, geografia, storia, teoria e pratica dell’economia domestica, principi di creanza e civiltà cristiana.

Nel Lazio le “Suore Adoratrici del sangue di Cristo” furono fondate nel 1834 ad Acuto, in provincia di Frosinone, dalla religiosa Maria De Mattias (1805 – 1866) per la formazione delle giovani. La De Mattias venne ispirata dal fondatore dei “Missionari del Preziosissimo Sangue”, il sacerdote Gaspare del Bufalo (1786 – 1836), beatificato nel 1904 da papa Pio X e proclamato santo da Pio XII nel 1954. Attualmente le adoratrici del Sangue di Cristo si dedicano all'apostolato missionario svolgendo opera di evangelizzazione e promozione umana.

A Napoli, l’istituto religioso dedicato alle “Mantellate Calze di Sant’Agostino”, fu fondato nel 1824 da Maria Giuseppa Crosta per l’educazione di ragazze di “buona famiglia”, cioè di condizioni economiche agiate.
 
Sempre a Napoli si distinse la religiosa e mistica Orsola Benincasa (1547 – 1618), fondatrice nel 1582 delle oblate della SS. Concezione di Maria, suore dedite all’educazione della gioventù. Nel 1617 fondò anche la congregazione delle romite dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine, monache di clausura. Oggi suore Teatine.

Ancora a Napoli, la religiosa Caterina Volpicelli (1839 – 1894), appartenente ad una famiglia dell’alta borghesia, si dedicò alla diffusione della stampa cattolica e al culto al Sacro Cuore di Gesù. Per iniziativa dell’arcivescovo di Napoli, il cardinal Sisto Riario Sforza, fondò la “Pia Unione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù”, impegnata nell’apostolato e nella santificazione delle anime. Anche lei nel 2001 fu beatificata e santificata nel 2009. 

Le donne elencate, fondatrici di congregazioni, segnarono una svolta di autonomia femminile all’interno della Chiesa cattolica, con ruoli di animazione e formazione culturale nella comunità ecclesiale.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #48 il: Gennaio 27, 2017, 10:28:18 »
Il monachesimo forzato condusse numerose donne ad esperienze mistiche: esaltazioni, estasi visioni, possessioni diaboliche,  simulata santità, impetuosa effervescenza religiosa comportamenti esuberanti, rivelazioni del divino.
 
La storia di alcune di quelle donne è nelle deposizioni giudiziarie nei tribunali dell’inquisizione, nelle loro autobiografie, costrette a scrivere con  la vigilanza ecclesiastica, spesso sotto dettatura, ma che comunque evidenziano i disagi interiori e visioni alternative ai modelli imposti.

Per esempio, Maria Antonia Colle (1723 – 1772) fu accusata di simulazione e “affettata santità”. Più volte processata, incarcerata e segregata, riuscì a costituire a Mulazzo (un paesino nell’alto corso del fiume Magra, in provincia di Massa Carrara), con la protezione della marchesa Deianira Malaspina, una comunità segreta e settaria, alternativa alla Chiesa cattolica, considerata corrotta.
Maria Antonia profetizzava l’arrivo di una nuova era, l’unificazione religiosa e la riforma della cristianità. Inoltre, svolgeva funzioni sacerdotali, celebrava messe, matrimoni, confessava le sue seguaci, impartiva battesimi, ordinava sacerdoti, vescovi e cardinali. Lei stessa, trasformata in maschio dal Cristo, sarebbe salita al soglio pontificio per rinnovare la Chiesa, perciò si faceva chiamare “papino”. La sua non fu solo un’esperienza mistica ma una vocazione carismatico-profetica indirizzata alla riforma della Chiesa, che considerava inadeguata a comunicare la salvezza. Il ruolo femminile, nella figura di un papa donna, anche se “trasformata” in uomo da Cristo, ebbe un ruolo determinante in questa visione ecclesiale e teologica che riprendeva temi delle dottrine eretiche femminili (montaniste, guglielmite, aderenti al movimento cristiano laico del “Libero Spirito”, diffuso nell’Europa settentrionale nei secoli XIII e XIV. Il movimento entrò in conflitto con la Chiesa cattolica e fu dichiarato eretico da papa Clemente V al Concilio di Vienne (1311 – 1312), un Comune francese. Gli adepti erano identificati come “Fratelli e sorelle del Libero Spirito” con seguaci anche nel centro Italia. 

In Umbria nei primi anni del ‘300 Giovannuzzo di Mevania, confessore della poi santa Chiara di Montefalco, propagava le opinioni della setta dello “Spirito della Libertà”, fondata dal francescano Bentivenga da Gubbio, i cui adepti sostenevano di essere “impeccabili”, cioè di non peccare, pur compiendo azioni solitamente considerate peccaminose, perché scelti dallo Spirito Santo. 
Giovanni Olorini di Spello in una cronaca  del 1304 a lui attribuita, annota: "Fra Bentivenga da Gubbio francescano passa per Spello con una compagnia d'huomini e di donne quasi nudi, tutti con una croce in mano e nell'altra una frusta, mostrando gran santità e penitenza...".
Chiara denunciò l’eresia ed alcuni eretici. L’inquisitore, il predicatore e teologo francescano Ubertino da Casale (perché nato a Casale Monferrato), nel suo “Arbor vitae crucifixae Iesu” inveisce contro gli adepti della setta, definita “sentina omnium vitiorum”
Nella “Vita di santa Chiara di Montefalco”, scritta dal francese  Berengario di Sant’Africano, vicario del vescovo di Spoleto, si legge che questa donna ebbe la visione di uomini nudi che andavano per la valle di Spoleto flagellandosi: da questa visione essa avrebbe avuto la prima intuizione della setta che si stava diffondendo in Umbria.

In quell’epoca anche la mistica e terziaria francescana Angela da Foligno (1248 – 1309) nelle sue “Instructiones” confuta le teorie dello “Spiritus Libertatis”.

Interessante è la mistica italiana Guglielma la Boema, o Guglielma di Milano, detta la Boema (1210  circa – 1281 circa) Giunse  a Milano nel 1260 accompagnata da un figlio, dove fu un'oblata  nell'Abbazia di Chiaravalle. La sua fama di guaritrice crebbe fino a dar vita ad un movimento religioso, chiamato dei “Guglielmiti”, a cui presero parte molte donne e qualche membro dell'aristocrazia milanese. Quando morì i monaci e le suore di Santa Caterina la proposero per la canonizzazione. La cappella che ne ospitava le spoglie divenne luogo di culto, eliminato dal tribunale dell’Inquisizione che condannò alcuni seguaci per eresia.

Dopo la digressione medievale torno nel 18/esimo secolo, per narrare la storia di Lucia Roveri della Mirandola (1728-1788), venerata nel modenese come “incarnazione di Dio Padre”, chiamata a completare l’opera di redenzione del Figlio per fondare una nuova era di pacificazione universale: la caduta del genere umano avvenuta a causa dell’ingenuità di Eva, sarebbe stata cancellata da Dio incarnandosi nel corpo femminile di Lucia Roveri per manifestare la sua potenza nell’elevare le donne a strumento di redenzione.
All’età di vent’anni, si scoprì una vocazione pseudo religiosa ed iniziò a pronunciare profezie,  ad avere estasi celestiali, compiere sortilegi, leggere il futuro ed era in grado di dire se i defunti fossero in paradiso, purgatorio o inferno … in cambio di piccole elemosine offerte dai parenti naturalmente. Il governo della città la lasciò fare non ritenendola pericolosa, la Chiesa però la ostacolò. 
Fu un furbo contadino di San Martino Carano a porre fine alla sua carriera. La chiamò nella sua casa colonica e le chiese di fargli conoscere il destino del padre morto pochi giorni prima. La profetessa si concentrò un attimo e poi affermò che l’uomo si trovava in purgatorio, ma che con una buona elemosina lo si poteva trasferire in paradiso. A quel punto il contadino l’accompagnò fuori e le mostrò il padre che lavorava tranquillamente nei campi. Lucia Roveri fu costretta ad abiurare davanti ai prelati ed al popolo per evitare il rogo. Morì in miseria nel 1778 ospite dell’albergo dei mendicanti di Reggio Emilia.

Problematico fu anche il caso della terziaria francescana Maria Virginia Boccherini (1761 – 1801). Agli interventi di Gesualda Franceschini, una suora a lei vicina che, per liberarla dagli inganni del Maligno, la schiaffeggiava, percuoteva e prendeva a calci, si affiancava la direzione dei francescani all’insegna della pedagogia dell’annullamento: “Non parlate, non guardate, non ascoltate, non toccate, non desiderate, se non il necessario […]. Stimatevi vilissima”. Eppure Maria Virginia riceveva rivelazioni celesti tali da spingerla a parlare della necessità di una riforma nella Chiesa, iniziando dai sacerdoti che davano cattiva testimonianza. Il suo ruolo profetico, tuttavia, non superò le mura del convento di Santa Elisabetta, a Lucca, perché la mistica fu costretta nella funzione di sofferenza vicaria nella quale i confessori l’avevano relegata: doveva solo patire per i peccatori e per le anime del Purgatorio. 

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #49 il: Gennaio 30, 2017, 09:55:14 »
Tra il Settecento e l’Ottocento l’educazione femminile più elevata era riservata ai nobili, ai ricchi borghesi, dipendeva spesso dai padri, se erano sensibili alle istanze della scienza e della filosofia.

In un precedente post ho citato come esempio l’oblata benedettina Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna al mondo a conseguire la laurea  in filosofia nell’università di Padova, nel 1678. Perché donna, non le fu riconosciuta anche la laurea in teologia, per opposizione del cardinale padovano Gregorio Barbarigo. Comunque la Cornaro fu un esempio significativo per l’accesso femminile alla cultura.

Donne colte e letterate, come già detto in altri post, furono in auge nelle corti rinascimentali, ma furono alla ribalta anche in concomitanza con le novità suscitate dalla filosofia cartesiana e dalle acquisizioni delle scienze sperimentali.

Nei cosiddetti “salotti buoni”  le donne erano promotrici e protagoniste di dibattiti, di riflessioni sul ruolo femminile e sulla propria identità.

Nel Seicento le “femmes savantes” suscitarono l’ironia di Molière per la loro aspirazione al sapere che le faceva apparire presuntuose, invece nel Settecento riformista l'interesse femminile per la filosofia e le scienze era considerato essenziale per la loro formazione culturale.
 
In alcune città, come Napoli, Padova e Bologna, le donne che studiavano potevano avere relazioni culturali di alto livello, sostenute ed incoraggiate da quel cattolicesimo moderato aperto al dialogo tra scienza e religione.

A Napoli la filosofa e traduttrice Giuseppa Eleonora Barbapiccola (1700 – 1740), esponente dell’Illuminismo italiano, nel 1722  divenne nota per la sua traduzione dal francese (e, in parte, dal latino), dei “Principi della filosofia” di Cartesio. L'impegno che vi profuse, andò al di là di quanto richiesto da una traduzione: nell'introduzione al testo ella  difende l’accesso femminile alla cultura superiore ed esprime la volontà  di dare inizio con questo libro di filosofia cartesiana in lingua italiana ad un programma formativo in favore delle donne,  alternativo al consueto connubio “catechismo, cucito, canto, danza, ecc.”, che la tradizione  loro riservava. Sosteneva che la debolezza intellettuale delle donne era dovuta non certo alla natura, ma a una cattiva educazione. La notorietà acquisita come traduttrice le aprì le porte del “salotto intellettuale” di Giovambattista Vico, di cui divenne assidua frequentatrice.

A Padova nel 1723 ci fu un dibattito tra i membri dell’Accademia dei Ricovrati per decidere l’ammissione delle donne agli studi superiori di scienze e belle arti. Si decise di ammettere soltanto quelle intellettualmente e culturalmente dotate. Fra i favorevoli ci fu la poetessa  senese Aretafila Savini de’ Rossi (1687 – 1731)  con la sua “Apologia in favore degli studi delle donne”

A Bologna, nel 18/esimo secolo, nell’Accademia dell’Istituto di Scienze furono accolte alcune donne come socie:

la fisica Laura Bassi (1711 – 1778), seconda donna laureata in Italia dopo la veneziana Elena Lucrezia Cornaro, ma la prima ad intraprendere la carriera universitaria e scientifica, e prima donna al mondo ad ottenere la cattedra universitaria;

l’anatomista Anna Morandi Manzolini (1714 – 1774);

la poetessa e scienziata Cristina Roccati (1732 – 1797), che si dedicò alle scienze naturali ed alla fisica;

la filosofa e matematica Maria Gaetana Agnesi (1718 – 1799). Nel 1748 pubblicò un libro divulgativo e didattico di analisi matematica (in lingua italiana anziché in latino come  tradizionalmente previsto per i testi scientifici), titolato “Instituzioni analitiche ad uso della gioventù italiana”. Questo testo ebbe notorietà e fu tradotto in francese ed in inglese. I dotti dell'Accademia Reale di Francia lodarono il libro come un'opera avanzatissima; l'imperatrice Maria Teresa d'Austria  le inviò un anello di brillanti in un prezioso cofanetto; il papa Benedetto XIV le inviò benedizioni e doni preziosi;  Carlo Goldoni le dedicò un sonetto. Nel 1750 sostituì il padre nell'insegnamento della matematica all'Università di Bologna. Nel 1752 morì il padre ed il pontefice Benedetto XIV le offrì di ricoprire ufficialmente la cattedra, ma Agnesi rifiutò, ritirandosi completamente dalla vita pubblica per dedicarsi ad opere di carità.

Queste donne scienziate, introdotte nelle accademie, animatrici di salotti culturali e presenti nei circoli scientifici, rappresentarono la possibile convivenza tra dimensione religiosa e ricerca scientifica, tra fede e ragione.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #50 il: Gennaio 31, 2017, 09:48:54 »
La Rivoluzione francese suscitò nei cattolici opposte reazioni. Tra le donne c’erano  le sostenitrici dei valori della cattolicità e delle prerogative della Chiesa di Roma, ma anche le anticlericali  aderenti a società segrete.

All’epoca, fra le profetesse apocalittiche c’era  la visionaria Suzette Labrousse (17147 – 1821) che difendeva la Rivoluzione e chiedeva al papa di rinunciare al potere, di abolire gli ordini religiosi. Pensava di convincere il pontefice Pio VI di una catarsi della Chiesa.
 
Alla Labrousse fecero da contraltare le drammatiche profezie della senese  Anna Maria Giannetti (1769 – 1837), terziaria dell’Ordine della Santissima Trinità (Trinitari scalzi) e sostenitrice del trionfo finale del papato.  Tra i suoi carismi, spicca quello di un sole luminoso, che le brillò davanti agli occhi per 47 anni, dal 1790 alla morte: in esso avrebbe visto avvenimenti passati e futuri, e lo stato delle anime di vivi e defunti.

Molte monache, monarchiche, borboniche, antirivoluzionarie videro nella Rivoluzione francese “la spada dell’ira di Dio” e per questo si offrirono in perpetuo olocausto al Signore per difendere la Chiesa di Roma.

Numerosi sono gli scritti dell’epoca che evidenziano consapevolezza della condizione femminile.

Il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill (1806 – 1873), esponente del liberalismo e dell’utilitarismo, influenzato anche dall’ideologia della moglie, la filosofa inglese Harriet Taylor, riguardo i diritti delle donne, pubblicò due saggi: nel 1859 “On liberty”, nel 1869 “The subjection of women”. Inoltre, insieme scrissero: “Early Essays on Marriage and Divorce”, pubblicato nel 1832.
Nel celebre “Saggio sulla libertà” (“On Liberty”) Mill sostiene che un individuo è libero di raggiungere la propria felicità come meglio crede e nessuno può costringerlo a fare qualcosa con la motivazione che è meglio per lui, ma potrà al massimo consigliarlo; l'unico caso in cui si può interferire sulla libertà d'azione è quando la libertà di uno provochi danno a qualcun altro, solo ed unicamente in questo caso l'umanità è giustificata ad agire allo scopo di proteggersi. In tal senso lo Stato è giustificato ad indirizzare la vita degli individui solo quando il comportamento di uno di essi danneggia gli altri. Solo in tal caso potrebbe essere giustificabile la limitazione della libertà dei cittadini da parte dello Stato; il concetto di libertà di Mill si avvicina molto a quello di Alexis de Tocqueville di cui è stato amico.
Nel saggio dedicato alla “La servitù delle donne” (“The subjection of women”), influenzato anche dalle idee femministe della figliastra, Helen,  Stuart Mill rivendica la parità dei sessi nel diritto di famiglia ed il suffragio universale, sostenendo che ciò migliorerà anche gli uomini, i quali smetteranno di sentirsi superiori solo per il fatto di essere maschi e metterà fine all'ultimo residuo di schiavitù legale esistente dopo l'abolizionismo dello schiavismo dei neri negli Stati Uniti.

Decenni prima dei citati saggi di John Stuart Mill, l’1 luglio del 1797, ci fu il discorso della fiorentina Carolina Arienti (1771 – 1818) nell’Accademia di Pubblica Istruzione di Mantova sulla “schiavitù delle donne”. Mise in evidenza i limiti dell’educazione impartita alle donne, denunciò l’uso delle monacazioni forzate, rivendicò gli stessi diritti e doveri degli uomini e la partecipazione delle donne alla vita politica.
La Arienti partecipò con entusiasmo all’esordio della “Repubblica Cisalpina” e fu tra le prime ad evidenziare i limiti della legge in materia di divorzio e diritti patrimoniali. A Milano nel 1804 fondò la rivista “Corriere delle dame”.

Un’altra patriota risorgimentale fu  la nobile Maria Cristina Trivulzio di Belgiojoso (1808 – 1871), editrice di giornali rivoluzionari ma anche filantropa. A Locate, vicino Milano, creò un asilo, una scuola elementare per maschi e femmine per combattere l’analfabetismo, una scuola professionale femminile, una scuola tecnica agraria maschile e laboratori artigianali. Per tutelare l’ordine sociale impose la chiusura delle osterie durante le celebrazioni religiose e oltre le ore 21.00. Trasformò il suo palazzo in una sorta di falansterio. Una sala della villa divenne uno “scaldatoio” per le madri e i loro piccoli, offrì pasti a basso prezzo, medicine per i malati e doti alle donne prossime all'altare. Cristina avrebbe voluto anche modificare gli insegnamenti religiosi, che riteneva in parte criticabili, ma non procedette in una direzione che avrebbe incontrato notevoli ostacoli.

La principessa Adelaide del Balzo Pignatelli (1843 – 1932), eccentrica protagonista del Risorgimento napoletano, fu scelta come “dama di corte”  della regina Margherita di Savoia, che la delegò ispettrice del “Ritiro di Suor Orsola Benincasa”, fondato a Napoli dalla mistica Orsola Benincasa (1547 – 1618). Questo istituto sopravvisse come ente laico educativo alla legge eversiva delle proprietà ecclesiastiche.  La Pignatelli del Balzo lo trasformò in ente per l’educazione femminile, istituì anche la facoltà di magistero, diventando “Università degli studi Suor Orsola Benincasa”, fondata nel 1895 come istituzione accademica privata-parastatale. Nel 1932 fu nominata rettore la pedagogista Maria Antonietta Pagliara, prima donna rettore in Italia.
 


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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #51 il: Febbraio 01, 2017, 00:10:48 »
Papa Pio IX il 29 giugno 1868 con la Bolla “Aeterni Patris” convocò il Concilio ecumenico Vaticano I. La prima sessione fu tenuta nella basilica di San Pietro l’8 dicembre 1869. Vi parteciparono quasi 800 padri conciliari. Le sessioni furono interrotte nel luglio 1870 a causa della guerra franco-prussiana. Il Concilio fu aggiornato sine die il 20 ottobre 1870. Il mese precedente, il 20 settembre ci fu la conquista di Roma da parte dell’esercito italiano e la fine dello Stato Pontificio. I padri conciliari ebbero il tempo necessario per sancire l’assurdo dogma dell’infallibilità del magistero del papa in materia di fede e di morale. Approvarono anche il dogma della conoscenza di Dio con la sola ragione. L’uomo ha questa capacità perché è creato “a immagine di Dio”.
 
Il 9 dicembre 1869 come contrapposizione del Concilio Vaticano I venne organizzato a Napoli l’Anticoncilio, un’assemblea di intellettuali, uomini politici, rappresentanti di associazioni e di legge massoniche. Fu presente anche la delegazione del comitato di Napoli per l’emancipazione delle donne italiane. 185 di loro sottoscrissero la petizione con la quale chiedevano: “la ragione libera da ogni autorità religiosa, l’indipendenza dell’individuo dal dispotismo della Chiesa e dello Stato, la solidarietà dei popoli contro l’alleanza dei principi e dei preti[…] l’emancipazione della donna da vincoli religiosi e legislativi e la necessità dell’istruzione al di fuori di ogni intervento religioso, dovendo la morale essere completamente indipendente da questo intervento”.

L’alta partecipazione femminile fu dovuta all’impegno del patriota Giuseppe Ricciardi e del comitato per l’emancipazione delle donne. Coinvolsero nell’iniziativa donne singole ed associazioni femminili per affermare la fede laica e indipendente. “La donna ha bisogno di emanciparsi dal gioco clericale sotto cui finora è rimasta oppressa né potrà mai abbattersi il mostruoso colosso del papato finché il clero si imporrà alla coscienza della donna e la terrà sua schiava” (Luisa Lolli, 16 novembre 1869).

E del ruolo antimoderno della Chiesa di Roma la poetessa Laura Battista (1845 – 1884) il 27 novembre 1869 scrisse: “Il giorno 8 dell’entrante mese (di dicembre 1869) le belve porporate che si radunano in Vaticano […] formeranno un Concilio […] per opporsi in pieno secolo XIX alla civiltà […]. Gridiamo a Pio IX  che noi ci ridiamo delle sue scomuniche siccome disprezziamo le sue indulgenze […]. Io sento al vivo il dovere di levare su la voce siccome un essere pensante che reclama la sua parte di dignità” 

Le  suddette opinioni evidenziavano il pensiero di una élite, ma erano significative del mutamento di mentalità che si andava affermando e che vide sempre più le donne protagoniste nella trasformazione in atto. Ne fu testimone una delle partecipanti all’Anticoncilio: la napoletana Enrichetta Caracciolo, descritta in un precedente post. Seppe narrare con passione il suo affrancamento dalla condizione monacale per volgersi alla causa liberale. Donna colta e amante degli studi, Enrichetta, come ho già detto, subì come un atto di violenza il suo confinamento nel monastero napoletano di San Gregorio Armeno, per volontà della madre. Le angustie di una vita non scelta misero in evidenza le grettezze di quell’ambiente clericale chiuso ed ipocrita, soffocante e doloroso: “La privazione della libertà, l’uniformità del vivere, la monotonia delle impressioni, la frivolezza della giornaliera conversazione e, nella maggior parte delle monache che si trovano dalla fanciullezza nel chiostro, la scarsissima educazione ricevuta, fanno sì che la terza parte di loro o siano matte del tutto, o fissate almeno su di qualche cosa” (Enrichetta Caracciolo, “Misteri del chiostro napoletano”, pag. 135). Questa donna in più occasioni presentò a Pio IX le istanze per ottenere lo scioglimento dei voti o almeno una dispensa temporanea. Le fu concesso, infine, di soggiornare presso la sorella Giulia, che la introdusse nei circoli massonici. Nel 1851 fu prima arrestata e poi consegnata in custodia presso il ritiro di Mondragone (prov. Di Caserta). Dopo varie vicissitudini, riuscì ad ottenere per motivi di salute, alcuni permessi che le consentirono di muoversi liberamente, anche se controllata dalla polizia a causa dei suoi contatti con le reti cospirative. Il 7 settembre 1860 Garibaldi giunse a Napoli, lei gli andò incontro e nel duomo depose sull’altare il suo nero velo da monaca. Sposò il patriota Giovanni Greuther, corrispondente di giornali politici. Nel 1866 Enrichetta pubblicò un “Proclama alla donna italiana”, esortando le donne a sostenere la causa nazionale per l’unità d’Italia. Nel 1867 fece parte del comitato femminile napoletano di sostegno al disegno di legge di Salvatore Morelli per i diritti femminili. Nel 1869, durante i lavori  del Concilio Vaticano I, partecipò a Napoli all’Anticoncilio del libero pensiero. La sua adesione agli ideali risorgimentali le offrì l’occasione per osservare in modo critico la coercitiva vita monacale di tante donne, la contrapposizione tra le istanze laiche e liberali con le posizioni cattoliche, considerate intransigenti ed oscurantiste, l’emergere della consapevolezza di dignità femminile insofferente alle rigide regole dei ruoli tradizionali.

Il disagio che le donne avvertivano emerse con forza  nelle scrittrici di fine ‘800. Con le loro capacità comunicative riuscirono a far comprendere l’irritazione nei confronti dell’educazione religiosa mortificante.

L’americana Elizabeth Cady Stanton (1815 – 1902) fu una leader dei primi movimenti femministi per l’emancipazione della donna e per l’affermazione dei suoi diritti. La sua “Dichiarazione dei sentimenti”, ispirata dalla “Dichiarazione di indipendenza americana”, viene considerata atto fondativo del primo movimento suffragista e di emancipazione femminile degli Stati Uniti.
La Stanton insieme ad altre 26 donne elaborò anche  “La Bibbia della donna” (Woman’s Bible, 1895 –’98), un testo politico che collega la questione dei diritti delle donne all’errata interpretazione della Sacra Scrittura che ne ostacolava  l’attuazione. Cominciò così quella che poi divenne l’esegesi femminista, anticipata dal lavoro della giornalista e scrittrice vicentina Elisa Salerno (1873 – 1957), femminista di matrice cristiana che dedicò la sua vita a lottare contro ciò che ostacolava la dignità femminile negli ambiti familiare, lavorativo, sociale ed ecclesiale. Nel 1909 fondò la rivista “La donna e il lavoro”, dedicata alle donne impegnate nel lavoro. I suoi scritti erano orientati a combattere l’errata concezione di inferiorità della donna, diffusa anche negli ambienti cattolici e talora supportata dalle gerarchie ecclesiastiche.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #52 il: Febbraio 01, 2017, 22:02:27 »
A  proposito di monacazioni forzate, oggi su alcuni giornali c'è l'articolo riguardante le scarse vocazioni e gli abbandoni. Mi domando  ancora quanti secoli ci vorranno per l'estinzione della religione cristiana, come già avvenuto nell'antichità per altre religioni ? Nonostante il proselitismo in Africa, in Asia  e nelle zone sottosviluppate economicamente depresse per cercare possibili preti o monaci suore o monache,  i seminari rimangono vuoti. Nel passato dalle zone rurali e depresse d’Italia e d’Europa  migliaia di giovani ambivano alla vita clericale, anche senza o falsa vocazione, ma almeno avevano vitto e alloggio gratuito, anche se di tipo mediocre o insufficiente. Le loro famiglie dicevano: “E’ stato chiamato dal Signore” ! Perché ora il “Signore” tace ? Il suo silenzio è “assordante”. Altro che vocazioni.

Posto l'articolo pubblicato  sul quotidiano "Il Messaggero"

La grande fuga dai conventi, crolla il numero delle suore

CITTÀ DEL VATICANO. La fuga è silenziosa, costante, implacabile. Il calo numerico non offre tregua, e anno dopo anno costringe la Congregazione dei Religiosi una sorta di ministero al quale fanno capo gli ordini nel mondo a compilare statistiche negative, sintetizzando una debacle inarrestabile. Le suore sono quelle che in un decennio hanno conosciuto il calo più consistente, passando da 800mila nel 2000 a 693 mila nel 2013. Papa Francesco, sabato mattina, ricevendo un gruppo di religiosi, ha definito il fenomeno una autentica «emorragia». Difficile dargli torto. I segnali del crepuscolo del mondo religioso, maschile e femminile, sono facilmente individuabili persino dalle notizie di cronaca. In Belgio, come in Olanda o in Francia, tanti istituti religiosi, per mancanza di vocazioni, sono costretti a chiudere case, vendere proprietà, fondersi con altre comunità pur di sopravvivere. Spesso alla ricerca di strategie alternative in passato ci sono stati persino istituti religiosi che per non morire, visto il calo delle vocazioni e l’elevata età delle suore rimaste, facilitavano l’ingresso a ragazze straniere andandole a reclutare in villaggi sperduti nelle Filippine o in diversi Paesi africani. Il problema che si trova a fronteggiare il mondo religioso non è uno scherzo.

Al calo fisiologico va aggiunto anche il fenomeno di coloro che monaci o monache lasciano i voti perpetui per fare altre esperienze di vita, magari per sposarsi, o semplicemente per allontanarsi da un ambiente incapace di soddisfare pienamente le aspettative. Di fatto l’anno scorso più di 3.000 hanno lasciato la vita consacrata. Un bilancio pesantissimo e allarmante. Monsignor José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per i religiosi, in cinque anni ha autorizzato 11.805 dispense: certificati di indulti per lasciare l’Istituto, decreti di dimissioni, secolarizzazioni ad experimentum, secolarizzazioni per incardinarsi in una diocesi. Con una media annuale di 2.361 dispense. A questa emorragia se ne aggiunge un’altra, stavolta conteggiata dalla Congregazione per il clero (dal quale dipendono i sacerdoti diocesani). Da questo istituto sono state autorizzate 1.188 dispense.

Sommando i dati, hanno lasciato la vita religiosa 13.123 religiosi e religiose con una media annuale di 2.626. «I numeri non sono tutto, ma sarebbe da ingenui non tenerne conto». Le ragioni di questa disfatta sono molteplici. Carballo, un francescano, prova a dare una risposta: «Viviamo il tempo dello zapping: significa non assumere impegni a lungo termine, passare da un esperimento all’altro senza fare nessuna esperienza di vita. In un mondo dove tutto è agevolato non c’è posto per il sacrificio, né per la rinuncia, né per altri valori. Invece la scelta vocazionale esige di andare controcorrente».

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #53 il: Febbraio 08, 2017, 00:13:10 »
In uno dei precedenti post ho citato la religiosa Leopoldina Naudet (1773 – 1834), nata a Firenze da padre francese e da madre tedesco-slovacca, subendo perciò l’influenza di tre diverse aree linguistiche e culturali e una non comune istruzione. A Firenze studiò dalle monache agostiniane, che erano vicino la parrocchia di San Frediano, poi proseguì gli studi in Francia dalle “Dame di Nostra Signora di Soissons”.

Tornò a Firenze per lavorare come educatrice dei figli del granduca di Toscana, Leopoldo II d’Asburgo-Lorena (1747 – 1792), detto Leopoldo I, granduca di Toscana dal 1765 – al 1790, poi imperatore del Sacro Romano Impero, re d’Ungheria e Boemia dal 1790 al 1792, anno della sua morte. Figlio dell’imperatore Francesco I e di Maria Teresa d’Austria,  fratello della celebre Maria Antonietta, regina di Francia, la quale durante la Rivoluzione francese fu ghigliottinata il 16 ottobre 1793, invece il marito, re Luigi XVI, fu ghigliottinato il 21 gennaio del 1793.

Nel 1790 la Naudet si recò a Vienna al seguito di Maria Luisa di Borbone, moglie di Leopoldo, che il 9 ottobre 1790 viene incoronato “Sacro Romano Imperatore” e Maria Luisa diventa imperatrice consorte, ma regnarono per breve tempo, perché lui morì l’1 marzo del 1792 e lei il 15 maggio dello stesso anno.

Leopoldina si trasferì a Praga, come dama di compagnia dell’arciduchessa Marianna, figlia del granduca di Toscana Pietro Leopoldo.
Marianna nella capitale boema era badessa delle canonichesse, co-fondatrice e madre generale di un istituto maschile, la “Compagnia della fede di Gesù”.
 
La Naudet non si limitò al ruolo di dama di compagnia. Aiutò i francesi esuli a causa della Rivoluzione, collaborò con i “Padri del Sacro Cuore”, sostenuti dall’ex gesuita Giuseppe Varin, impegnato nella riabilitazione dei gesuiti dopo la soppressione della Compagnia di Gesù il 21 luglio 1773, voluta dal pontefice Clemente XIV col breve “Dominus ac Redemptor”.

La comunanza d'intenti tra l’arciduchessa Marianna e Leopoldina Naudet venne cementata da un progetto comune di vita religiosa, a seguito del loro incontro con Niccolò Paccanari, che all’epoca stava cercando di rifondare un gruppo “gesuitico”, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù. Ci riuscì nel 1797 creando la “Società della Fede di Gesù”.
Su invito del pontefice Pio VI il Paccanari provvide nel 1799 ad unire la congregazione da lui fondata con quella dei “Padri del Sacro Cuore”, ma questi, nel 1804, ridiventarono autonomi.

Il carismatico presbitero Niccolò Paccanari fu anche l’ispiratore per la creazione della congregazione delle “Dilette di Gesù”, suore insegnanti che osservavano i voti di castità, povertà ed obbedienza. Con l’aiuto dell’arciduchessa Marianna e delle sorelle Naudet:  Leopoldina e Luisa, venne fondato un istituto per l’istruzione femminile.

Ad Amiens, in Francia, alcuni religiosi della “Società della Fede di Gesù” ed alcune “Dilette di Gesù” dettero vita nel 1800 ad una nuova comunità, le “Bien-aimées”, diretta dalla religiosa francese Maddalena Sofia Barat (1779 – 1865), ma nel 1800 a causa di gravi accuse rivolte a Paccanari, denunciato al Santo Uffizio, motivarono la Barat a distaccarsi e a creare una congregazione femminile ispirata dagli insegnamenti di Ignazio di Loyola, fondatore della “Compagnia di Gesù”. 

Nel 1801 Maddalena con tre consorelle diede vita alla “Società del Sacro Cuore di Gesù”, istituto dedito alla formazione delle madri di famiglia A soli 23 anni venne eletta superiora generale, carica che mantenne per i successivi 63 anni: sotto il suo generalato la congregazione conobbe un'eccezionale diffusione, arrivando a contare 105 collegi in tutto il mondo. Particolarmente importante fu il suo incontro con Rose-Philippine Duchesne, già monaca dell'Ordine della Visitazione, che fondò le prime case dell'istituto negli Stati Uniti d’America.

Dopo la carcerazione di Paccanari , Leopoldina Naudet con alcune consorelle fu costretta a cercare prima a Padova, poi a Venezia ed infine a Verona, una diversa sistemazione.

Invitata dal canonico Luigi Pacifico Pacetti (1761 – 1819), predicatore e missionario, Leopoldina si trasferì nel 1807 con le sue compagne a Verona nell’ex monastero dei santi Giuseppe e Fidenzio per collaborare con  Maddalena di Canossa, da me citata in un precedente post, come fondatrice della congregazione “Figlie della Carità”, suore insegnanti per le ragazze povere. 

Dal 1808 al 1816 i due gruppi (“Dilette di Gesù” e “Figlie della Carità”) condivisero un comune ordinamento con la direzione della Naudet.  Ma dopo otto anni Maddalena di Canossa e Leopoldina Naudet, decisero di separare le proprie strade per fondare  due differenti comunità con due diverse vocazioni: quella di Leopoldina Naudet, denominata “Sorelle della Sacra Famiglia”,  di ispirazione ignaziana (da Ignazio di Loyola) preposta alla formazione delle maestre e all’educazione di ragazze appartenenti agli strati sociali medio-alti;  quella di Maddalena di Canossa , denominata “Figlie della Carità”, di marcata spiritualità vincenziana (da Vincenzo de’ Paoli), orientata verso le classi sociali povere, emarginate, con l’offerta dell’istruzione di base.

A Verona, nel 1816,  Leopoldina  per la sua scuola venne autorizzata ad utilizzare l’ex monastero delle Terese. L’istituto scolastico delle “Sorelle della Sacra Famiglia” era un convitto riservato alle ragazze di “buona famiglia” (nobili o ricche borghesi), ma le insegnanti si dedicavano anche alla formazione delle maestre ed istruivano le fanciulle per la prima comunione.

Il 1833 fu un anno importante per la congregazione delle “Sorelle della Sacra Famiglia”: nel mese di giugno giunse l’approvazione imperiale, il 21 dicembre il riconoscimento pontificio da parte di Gregorio XVI.
Dopo pochi mesi, il 17 agosto 1834, Leopoldina Naudet morì.

Nel 1866 dopo l'annessione del  Veneto al Regno d’Italia la congregazione da lei creata venne soppressa, ma sopravvisse dividendosi in piccole comunità dedite ad asili, scuole, orfanotrofi e oratori.
Nel 2007 papa Benedetto XVI  promulgò il decreto che attribuisce a Leopoldina Naudet il titolo di “venerabile”. Attualmente è in corso il processo per la sua beatificazione.

Invece Maddalena  dei marchesi di Canossa, fondatrice delle  Figlie e Figli della Carità, fu beatificata nel 1941 e proclamata santa nel 1988 dal pontefice Giovanni Paolo II.

Per quanto riguarda i Gesuiti, nel  1814 la “Compagnia di Gesù” fu ricostituita dal papa Pio VII e vi confluirono numerosi religiosi, compresi quelli della “Società della Fede di Gesù”, fondata nel 1797 da Niccolò Paccanari, che fece una tragica fine. Come suddetto, nel 1800 venne accusato di vari reati, condannato dal Sant’Uffizio a dieci anni di carcere e all’interdizione perpetua dal sacerdozio e dai sacri ministeri.

Nel frattempo, dopo la vittoria sull'Austria, Napoleone I Bonaparte decretò il 17 maggio 1809 l'annessione dello Stato Pontificio all'Impero francese.  Il 10 giugno Pio VII replicò scomunicando tutti i colpevoli del sopruso (senza mai nominare Napoleone). Dopo poche settimane il pontefice  Pio VII fu arrestato da militari francesi e portato prima in Francia e poi a Savona. Lo Stato Pontificio venne suddiviso in dipartimenti.

Durante l’occupazione francese di Roma Niccolò Paccanari scomparve dal carcere. Il suo cadavere decapitato venne ripescato nel Tevere nel 1811.
« Ultima modifica: Febbraio 08, 2017, 00:19:39 da dottorstranamore »

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #54 il: Febbraio 09, 2017, 00:06:37 »
Leopoldina Naudet considerava non tollerabile l’ignoranza biblica da parte delle donne, perciò s’impegnò per l’elevazione culturale della gioventù femminile. Il programma di studi che proponeva nelle scuole da lei dirette era di chiara impronta gesuitica. Ella apprese dalle scuole gesuitiche il cosiddetto “metodo ignaziano”, dal nome del fondatore dei Gesuiti, Ignazio di Loyola. 

Il “metodo ignaziano” è la struttura pedagogico-didattica che caratterizza lo stile educativo delle scuole gesuitiche. Ha le radici  sia nel  cosiddetto “metodo parigino” sia nella “ratio studiorum”.

Il metodo parigino, sperimentato da Ignazio di Loyola durante i suoi studi alla Sorbona (1529-1532), era caratterizzato dall’attenzione che il docente poneva alle qualità personali e alle modalità di apprendimento dello studente. Per questa ragione Ignazio lo preferì al metodo praticato in Italia all’epoca, che si fondava soprattutto sul prestigio del docente e sulla sua eloquenza.

La ratio studiorum codifica i principi della pedagogia dei Gesuiti, applicati nelle scuole e collegi da loro fondati. La “Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu” fu elaborata  da una commissione tra il 1581 e il 1599, anno della sua pubblicazione. Questo manuale sul metodo educativo e l'ordinamento delle scuole, composto da 463 regole, codificava un metodo pedagogico imperniato sull'insegnamento del latino e dei classici, emulazione tra studenti e severa disciplina.



Le caratteristiche che portarono al successo dei collegi gesuiti e imposero un nuovo stile di educazione furono la gratuità, l'apertura a studenti di tutte le classi sociali (almeno in linea di principio), l'insegnamento delle "umane lettere" unito a quello delle scienze, la divisioni in classi con insegnanti propri e la progressione da una classe all'altra in base a obiettivi curricolari predefiniti, l'adozione di un programma chiaro e coerente.

I collegi, diversamente dalla case professe, che non potevano possedere beni, erano dotati di rendite e benefattori: si specializzarono nell'educazione dei giovani di nascita aristocratica e alto borghese. I gesuiti si specializzarono anche nella formazione delle classi dirigenti.

La tradizione educativa ignaziana è stata ampiamente aggiornata in anni recenti  tenendo presenti le esperienze derivanti dalla psicodidattica dell’apprendimento, ed è stata strutturata in un metodo chiamato “Paradigma Pedagogico Ignaziano” che  sviluppa le capacità dell’alunno rendendolo attivo e protagonista dell’apprendimento.
Il predetto “paradigma” didattico  pone particolare attenzione:

al contesto, sia per l’insegnamento sia ai modi dell'alunno di acquisire le conoscenze. I docenti si debbono informare della biografia dei discenti per meglio comunicare la materia di studio.

All'esperienza, per suscitare la motivazione all’apprendimento significativo.

Alla riflessione da parte dell’alunno sull’importanza di ciò che impara.

All'azione, fase didattica della comprensione da parte dell’alunno delle abilità acquisite, del conseguimento di competenze.
 
Alla valutazione da parte del docente dell’apprendimento del discente. Anche l’alunno viene invitato all’autovalutazione del suo sapere per conseguire ulteriori obiettivi. 

Il “metodo ignaziano” è fondato sul principio “non multa, sed multum”: locuzione latina che significa “non molte (cose), ma molto (bene). (Quintiliano, Instit., X, I, 59) cioè, non è conveniente studiare molte cose, ma poche e bene.

I gesuiti oltre ad insegnare si dedicano alla catechesi, alla predicazione, all’amministrazione dei sacramenti, alla consolazione spirituale dopo l’ascolto delle confessioni.
 
La confessione libera la “coscienza” e svolge una funzione catartica.
 
Il sacramento della confessione fu istituito da Gesù Cristo, quando la sera della Pasqua ebraica disse ai suoi apostoli: “Ricevete lo spirito santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 22-23).

“Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei vostri peccati” (Atti 2,38), disse l’apostolo Pietro nel suo discorso la mattina di pentecoste.

Giovanni Battista predicò nel deserto  e praticò il "battesimo di acqua" come segno di conversione e di preparazione per accettare colui che battezzerà "in "Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,11)

Anche Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani (6, 1 – 4) invita i cristiani al battesimo come esperienza della Pasqua di Cristo.

Il sacramento della riconciliazione o confessione  nei secoli ha subìto varie modifiche. Per limitarci al periodo ignaziano c’è da dire che nel 1545 papa Paolo III concesse ampi privilegi alla Compagnia in materia di assoluzione. Nel 1552 il pontefice Giulio III  concesse ai gesuiti la facoltà di assolvere i penitenti addirittura dal peccato di eresia.

In connessione con l'aumento dello spazio riservato al sacramento della penitenza, i gesuiti affrontarono sempre più largamente lo studio dei casi di coscienza (casuistica): la casuistica nacque come riflessione su quello che, nelle varie circostanze concrete, poteva essere ritenuto l'orientamento morale più corretto. Per giudicare la colpevolezza di un atto, i gesuiti privilegiarono la teoria del "probabilismo": vi era una molteplicità di opinioni su quello che doveva essere il modo giusto di agire in una determinata situazione e il confessore poteva sceglierne una probabile (non necessariamente la più probabile) se questa era favorevole al penitente.

A questa morale, ritenuta "lassista", i giansenisti ne contrapponevano una estremamente rigorista, che arrivava a rifiutare l'assoluzione ai fedeli fino alla loro totale e irrevocabile conversione.

Il matematico e filosofo  francese Blaise Pascal (1623 – 1662) si inserì nella polemica tra gesuiti e giansenisti con le “Lettere a un provinciale”, meglio note come “Le provinciali”: sono 18 lettere scambiate tra due personaggi fittizi. Pascal  accusa  i gesuiti di tradire i principi della morale evangelica e  di compromettere la religione cristiana  adattandola disinvoltamente ai vizi del secolo.

Numerosi teologi gesuiti  diventarono confessori e direttori spirituali di nobili o di  ricchi borghesi, ma anche di sovrani: in Francia, François Annat e François d'Aix de la Chaise furono i confessori di  Luigi XIV. Lo zio di la Chaise, padre Pierrer Coton, fu confessore di Enrico IV.
 
Per quanto riguarda Ignazio di Loyola c’è anche da dire che nel 1543 per aiutare le prostitute desiderose di abbandonare il meretricio e reinserirsi nella società fondò a Roma la “Casa di Santa Marta” (lo stesso nome ha l’edificio in Vaticano dove risiede papa Francesco).

Nel 1546 a Roma creò il conservatorio delle Vergini Miserabili, presso la chiesa di Santa Caterina dei Funari, dove alle figlie delle prostitute veniva fornita un'educazione ed una dote. Istituzioni simili furono promosse dai gesuiti a Venezia (conservatorio delle Vergini Periclanti) e Firenze (istituto delle Fanciulle della Pietà).

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #55 il: Febbraio 10, 2017, 00:16:28 »
“Femminismo”: questo sostantivo se lo consideriamo come concetto possiamo "vedere" la “lotta” per  la parità politica, sociale ed economica tra maschi e femmine, ritenendo che le donne siano state e siano tuttora discriminate rispetto agli uomini e ad essi subordinate, nonostante le affermazioni che il sesso biologico non è un fattore che discrimina i diritti sociopolitici od economici della persona.

Il femminismo è un movimento politico, culturale e sociale complesso ed eterogeneo, che rivendica pari diritti e dignità tra donne e uomini. Nato nel XIX secolo, si è sviluppato con caratteristiche peculiari in ogni nazione ed epoca. E’ stato nel contempo elaborazione teorica e movimento politico che ha attraversato l’America e l’Europa con esiti differenziati: in Norvegia la capacità politica femminile connessa col diritto al voto attivo e passivo fu riconosciuta nel 1913, in Inghilterra nel 1918, in Spagna nel 1931, In Italia nel 1946.

Il XX secolo rappresenta la presa di coscienza da parte delle donne della propria dignità e della reale possibilità di accedere ai diritti civili e politici.

Le conferenze mondiali sulle donne si sono svolte a Città del Messico (1975), Copenaghen (1980), Nairobi (1985), Pechino (1995), New York (2000) e Milano (2015).
Convocate dalle Nazioni Unite, queste conferenze sono al centro dell'agenda globale per l'uguaglianza tra uomo e donna, attraverso l'individuazione di obiettivi comuni e l'adozione di un piano d'azione per il progresso della condizione femminile. Alla fondazione dell'ONU, nel 1945, solo in 30 paesi (sui 51 fondatori) le donne godevano del diritto elettorato attivo e passivo. Lo Statuto delle Nazioni Unite ebbe il merito di riferirsi agli "uguali diritti di uomini e donne" nel momento in cui si sanciva la "fede (dell'Organizzazione) nei diritti umani fondamentali" e la "dignità e il valore della persona umana". Prima dello Statuto nessun documento aveva sostenuto con tale forza l'uguaglianza tra gli esseri umani e individuato esplicitamente il sesso come elemento discriminatorio. Nei primi decenni gli sforzi delle Nazioni Unite in difesa delle donne sono stati rivolti precipuamente alla codifica dei diritti civili e legali delle donne, e sulla raccolta dei dati relativi alla condizione delle donne nel mondo. La lotta per l'uguaglianza è entrata nella seconda fase con la convocazione delle conferenze mondiali da parte dell'ONU; l'obiettivo era quello di sviluppare una strategia globale per garantire i diritti alle donne.

Il principio di uguaglianza e i “diritti umani” furono vissuti dalla Chiesa cattolica come una minaccia. Fu costante la resistenza dei pontefici nell’accettare l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Pio XII nel radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1948, non ritenne importante menzionare la “Dichiarazione universale dei diritti umani”, promulgata alcuni giorni prima, il 10 dicembre dello stesso anno, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (O.N.U.).

Analogamente i papi che hanno governato la Chiesa fino al Concilio ecumenico Vaticano II (1962 – 1965) non hanno dimostrato significative aperture nei confronti delle richieste femminili del riconoscimento dei loro diritti e dei loro ruoli.  Chiusi nella strenua difesa di una visione tradizionale e patriarcale della famiglia, hanno esaltato il ruolo della donna nella famiglia come luogo della sua identità.

Il periodo che segna la storia delle donne cattoliche nel Novecento ha alcune date significative.

L’8 settembre 1907 papa Pio X fece pubblicare l’enciclica “Pascendi Dominici gregis” (“pascere il gregge del Signore”) per respingere il “modernismo”.  Con questa enciclica, preceduta dal decreto “Lamentabili sane exitu”, Pio X definì il modernismo “sintesi di tutte le eresie”. Ripudiò “le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome”.

La terziaria francescana, educatrice e scrittrice Antonietta Giacomelli (1857 – 1949), nel mese di maggio del 1908 partecipò a Milano al primo congresso di “Attività pratica femminile”, dove propose la sua relazione basata sul rapporto donna – famiglia, evidenziando la necessità di dare alle giovani anche un’educazione sessuale, criticando l’istruzione impartita nei collegi femminili, in quanto finalizzata al ruolo della donna sottomessa all’uomo. La gerarchia ecclesiastica polemizzò con la Giacomelli per le sue affermazioni e nel gennaio del 1912 fece mettere all’Indice alcune sue pubblicazioni.

Fu necessario attendere il  Concilio Vaticano II  per avere una svolta nell’atteggiamento di sospettosa chiusura o di condanna da parte del papato nei confronti della modernità. In questo concilio si permise ad alcune donne di partecipare come uditrici e si decise di aprire l’accesso femminile alle facoltà teologiche.

Nonostante il Concilio ecumenico Vaticano II, la Chiesa ancòra si presenta come un’istituzione monarchica, gerarchica, clericale e maschile.

Nella Costituzione pastorale “Gaudium et spes”  sulla Chiesa nel mondo contemporaneo  c’è la maggior parte delle aspettative del concilio: l'allontanamento della Chiesa  dall’epoca post-tridentina e barocca, dai timori  causati dall'Illuminismo e dai danni ricevuti dalla Rivoluzione francese. Quella era la Chiesa nel mondo ma anche Chiesa contro il mondo.

Il pontefice Paolo VI scrisse che la Chiesa deve dialogare con il mondo in cui si trova a vivere. E con tale affermazione mise fine  al triste capitolo della storia della Chiesa che va dal XVI secolo in poi, quando il papato e le gerarchie ecclesiastiche a chi reclamava autonomia per la scienza, la cultura, la politica, rispondeva con conflitti ed intransigenze senza discernimento.

Nella dichiarazione “Nostra aetate” (Nel nostro tempo), uno dei documenti del  Concilio Vaticano II, del 28 ottobre 1965, si parla fra l’altro della fratellanza universale e dell’amore, mentre un altro documento conciliare, la dichiarazione “Dignitatis Humanae” (dignità umana), tratta della libertà religiosa. 
 



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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #56 il: Febbraio 11, 2017, 00:10:14 »
In un precedente post ho citato la scrittrice francese Olympe de Gouges, pseudonimo di Marie Gouze (1748 – 1794), la quale durante la Rivoluzione francese scrisse articoli e saggi  femministi e abolizionisti. Nel 1788 pubblicò le "Réflexions sur les hommes nègres" in cui contestava la schiavitù; successivamente, basandosi  sulla “Dichiarazione dei diritti dell’Uomo”, del 1789, scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, pubblicata nel 1791, con la quale chiedeva l'uguaglianza politica e sociale tra  maschi e femmine.  Il 3 novembre 1793 fu ghigliottinata perché si era opposta all'esecuzione di Luigi XVI.

Anche nel Regno Unito  vennero pubblicati libri a sostegno della tesi dei diritti per le donne. Mary Wollstonecraft pubblicò nel 1792 “A Vindication of the Right of Women”, nel contempo venivano formati i primi circoli femminili. Tuttavia le richieste delle donne non ottennero risposte adeguate, sino a quando con la riforma del 1832 e con la legge comunale Corporations Act del 1835, alle donne venne concesso il diritto di voto, anche se era limitato alle elezioni locali, mentre per quelle nazionali non era possibile.

Nella metà del XIX secolo i movimenti femminili avevano come principale obiettivo l'uguaglianza delle donne di fronte alla legge,  la possibilità di votare alle elezioni politiche, il cambiamento del diritto familiare, l’ampliamento dell’istruzione alle ragazze, l’inserimento nel mondo del  lavoro. Ma le richieste dei movimenti femminili collidevano con l’ideologia cristiana cattolica, che voleva le donne relegate nell’ambito familiare in condizione subalterna all’uomo.
Le richieste delle donne, che tendevano a svincolarsi dalla tutela maschile per acquisire autonomia e riconoscimento di uguale dignità, incontrarono fortissime resistenze da parte delle gerarchie cattoliche, che in quelle richieste vedevano frantumarsi i valori riguardanti la famiglia, la società e la cattolicità.

Tra il 1820 e il 1840 oltreché in Francia anche in Inghilterra le rivendicazioni  femminili si concentrarono più che sulla questione del voto, sulle disuguaglianze e sul ruolo subordinato delle donne, soprattutto nell’ambito della famiglia e del matrimonio.

Nel 1848 un gruppo di donne statunitensi si riunì a Seneca Falls, nello Stato di New York, per elaborare un documento condiviso, la “Declaration of sentiments”, che si richiamava alla “Dichiarazione d’Indipendenza americana”, pubblicata nel 1776. Nel loro documento scrissero:  “Si delibera che è un dovere delle donne di questo paese assicurarsi il loro sacro diritto al voto”.

Nel 1864 papa Pio IX in occasione della festività religiosa dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre, fece pubblicare il “Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores”  (=  “Elenco contenente i principali errori del nostro tempo”, comunemente noto come “Sillabo”):  è un elenco di ottanta proposizioni  che condannano il liberalismo, l’ateismo, il comunismo, il socialismo, l’indifferentismo, il matrimonio civile, ed altro. La volontà di pubblicare un elenco di errori da condannare era in nuce da vari anni. Fu proposto nel 1849 dal vescovo di Spoleto, che poi divenne il futuro papa Leone XIII. 

Il “Sillabo” venne pubblicato  come allegato all’enciclica “Quanta cura”, che condanna gli “errori moderni”, “le nefande macchinazioni di uomini iniqui che, schizzando come i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie e promettendo libertà mentre sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli e con i loro scritti perniciosissimi si sono sforzati di demolire le fondamenta della Religione cattolica e della società civile, di levare di mezzo ogni virtù e giustizia, di depravare gli animi e le menti di tutti, di sviare dalla retta disciplina dei costumi gl’incauti, e principalmente la gioventù impreparata, e di corromperla miseramente, di imprigionarla nei lacci degli errori e infine di strapparla dal seno della Chiesa cattolica”.

Nel 1869, negli Stati Uniti, furono creati due movimenti a sostegno del voto femminile, la “National Association for Woman Suffrage” e la “American Woman Suffrage Association” ,  che si fusero nel 1890 nella “National American Woman Suffrage Association” , che avviò una campagna di  mobilitazione nei singoli Stati della federazione. 
Nel 1869 anche in Inghilterra le attiviste femminili crearono il movimento nazionale delle “suffragette” che chiedevano il diritto di voto alle donne.

Alla fine dell’Ottocento ci fu un’accelerazione dell’azione suffragista. Oltre al voto chiedevano la lotta alla prostituzione e all’alcolismo,  l’autonomia della sfera riproduttiva e sessuale nell’ambito familiare. Il protagonismo femminile  trovò accoglienza nei mass media, nelle petizioni, nelle conferenze.

Tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale il diritto di voto divenne l’elemento centrale della battaglia del movimento delle donne,  le suffragiste inglesi e americane furono le principali protagoniste delle campagne  per l’acquisizione dei diritti politici.

Nello stesso periodo  la Chiesa cattolica condannava la modernità e la secolarizzazione, considerata mortale minaccia per la cristianità. 
In Italia due delle figure storiche del suffragismo, Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff,  autrice della legge sul lavoro delle donne e dei bambini, del 1902, coniugarono in diverso modo femminismo e socialismo, anche se il rapporto tra partiti, movimenti politici e suffragismo, fu spesso difficile e costrinse spesso i movimenti delle donne di ridefinire obiettivi e tattiche.

Il papa Pio X, che pontificò dal 1903 al 1914, con il motu proprio “Inter pastoralis officii sollicitudines”, del 1903, riguardante la musica liturgica ed il canto gregoriano nelle chiese, vietò alle religiose di far parte dei cori parrocchiali per l’incapacità delle donne di esercitare uffici liturgici. L’anno successivo nel periodico mensile “Acta Sanctae Sedis” (= “Atti della Santa Sede”), del maggio 1904, contenente pubblici documenti del papa e della curia romana, c’è scritto: Non si conceda mai la parola alle signore. Benché rispettabili e pie”.

L’emancipazione femminile sembrava contribuire allo sfaldamento della società, perciò veniva osteggiata. Ma l’esigenza dei tempi convinse Pio X ad istituire nel 1909 l’Unione tra le donne cattoliche d’Italia, movimento moderato che avrebbe dovuto arginare le richieste del femminismo laico (che chiedeva diritto di voto, accesso agli studi universitari, ingresso nel mondo del lavoro) e tutelare il ruolo tradizionale della donna nell’ambito domestico. Alla principessa Cristina Giustiniani Bandini (1866 – 1959), cui diede l’incarico di organizzare il movimento cattolico, ne aveva chiarito la missione, essenzialmente caritativa e religiosa: “Esclusa la politica e l’esigenza dei diritti che sono in opposizione diretta coi doveri imposti alla donna dalla Provvidenza” (“Lettera a Cristina Giustiniani Bandini, 1908).

In Inghilterra il 6 febbraio 1918 le donne sopra i 30 anni ottennero il diritto di  voto grazie al "Representation of the People Act", ma soltanto nel 1928 avrebbero potuto votare alla stessa età degli uomini.

Il 26 agosto 1920 il 19/esimo emendamento - che dava diritto di voto a tutti gli americani adulti senza distinzione di sesso - diveniva parte della Costituzione degli Stati Uniti e 26 milioni di donne potevano da quel momento recarsi alle urne.

La tragedia delle due guerre mondiali, intervallate dall’affermazione dei regimi totalitari, mise in evidenza il ruolo fondamentale delle donne durante i conflitti bellici, ma confermò anche la loro strumentalizzazione in funzione ideologica per tutelare la cultura nazifascista.

Il 30 gennaio 1945, mentre l'Italia era ancora in guerra, il  Consiglio dei ministri dell'Italia Libera presieduto da  Bonomi, approvò il decreto legge che prevedeva il diritto di voto esteso a tutti gli italiani che avessero 21 anni compiuti. Le donne votarono, per la prima volta, nelle elezioni amministrative della primavera del  1946, nonché nel successivo referendum del 2 giugno dello stesso anno per l'elezione dell’Assemblea costituente ed il referendum per la scelta tra monarchia e repubblica.
 
Pio XII accettando il voto alle donne sancito nel 1945 (ma in atto nel 1946) superò le resistenze all’ingresso femminile nella politica, indirizzando le donne cattoliche verso determinati partiti politici, in particolare la Democrazia Cristiana.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #57 il: Febbraio 12, 2017, 00:16:26 »
Il 25 gennaio 1959 papa Giovanni XXIII, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, annunciò la revisione del Codice di diritto canonico e il Concilio ecumenico Vaticano II, che venne svolto in quattro sessioni dal 1962 al 1965 per il  completamento della riflessione sulla Chiesa, sia nel rapporto con il mondo sia nella definizione della sua identità e natura, già avviata dal Concilio Vaticano I, interrotto nel 1870 a causa della “presa di Roma” da parte delle truppe di Vittorio Emanuele II.  Fu l’episodio conclusivo del Risorgimento che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia.

La conquista della città il 20 settembre 1870 decretò la fine dello Stato Pontificio come entità storico-politica e il cambiamento nella gestione del potere temporale da parte dei papi. 

Lo Stato Pontificio, detto anche Stato della Chiesa o Stato Ecclesiastico, durò oltre mille anni, dal 752 al 1870 e condizionò in modo determinante la politica degli Stati europei.

Nonostante le mutazioni politico-sociali, i cambiamenti alla fine del XIX secolo coinvolsero solo marginalmente le donne.

Nei primi decenni del XX secolo la Chiesa  cattolica pensò di tutelare la peculiarità femminile ipostatizzando i ruoli culturali sin lì elaborati. Considerò pericoloso ed alienante l’accesso della donna al mondo del lavoro, la domanda di diritti civili, primo tra tutti il diritto di voto.
 
Nel 1963 con l’enciclica “Pacem in terris” papa Giovanni XXIII diede impulso al movimento delle donne, riconoscendo la loro emancipazione come un importante e positivo segno dei tempi: “diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica” (Pacem in terris, 22).

Il Concilio Vaticano II si occupò della struttura della Chiesa e dei suoi rapporti con il mondo, ma non della questione femminile, anche se ai lavori conciliari parteciparono  per volontà di Paolo VI 23 uditrici. Comunque da quella assemblea scaturì un messaggio alle donne: “l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto”.

Nella costituzione apostolica conciliare “Gaudium et spes” (= la gioia e la speranza), promulgata da Paolo VI c’è scritto che ogni tipo di discriminazione, compresa quella in ragione del sesso, deve essere superata ed eliminata in quanto contraria al disegno di Dio (n. 29); si sottolinea che è dovere di tutti fare in modo che la partecipazione delle donne nella vita culturale sia riconosciuta e facilitata (n. 60). Dipiù non c’è.

Il 25 luglio 1968 fu pubblicata l’enciclica di Paolo VI “Humanae vitae” perché la scienza stava cominciando a “mettere le mani” sui meccanismi della procreazione e nella sua lettera il pontefice  espone le riflessioni della Chiesa sul problema dello sviluppo demografico, delle mutate condizioni sociali, culturali ed economiche, del nuovo ruolo delle donne e dello sviluppo delle scienze nel campo del dominio dei processi naturali. A questa tendenza il papa oppone la visione cristiana: “Il problema della natalità, come ogni altro problema riguardante la vita umana, va considerato, al di là delle prospettive parziali - siano di ordine biologico o psicologico, demografico o sociologico - nella luce di una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna”.

Nel 1971 l’assemblea del sinodo dei vescovi nel documento sulla giustizia nel mondo affermava:  “Vogliamo che le donne abbiano la propria parte di responsabilità e di partecipazione nella vita comunitaria della società e anche della Chiesa. Noi proponiamo che questo argomento venga sottoposto a profondo esame, con mezzi adeguati, per esempio ad opera di una commissione mista composta di uomini e donne, di religiosi e laici di diverse condizioni e competenze».
Paolo VI, accogliendo questa richiesta, costituì nel 1973 una Commissione di studio sulla donna nella società e nella Chiesa.

Il 1975 fu proclamato dall’ONU  “Anno internazionale della donna”, con un triplice scopo: promuovere l’uguaglianza dei diritti;
assicurare la piena integrazione delle donne nello sforzo globale di sviluppo a tutti i livelli e ambiti; riconoscere l’importanza del crescente contributo delle donne alla cooperazione tra i popoli e al consolidamento della pace.

Paolo VI in più occasioni manifestò attenzione alla promozione culturale delle donne: proclamò dottori della Chiesa Teresa d’Avila e Caterina da Siena; favorì lo studio della teologia da parte delle donne e consentì loro l’accesso alle facoltà di teologia.

Il 15 agosto 1988 il pontefice Giovanni Paolo II fece pubblicare la sua lettera apostolica “Mulieris dignitatem”  ("La dignità della donna"), nella quale affermava: “è giunta l’ora in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l'ora in cui la donna acquista nella società un'influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto”.

Ma nella Chiesa, spesso, alle parole non seguono i fatti. La donna viene elogiata per il suo servizio sociale ma raramente viene considerata come promotrice di cambiamento culturale, perché in ambito ecclesiale si scontra con mentalità maschiliste ed autoritarie. Infatti la “Mulieris dignitatem” è insoddisfacente alla coscienza femminile evoluta, ma perlomeno cancella parzialmente due millenni di misoginia cristiana e si esprime verso le donne con toni concilianti, positivi. Comunque è un tentativo convinto ma non convincente da parte del Vaticano.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #58 il: Febbraio 14, 2017, 00:09:05 »
Giovanni Paolo II pontificò dal 1978 al 2005. Questo papa colse  i "segni dei tempi”  e dedicò particolare attenzione alle donne. 
Nella lettera apostolica “Mulieris dignitatem” (“Dignità della donna”),  del 15 agosto 1988, Giovanni Paolo II si sofferma sull’uguaglianza in dignità dell’uomo e della donna, la loro vocazione alla reciprocità, alla complementarietà ed alla collaborazione.  Questa lettera è il primo documento specifico del magistero della Chiesa sulla donna.
Il pontefice esamina anche la frase biblica: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Gen 3, 16). Questo dominio –dice il papa-  inficia l’uguglianza, che può dare ai reciproci rapporti un'autentica “communio personarum”. Ma  l’affermazione di Genesi 3, 16 fa riferimento alla reciproca relazione dell’uomo e della donna nel matrimonio. L’amore sponsale fa sì che il dono sincero di sé da parte della donna trovi risposta e completamento nell’analogo dono da parte del marito. Soltanto in base a questo principio tutt'e due, possono  costituire la vera unità.  La donna non può diventare oggetto di dominio e di possesso maschile.
La suddetta frase biblica indirettamente coinvolge la convivenza sociale, le situazioni in cui la donna è svantaggiata o discriminata solo perché femmina. Nella "Mulieris dignitatem" si afferma che  “Le risorse personali della femminilità non sono certamente minori delle risorse della mascolinità, ma sono solamente diverse. La donna dunque - come, del resto, anche l'uomo - deve intendere la sua ‘realizzazione’ come persona, la sua dignità e vocazione sulla base di queste risorse, secondo la ricchezza della femminilità”.

Giovanni Paolo II con la citata lettera apostolica difese a parole la parità uomo-donna ma non la volle applicare  in ambito ecclesiale. Infatti con un’altra lettera apostolica, la “Ordinatio sacerdotalis”, del 22 maggio 1994, Wojtyla ribadì l’esclusione delle donne dal sacerdozio. La Chiesa cattolica sostiene l’inammissibilità perché Gesù  “scelse i suoi Apostoli soltanto tra gli uomini; la pratica costante della Chiesa, che ha imitato Cristo nello scegliere soltanto degli uomini; e il suo vivente magistero, che ha coerentemente stabilito che l'esclusione delle donne dal sacerdozio è in armonia con il piano di Dio per la sua Chiesa”. A questa decisione ci furono reazioni da parte delle donne, perfino in ambito religioso.

Il 2 ottobre 1994 nel sinodo dei vescovi  sulla “Vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo” un gruppo di suore, per voce di Klara Sietman, presidente dell’Unione internazionale delle superiori maggiori, chiedeva che le religiose fossero ammesse a ruoli decisionali  all’interno delle proprie congregazioni e che occupassero posizioni di responsabilità nella curia pontificia. Rivendicava anche stipendi adeguati; reclamava la presenza equa ed effettiva delle donne consacrate in ambito pastorale e nell’affidamento degli incarichi all’interno della Chiesa, anche con funzioni autorevoli.
Al dibattito sollevato dalle religiose si aggiunse qualche giorno dopo monsignor Ernest Kombo, vescovo gesuita nel Congo, che chiedeva per le donne la possibilità di diventare cardinali-laici, poiché il cardinalato non è di origine apostolica né è legato al ministero sacerdotale.  Ma tali richieste furono considerate risibili. Giovanni Paolo II confermò la sua decisione di allontanare le donne da qualunque ruolo di autorità all’interno dell’istituzione.

Il successore di Wojtyla, papa Benedetto XVI, pur manifestando la necessità di dare maggiore spazio alle donne, la cui esclusione al sacerdozio non avrebbe precluso il loro accesso ad altri ruoli, non sciolse i nodi della ministerialità e del governo della Chiesa, che limitano la piena partecipazione e responsabilità femminili.

E’ ancora presto per valutare il pontificato di papa Francesco. Il suo appello per una Chiesa povera ed aliena dal potere incontra forti opposizioni interne, pronte a lanciare l’anatema contro l’ideologia gender. Il pensiero femminista  con la teoria gender rappresenterebbe,  l’ultima eresia dei tempi moderni.

Nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, pubblicata il 24 novembre 2013 alla chiusura dell’Anno della fede, Francesco ha scritto: “La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché ‘il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo’ e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali.

Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale ‘ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità” (103, 104).

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #59 il: Febbraio 17, 2017, 09:35:24 »
Lo scorso secolo ha visto il superamento della tradizionale concezione della donna relegata a ruoli subordinati e la rottura di antichi schemi sociali, con la “presa di coscienza” da parte delle donne della propria dignità da tutelare.

La sottrazione femminile  dal secolare stato di dipendenza, l’emancipazione, ha permesso il riconoscimento dell’uguaglianza tra uomini e donne e l’affermazione dei diritti fondamentali della persona: il diritto allo studio, il diritto di voto, parità di opportunità nell’accesso al lavoro,  la parità retributiva, la tutela delle lavoratrici madri, l’inserimento nella vita politica. Inoltre, i mutati contesti economici e politici, le innovazioni tecnologiche e sanitarie che hanno diminuito la mortalità materna ed infantile.

Il principio egualitario ha messo in discussione il rapporto maschio-femmina, specie nell’ambito familiare. Le conquiste tecnologiche  e gli elettrodomestici hanno sollevato le donne da numerose incombenze, le novità nei modi di  alimentarsi e di vestirsi, il tempo libero e i  comportamenti sessuali diversi, hanno contribuito a  contrapporre il principio egualitario a quello secolare gerarchico, che vedeva l’indiscusso primato maschile.

Come ha scritto Adriana Valerio nel suo citato libro “Donne e Chiesa. Una storia di genere”, numerosi sono stati i movimenti per il riconoscimento dei diritti della donna  nella convinzione della sua pari dignità con l’uomo, che hanno messo in discussione la tradizionale figura femminile relegata al suo compito di “custode del focolare domestico”:  “I movimenti  di matrice, liberale, socialista e cristiana(sia protestante che cattolica), il suffragismo, la rivoluzione industriale, la rivalutazione del sentimento, tutto questo ha concorso, nelle diverse fasi storiche che hanno accompagnato i processi di democratizzazione dell’Occidente,  a spingere verso il riconoscimento dei diritti della donna, inserendoli nella più ampia difesa dei diritti umani, sfociati nella Dichiarazione  universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite del 1948 e nella Convenzione  sui diritti politici delle donne del 1952”.

In Italia  il principio di uguaglianza è affermato nell’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. 
Quest'articolo esprime il principio di uguaglianza in base al quale non devono essere attuate discriminazioni di alcun genere tra i cittadini. Tale principio può apparire ovvio ma ci sono state, anche in tempi recenti, situazioni in cui esso non era riconosciuto.
Nel predetto articolo c’è anche scritto: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. 

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, anche in questa istituzione la condizione della donna è molto cambiata in confronto al passato: c’è stata la necessità di un diverso riconoscimento della posizione femminile.

Papa Giovanni XXIII con l’enciclica  “Pacem in terris” dell’11 aprile  1963 dette slancio al movimento delle donne, riconoscendo la loro emancipazione come un importante  e positivo segno dei tempi. Riconoscendo la dignità di tutti gli  esseri umani così il Papa si esprimeva nei confronti della donna , in cui si faceva sempre più viva la consapevolezza della propria dignità: “diviene sempre più chiara e operante  la coscienza della propria dignità. Sa  di non poter permettere di essere considerata e trattata come uno strumento; esige  di essere considerata  come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica”(§ 22).

Tra le donne di fede spicca Teresa Merlo (1894 – 1964), cofondatrice con il presbitero Giacomo Alberione (1884 – 1971), della “Pia Società Figlie di San Paolo”, formato da un gruppo di ragazze. Nel 1928, emisero i voti religiosi e la Merlo  – che prese il nome di Maestra Tecla – venne eletta superiora generale dell’istituto. Influenzata da don Alberione, accolse e trasmise con fede ed entusiasmo i vari strumenti comunicativi – stampa, cinema, radio,  televisione e il complesso mondo mediale.

Il presbitero Giacomo Alberione  (1884 – 1971),convinto assertore dell’uso dei mass media per la diffusione della fede cristiana, considerava l’apostolo  Paolo di Tarso il primo comunicatore sociale che usò le lettere come strumento mediatico del tempo. L'intera predicazione di san Paolo è raccolta in epistole e, prendendole ad esempio, Alberione formulò il suo motto: “portare Cristo oggi con i mezzi di oggi”, ovvero diffondere la parola di Dio tramite ogni mezzo che la tecnologia mette a disposizione.
Fu il fondatore delle  “Edizioni San Paolo”, meglio conosciute come “Edizioni Paoline”, delle riviste “Famiglia Cristiana” e “Jesus”, le “Edizioni Musicali Paoline” e la “San Paolo Film”.

Le “Figlie di San Paolo” non limitarono all’Italia l’azione missionaria tramite mass media. Le loro iniziative si propagarono all’estero. Con altri istituti femminili diedero ed ancora offrono un contributo considerevole alle missioni anche se ognuno in diversi ambiti di intervento. Le Salesiane in missione all’estero dal 1908, le Maestre Pie Venerini dal 1909, le Maestre Pie Filippini dal 1910, per citarne alcune, così come le Figlie di San Paolo nel 1936 rivoluzionarono il modello claustrale post-tridentino che le separava dalla società civile. La libertà di movimento delle religiose ruppe i divieti relativi alla mobilità spaziale loro impedita. Incrinarono il “cerchio di protezione”, acquisirono autonomia. La mediazione culturale tra comunità etnica, gerarchia cattolica e società di accoglienza (americana, asiatica, africana) favorì l’assunzione di responsabilità, la conquista di autonomia, la capacità gestionale e la possibilità di ridefinire ruoli e comportamenti tramite l’assimilazione e l’adattamento.
In tal modo, la donna religiosa fu sollecitata a ripensare se stessa, tramite inedite possibilità che le si offrivano con l’istruzione, il lavoro, l’impegno missionario, e fu sempre più attenta alla mediazione tra l’annuncio del vangelo e le esigenze di un mondo complesso. “Ricorrere alle penitenze di digiuni e di cilici consuma la vita, ma consumare la vita per l’apostolato e molto più meritorio”, disse nel 1960 suor Tecla alle Figlie di San Paolo.