Leopoldina Naudet considerava non tollerabile l’ignoranza biblica da parte delle donne, perciò s’impegnò per l’elevazione culturale della gioventù femminile. Il programma di studi che proponeva nelle scuole da lei dirette era di chiara impronta gesuitica. Ella apprese dalle scuole gesuitiche il cosiddetto “metodo ignaziano”, dal nome del fondatore dei Gesuiti, Ignazio di Loyola.
Il “
metodo ignaziano” è la struttura pedagogico-didattica che caratterizza lo stile educativo delle scuole gesuitiche. Ha le radici sia nel cosiddetto “metodo parigino” sia nella “ratio studiorum”.
Il
metodo parigino, sperimentato da Ignazio di Loyola durante i suoi studi alla Sorbona (1529-1532), era caratterizzato dall’attenzione che il docente poneva alle qualità personali e alle modalità di apprendimento dello studente. Per questa ragione Ignazio lo preferì al metodo praticato in Italia all’epoca, che si fondava soprattutto sul prestigio del docente e sulla sua eloquenza.
La
ratio studiorum codifica i principi della pedagogia dei Gesuiti, applicati nelle scuole e collegi da loro fondati. La
“Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu” fu elaborata da una commissione tra il 1581 e il 1599, anno della sua pubblicazione. Questo manuale sul metodo educativo e l'ordinamento delle scuole, composto da 463 regole, codificava un metodo pedagogico imperniato sull'insegnamento del latino e dei classici, emulazione tra studenti e severa disciplina.
Le caratteristiche che portarono al successo dei collegi gesuiti e imposero un nuovo stile di educazione furono la gratuità, l'apertura a studenti di tutte le classi sociali (almeno in linea di principio), l'insegnamento delle "umane lettere" unito a quello delle scienze, la divisioni in classi con insegnanti propri e la progressione da una classe all'altra in base a obiettivi curricolari predefiniti, l'adozione di un programma chiaro e coerente.
I collegi, diversamente dalla case professe, che non potevano possedere beni, erano dotati di rendite e benefattori: si specializzarono nell'educazione dei giovani di nascita aristocratica e alto borghese. I gesuiti si specializzarono anche nella formazione delle classi dirigenti.
La tradizione educativa ignaziana è stata ampiamente aggiornata in anni recenti tenendo presenti le esperienze derivanti dalla psicodidattica dell’apprendimento, ed è stata strutturata in un metodo chiamato “
Paradigma Pedagogico Ignaziano” che sviluppa le capacità dell’alunno rendendolo attivo e protagonista dell’apprendimento.
Il predetto “paradigma” didattico pone particolare attenzione:
al
contesto, sia per l’insegnamento sia ai modi dell'alunno di acquisire le conoscenze. I docenti si debbono informare della biografia dei discenti per meglio comunicare la materia di studio.
All'
esperienza, per suscitare la motivazione all’apprendimento significativo.
Alla
riflessione da parte dell’alunno sull’importanza di ciò che impara.
All'
azione, fase didattica della comprensione da parte dell’alunno delle abilità acquisite, del conseguimento di competenze.
Alla
valutazione da parte del docente dell’apprendimento del discente. Anche l’alunno viene invitato all’autovalutazione del suo sapere per conseguire ulteriori obiettivi.
Il “metodo ignaziano” è fondato sul principio “
non multa, sed multum”: locuzione latina che significa “non molte (cose), ma molto (bene). (Quintiliano, Instit., X, I, 59) cioè, non è conveniente studiare molte cose, ma poche e bene.
I gesuiti oltre ad insegnare si dedicano alla catechesi, alla predicazione, all’amministrazione dei sacramenti, alla consolazione spirituale dopo l’ascolto delle confessioni.
La confessione libera la “coscienza” e svolge una funzione catartica.
Il sacramento della confessione fu istituito da Gesù Cristo, quando la sera della Pasqua ebraica disse ai suoi apostoli: “Ricevete lo spirito santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 22-23).
“Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei vostri peccati” (Atti 2,38), disse l’apostolo Pietro nel suo discorso la mattina di pentecoste.
Giovanni Battista predicò nel deserto e praticò il "battesimo di acqua" come segno di conversione e di preparazione per accettare colui che battezzerà "in "Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,11)
Anche Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani (6, 1 – 4) invita i cristiani al battesimo come esperienza della Pasqua di Cristo.
Il sacramento della riconciliazione o confessione nei secoli ha subìto varie modifiche. Per limitarci al periodo ignaziano c’è da dire che nel 1545 papa Paolo III concesse ampi privilegi alla Compagnia in materia di assoluzione. Nel 1552 il pontefice Giulio III concesse ai gesuiti la facoltà di assolvere i penitenti addirittura dal peccato di eresia.
In connessione con l'aumento dello spazio riservato al sacramento della penitenza, i gesuiti affrontarono sempre più largamente lo studio dei casi di coscienza (casuistica): la
casuistica nacque come riflessione su quello che, nelle varie circostanze concrete, poteva essere ritenuto l'orientamento morale più corretto. Per giudicare la colpevolezza di un atto, i gesuiti privilegiarono la teoria del "probabilismo": vi era una molteplicità di opinioni su quello che doveva essere il modo giusto di agire in una determinata situazione e il confessore poteva sceglierne una probabile (non necessariamente la più probabile) se questa era favorevole al penitente.
A questa morale, ritenuta "lassista", i giansenisti ne contrapponevano una estremamente rigorista, che arrivava a rifiutare l'assoluzione ai fedeli fino alla loro totale e irrevocabile conversione.
Il matematico e filosofo francese
Blaise Pascal (1623 – 1662) si inserì nella polemica tra gesuiti e giansenisti con le “Lettere a un provinciale”, meglio note come “
Le provinciali”: sono 18 lettere scambiate tra due personaggi fittizi. Pascal accusa i gesuiti di tradire i principi della morale evangelica e di compromettere la religione cristiana adattandola disinvoltamente ai vizi del secolo.
Numerosi teologi gesuiti diventarono confessori e direttori spirituali di nobili o di ricchi borghesi, ma anche di sovrani: in Francia, François Annat e François d'Aix de la Chaise furono i confessori di Luigi XIV. Lo zio di la Chaise, padre Pierrer Coton, fu confessore di Enrico IV.
Per quanto riguarda Ignazio di Loyola c’è anche da dire che nel 1543 per aiutare le prostitute desiderose di abbandonare il meretricio e reinserirsi nella società fondò a Roma la “
Casa di Santa Marta” (lo stesso nome ha l’edificio in Vaticano dove risiede papa Francesco).
Nel 1546 a Roma creò il conservatorio delle Vergini Miserabili, presso la chiesa di Santa Caterina dei Funari, dove alle figlie delle prostitute veniva fornita un'educazione ed una dote. Istituzioni simili furono promosse dai gesuiti a Venezia (conservatorio delle Vergini Periclanti) e Firenze (istituto delle Fanciulle della Pietà).