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Firenze, negli anni settanta del Quattrocento, la colta scrittrice e poetessa
Lucrezia Tornabuoni (1424 – 1482),
moglie di Piero di Cosimo de’ Medici e madre di
Lorenzo il Magnifico, scrisse anche cinque brevi poemi di carattere sacro dedicati a personaggi biblici, uno dei quali è
Giuditta, che nella lingua ebraica significa “lodata” ed è la forma femminile del nome Giuda. Le vicende di Giuditta sono raccontate nell’omonimo libro, composto di 16 capitoli. La storia è ambientata al tempo del
re Nabucodonosor (605 – 562 a. C.). Si narra dell’assedio al popolo israelita da parte delle truppe assiro-babilonesi comandante dal generale
Oloferne. Assediati, ridotti allo stremo per fame e sete, dopo 34 giorni gli israeliti avrebbero voluto arrendersi, ma la giovane e bella Giuditta, ricca vedova di indiscussa virtù, convoca gli anziani, rimprovera loro la scarsa fede nella vittoria, ne ottiene la fiducia e, invocata per sé la protezione del Dio di Israele, si veste in modo elegante per presentarsi ad Oloferne con la sua serva e con doni, fingendo di essere venuta a tradire i suoi.
Condotta alla presenza del generale viene ben accolta. Ella gli fa credere di poter avere la rivelazione dei peccati del suo popolo a causa dei quali l'Eterno lo darà in mano al nemico, permettendogli di giungere vittorioso fino alla conquista di Gerusalemme.
Oloferne accetta l'offerta e la lascia pregare ogni notte il suo Dio per avere la promessa rivelazione. Dopo tre giorni la invita al suo banchetto, credendo di poterla anche possedere. Ma quando viene lasciato solo con la donna è molto ubriaco. Giuditta si avvicina alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, prende la scimitarra di lui, si avvicina al letto, afferra l'uomo per i capelli e con forza lo colpisce due volte al collo fino a staccargli la testa. Poi Giuditta fugge a Betulia tra i suoi, dove riceve molti onori. Le truppe assiro-babilonesi trovano morto il loro comandante ed impauriti fuggono, inseguiti dai Giudei.
La fama di questa donna fu dal Medioevo tema iconografico di numerosi artisti. Mantegna immagina Giuditta con un coltello in mano mentre taglia la testa di Oloferne; Donatello la raffigura con una sciabola; Caravaggio con una spada; Artemisia Gentileschi con uno spadone.
Un altro noto personaggio biblico che ha ispirato numerosi capolavori artistici è il pastorello
Davide che, armato di fionda, vince
Golia, il temibile gigante dei Filistei, in guerra contro il popolo di Israele guidato da re Saul. Davide simboleggia la fede e il coraggio contro la violenza.
E’ rappresentato nella statua in marmo scolpita tra il 1501 e il 1504 da
Michelangelo Buonarroti. Nel secolo precedente, prima del David michelangiolesco furono realizzate a Firenze sullo stesso tema altre opere d’arte, per esempio, quella eseguita nel 1425 circa dall’architetto e scultore
Lorenzo Ghiberti in una formella della “Porta del Paradiso”, nel battistero del duomo; la scultura in bronzo del David prodotta da
Donatello nel 1440 circa. Nel 1495, in occasione della seconda cacciata dei Medici, venne trafugato dalla folla e trasportato in palazzo Vecchio, quale simbolo della libertà repubblicana. Da aggiungere, la scultura bronzea del
Verrocchio, raffigurante il David, databile al 1472 – 1475.
Caravaggio invece, ma non a Firenze, nel 1606 pone in primo piano nel dipinto la testa mozzata e il viso stravolto dal dolore di Golia, al quale il pittore presta le sue fattezze (è infatti quasi certo che si tratta di un autoritratto). La sofferenza dello sconfitto si riverbera anche sul volto tormentato di Davide, ben diverso in questa raffigurazione dall'adolescente spavaldo e trionfante immortalato da Donatello e da Michelangelo.
Nella Firenze della seconda metà del ‘400 oltre i citati artisti spicca il frate domenicano
Girolamo Savonarola, predicatore e politico. Profeta di sventure, tentò di instaurare un modello politico teocratico per la Repubblica fiorentina dopo la cacciata dei Medici. Ma nel 1497 il
pontefice Alessandro VI lo scomunicò e l’anno dopo lo fece impiccare e bruciare sul rogo come eretico e scismatico. Gli scritti di questo domenicano nel 1559 furono inseriti nell’Indice dei libri proibiti, poi riabilitati dalla Chiesa. Ora è servo di Dio. Come al solito la Chiesa adatta la sua politica del bastone e la carota secondo l’epoca ed il contesto sociale.
Da Firenze a Napoli, dove nel 1534 arrivò con un incarico politico il teologo spagnolo
Juan de Valdés (1500 – 1542). Nel capoluogo partenopeo costituì un cenacolo di nobili donne (Costanza d’Avalos, Maria d’Aragona, Caterina Cybo, Isabella Bresegna ed altre) e di nobil uomini (Ferrante Sanseverino, Galeazzo Caracciolo, Marcantonio Flaminio ed altri). La sua casa a Chiaia divenne un circolo letterario e religioso, e le sue conversazioni e le sue opere, che circolarono manoscritte, stimolarono il desiderio di una riforma spirituale della Chiesa. Alla sua morte, nel 1542, la sua erede spirituale, la contessa Giulia Gonzaga, continuò le relazioni tra le donne colte dell’aristocrazia europea. Tra queste la principessa Vittoria Colonna, amica spirituale di Michelangelo Buonarroti.
Un’altra donna sensibile ai fermenti religiosi del tempo fu la colta duchessa di Camerino,
Caterina Cybo (1501 – 1557), quinta figlia di Franceschetto Cybo (1449-1519), figlio naturale di Giovanni Battista Cybo (che fu papa col nome di Innocenzo VIII dal 1484 al 1492) e di Maddalena de' Medici (1473-1519), figlia di Lorenzo il Magnifico e sorella di Giovanni de' Medici, divenuto papa Leone X nel 1513. In questo stesso anno Caterina, all’età di 12 anni, fu promessa sposa di Giovanni Maria Varano (1481-1527), creato nel 1515 duca di Camerino da papa Leone X, zio di Caterina, la quale fu determinante per il riconoscimento pontificio dell’Ordine dei frati minori cappuccini (in latino Ordo fratrum minorum capuccinorum).
L’Ordine dei frati minori cappuccini fu creato nel 1520 circa dal frate francescano osservante Matteo da Bascio, quando si convinse che lo stile di vita condotto dai francescani del suo tempo non era quello che san Francesco aveva immaginato. Egli desiderava ritornare allo stile di vita originario in solitudine e penitenza come praticato dal fondatore del suo ordine. Nel 1528, Matteo ottenne, con la mediazione di Caterina Cybo, duchessa di Camerino, l'approvazione di papa Clemente VII. Gli fu dato il permesso di vivere come un eremita e di andare ovunque predicando ai poveri. Questi permessi non furono solo per lui, ma per tutti quelli che si sarebbero uniti a lui nel tentativo di restaurare l'osservanza della Regola di san Francesco.
Fra le donne del primo Rinascimento spicca la scrittrice e poetessa francese
Margherita d'Angoulême (1492 -1549), figlia di Carlo di Valois e di Luisa di Savoia. Margherita fu principessa di Angoulême, duchessa di Alençon, e poi regina di Navarra. Fu protettrice di artisti e letterati. Scrisse, fra l’altro, una raccolta di novelle titolata “Heptaméron”, ispirata dal “Decamerone” di Giovanni Boccaccio.
In contatto con il circolo umanistico della regina di Navarra ci fu
Renata di Francia (1510 – 1575), figlia del re Luigi XII. Data in moglie ad Ercole II, duca di Ferrara, creò a corte un luogo di accoglienza per gli esuli francesi e i dissidenti religiosi. Con loro discuteva sull’autorità del papa, la presenza reale di Gesù nell’ostia consacrata, la validità dei sacramenti, la mediazione di Maria e dei santi, l’esistenza del purgatorio. Con Giovanni Calvino, in visita a Ferrara nel 1536, iniziò una corrispondenza che durò per tutta la sua vita. Il marito temendo per lei l’Inquisizione l’aveva relegata agli arresti domiciliari. Dopo la morte del marito Renata nel 1558 fece ritorno in Francia. Nel suo piccolo feudo di Montargis, vicino Orléans, accolse cattolici ed ugonotti, affermando il rispetto per la libertà di coscienza.