Da tempo ormai sono indebolite le speranze (che già Prometeo aveva definite cieche) e la fiducia nei progressi della tecnica.
Con sempre maggior frequenza si affacciano domande anche inquietanti circa i danni prodotti al pianeta terra che sono sentiti sempre meno marginali o anche definitivi e irreparabili E a queste domande non si danno risposte convincenti. Anzi, si ha l’impressione che esse siano dettate più da particolari convenienze, piuttosto che dal desiderio di una presa di coscienza in vista della fondazione di un’etica della responsabilità.
E’ netta e diffusa un’impressione d’impotenza, mentre la tecnica prosegue inarrestabile per la sua strada, incurante, nonostante sia evidente il superamento di livelli critici al di là dei quali il progresso diviene controproducente fin al punto da delinearsi quale minaccia non solo per la salute del pianeta e degli esseri viventi, ma anche per la dignità degli individui.
E cade anche l’illusione che la stessa tecnica possa in un avvenire porre rimedio ai danni accumulati.
Le domande sono pressanti, ma coinvolgono problematiche tanto ampie e complesse da non rendere possibile un’esauriente presa di coscienza, non dico a livello di massa, ma anche tra chi nel campo scientifico ci lavora.
Noi stessi limitiamo la nostra attenzione al solo campo della medicina, e siamo coscienti di non poter avanzare pretese a conclusioni certe. Noi stessi siamo solo in grado di interpretare fenomeni frammentari nello sforzo non di raggiungere delle verità, ma solo un livello più elevato di conoscenza attraverso quel metodo ermeneutico che resta il solo valido nella nostra era della “morte di Dio”.
Appunto: la medicina?
Possiamo considerarla un’isola felice? o non si trova, forse, anch’essa compromessa, e fino al punto da aver già raggiunto quel livello critico di sviluppo al di là del quale, almeno nei settori più tecnologicamente avanzati, diviene causa di sofferenze contraddicendo i suoi scopi?
Incominciamo con il prendere atto che oggi si cura sempre di più senza portare a guarigione e sempre più spesso a costo di sofferenze e danni inabilitanti tali da minare significativamente la qualità di vita… a volte fino a livelli intollerabili.
Istintivamente pensiamo alle pratiche della rianimazione e della terapia intensiva. Poi ci accorgiamo che occorre coinvolgere anche la oncologia, la chemioterapia La chirurgia altamente demolitiva… Fino ad arrivare alla stessa medicina generica, ove i danni da abuso di farmaci e pratiche diagnostiche forse non appaiono così evidenti, ma solo perché non ancora opportunamente valutati.
E potremmo arrivare al punto di intravvedere lo spettro di vere epidemie iatrogene.
Non possiamo, infatti, ritenere possibile che la sola medicina sfugga all’ormai accertato fenomeno della contro produttività legata allo sviluppo.
Certamente no!
Peraltro la contro produttività legata allo specifico campo della medicina sembra assumere aspetti originali e ancora più pericolosi per la presenza di un pubblico passivo, teleguidato e propenso ad affidarsi,, ciecamente fiducioso, alle sorti magnifiche e progressive della tecnica. Un pubblico incapace di percepire il rovescio dei benefici così massicciamente propagandati e che invece spesso sono solo ipotetici se li guardiamo dal punto di vista del miglioramento delle condizioni di vita.
La contro produttività paradossale della medicina sembra, dunque, aver raggiunto il livello di una minaccia per la salute analoga a quella per la mobilità dovuta al volume ed alla intensità del traffico; a quella rappresentata dai media per la cultura, l’informazione, e l’approfondimento delle problematiche complesse; analoga alla minaccia rappresentata da una istruzione che addestra sempre più a livelli di competenza tecnica e a forme specializzate di incompetenza generale.
Anche la medicina si pone, dunque, a pieno titolo tra i fenomeni della diseconomia imprigionata nel sistema che la produce, e, se così fosse (e si ha l’impressione che lo sia), allora il sistema per la tutela della salute è già cresciuto al di là dei limiti critici, ed è divenuto patogeno e deleterio per la salute intesa come benessere fisico e mentale, ed in sovrappiù ha espropriato l’individuo della libertà di decidere in relazione alle condizioni di vita per sé accettabili. E, per dirla con Nietzsche, di “Morire con fierezza, quando non è più possibile vivere con finezza”.
Per concludere:,
a fronte delle pur molte evidenze di contro produttività generale, non si ha l’impressione che vadano maturando un problema politico e un’etica della responsabilità che possano stabilire un limite al progredire della tecnica. Anzi! si ha la sensazione di una totale impotenza di fronte ad un potere astratto e pervadente che si è posto definitivamente al di là di ogni possibilità di controllo e che soggioga ai suoi interessi, astratti e incomprensibili, l’intero assetto delle società.
Un potere, peraltro, che non correrà mai il rischio di un tramonto, in analogia con il destino delle ideologie.
L’ideologia, infatti, nasce con la pretesa di una costruzione perfetta ed ogni errore nell’applicazione pratica non è perdonato, ne mina la credibilità e ne decreta il tramonto.
La scienza invece è intramontabile poiché si nutre dell’errore che è pratica centrale del metodo sperimentale che le è proprio.