La “mobilità sociale” allude alla transizione dell’individuo da uno status sociale ad un altro.
Il sostantivo “status” deriva dalla lingua latina, dal verbo stare, e significa "posizione", "situazione": indica la “posizione sociale” di un soggetto in un determinato contesto.
La collocazione di un individuo nella società dipende dal suo “status”.
Nel diritto romano il termine status era usato per indicare la condizione giuridica di una persona, che poteva usufruire di un determinato diritto civile, politico o patrimoniale. Esistevano tre tipi di status:
lo status libertatis, distingueva la persona libera dallo schiavo; era la condizione di chi nasceva libero o lo diventava (liberto) per concessione del padrone;
lo status civitatis, che distingueva il cittadino romano (civis romanus) da chi non aveva la cittadinanza romana;
lo status familiae, ossia la condizione di appartenente ad una famiglia.
Lo status sociale può essere ascritto, cioè posseduto per nascita, perciò indipendente dalla volontà o dalle azioni dell’individuo (età, famiglia d’origine, gruppo etnico, il sesso, ecc.), oppure acquisito, cioè ottenuto per merito, competenza, impegno, capacità personale.
I fattori ascrittivi, indipendenti dalla volontà dell’individuo, a volte possono ostacolare l’ascesa sociale, il cambiamento di status, perché ci sono gruppi sociali che hanno analoghi interessi da tutelare e possono coalizzarsi per difendere le posizioni di privilegio già acquisite, mettendo in atto pratiche di esclusione.
In fatto di privilegi il fortunato visconte francese Alexis de Tocqueville (1805 – 1859) durante la sua permanenza negli Stati Uniti d’America poté osservare e riflettere sullo straordinario livellamento sociale, sull'assenza di privilegi di nascita e di ceti chiusi, la possibilità per tutti di partire dallo stesso livello nella competizione sociale. Questa realtà lo indusse a scrivere il saggio “La democrazia in America”, pubblicata in due parti, nel 1835 e nel 1840 dopo il suo ritorno in Francia.
Per il filosofo, sociologo e giurista Tocqueville il fondamento delle democrazie moderne è l’eguaglianza di opportunità garantita a tutti i cittadini; lo status diventa allora qualcosa di acquisito, che si ottiene in base alle proprie capacità. Il diritto all’istruzione, per esempio, dà a tutti in via di principio la possibilità di conseguire una posizione sociale, uno status corrispondente ai propri meriti. Questo, ovviamente, è un modello ideale da cui la realtà può discostarsi notevolmente.
Come “controcanto” a Tocqueville ci fu il filosofo britannico Herbert Spencer (1820 – 1903), teorico del darwinismo sociale ed interessato ad elaborare anche una teoria generale del progresso umano, sociale e naturale. Spencer scrisse: “L'intero sforzo della natura è di sbarazzarsi dei falliti della vita, ripulendo il mondo della loro presenza e facendo spazio ai migliori”.
Il darwinismo sociale di Herbert Spencer trovò molti seguaci in America. La ricca borghesia trovò la giustificazione biologica nella "selezione del più adatto". La scienza, al servizio della classe dominante, giustifica lo sfruttamento della classe operaia e i bassi salari.
I poveri sono poveri, perché hanno perso la "battaglia per la vita". Devono contribuire alla vittoria dei più forti attraverso il loro sacrificio. “Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Mt 13,12). Ma Gesù disse questa frase riferendosi ai suoi insegnamenti che i suoi fedeli debbono apprendere e praticare.
Una figura inquietante di tale ideologia fu il predicatore evangelico e politico statunitense Henry Ward Beecher (1813 - 1887), che portò le teorie di Spencer all’interno della sua chiesa, avallandole attraverso il consenso divino: "Dio ha inteso che i grandi siano grandi e i piccoli siano piccoli".
Anche il sociologo ed economista William Graham Summer (1840 – 1910), presbitero della Chiesa episcopale, fu un sostenitore delle teorie social darwiniste: si opponeva a qualsiasi intervento dello Stato in aiuto dei più poveri, soprattutto se questo aiuto era realizzato con il denaro dei benestanti. La sua idea di borghese coincideva con il lavoratore integerrimo, parsimonioso ed attaccato alla famiglia. "colui che, comportandosi scrupolosamente, raccoglie così il giusto premio non ha nessuno obbligo di aiutare colui che è razzialmente o mentalmente inferiore, meno adatto, e che è la società a interdire ed emarginare". Queste riflessioni di W. G. Summers fecero da sfondo ideologico alla formazione dei grandi monopoli e dei trust che all’inizio del novecento coinvolsero i maggiore settori produttivi. La ricchezza sproporzionata che venne realizzata in pochi decenni della borghesia, indusse anche ad una smisurata ostentazione del lusso.