Autore Topic: Invidia  (Letto 2483 volte)

Doxa

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Invidia
« il: Febbraio 08, 2016, 19:08:57 »
Metastasio, pseudonimo di Pietro Trapassi,

Contro l’invidia” (aria XXIX)[/b]:

“Se a ciascun l’interno affanno

si leggesse in fronte scritto,

quanti mai, che invidia fanno,

ci farebbero pietà!

Si vedria che i lor nemici

hanno in seno; e si riduce

nel parere a noi

felici ogni lor felicità”.




Metastasio

Poeta, drammaturgo e sacerdote italiano Pietro Metastasio (1698-1782) scrisse oltre 1200 “arie”.  In campo musicale per aria si intende un brano, quasi sempre per voce solista, articolato in strofe o sezioni. Nella storia dell'opera essa si contrappone al recitativo.
Il genere melodrammatico esigeva che ogni scena dopo la parte recitata fosse conclusa da un'aria.
Le arie erano composte da poche frasi,  accompagnate dagli strumenti, spesso cantate, servivano per esprimere un’emozione, a dar voce ad uno stato d’animo, senza pretese di esaustività. Era importante il ritmo, la rima, la metrica: scopo delle “arie” era la rapida memorizzazione, il divertimento.

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Re:Invidia
« Risposta #1 il: Febbraio 09, 2016, 00:20:36 »
Il sostantivo invidia deriva dalla lingua latina e discende dal verbo latino “videre” (= vedere).  L’etimologia ne  rivela il legame: il lemma invidia è composto dalla particella “in” (= non, avversativo)  + “vidia”, da “videre”, perciò “in-videre” significa “ non guardare bene” o “guardare male”, da cui “malocchio”.

L’invidia nasce come emozione, diventa stato d’animo, desiderio frustrato per ciò che non si può avere, col tempo può diventare astio, rancore verso un altro individuo che ha qualità o proprietà considerate invidiabili. 

L’invidia è un sentimento bipolare: 

positivo, se  suscita  ammirazione ed emulazione, se dà ambizione e sprona a darsi da fare onestamente per arrivare allo stesso livello di chi è ricco, ha successo, ha un elevato status sociale, ha un oggetto che ci piace molto, ecc.;

negativo se invece provoca afflizione, rabbia per la fortuna, i beni o le qualità  che ha un altro e li vorrebbe avere, perciò desidera il male dell’invidiato, lo calunnia, lo denigra.

Nell’Antico Testamento ci sono esempi di invidia che induce all’omicidio. Nel libro della Genesi  (4, 8 c’è il racconto di  Caino  che uccide il fratello Abele. Sono anche narrate le vicende  di Giacobbe (patriarca di Israele) e dei suoi figli.  Uno di questi si chiamava Giuseppe.  I suoi fratelli per vari motivi erano invidiosi di lui, volevano ucciderlo, ma poi preferirono venderlo come schiavo a dei  mercanti Ismaeliti che lo condussero in Egitto.  Da schiavo Giuseppe riuscì a diventare ministro del faraone e Il suo ruolo gli permise di salvare dalla carestia le tribù di Israele (Gn 25, 1 – 36, 37 )
Nella Bibbia ebraica e nell’Antico Testamento cristiano ci sono i libri del profeta Samuele. Il primo libro è composto da 31 capitoli  che descrivono la vita di Samuele, il regno del re Saul e la gioventù di Davide, ambientati nella Giudea attorno al 1100-1010 a.C. Il secondo libro è composto da 24 capitoli  che descrivono il regno di Davide dal 1010-970 a.C. circa. Davide era invidiato dal re Saul, il quale tenta di ucciderlo.
Nel Nuovo Testamento un esempio è nella parabola del “Figliol prodigo”, nell’invidia di un fratello nei confronti dell’altro.

L’invidia, uno dei sette vizi capitali (dal latino vĭtĭum = mancanza, difetto) che si contrappongono alle virtù  Sono considerati "capitali" perché più gravi,  e considerati peccati dalla morale cristiana.

L’invidia è uno dei vizi meno confessabili. Si caratterizza come desiderio di possedere ciò che gli altri possiedono, oppure fa auspicare che gli altri perdano ciò possiedono. Il confronto è tra la propria situazione e quella delle persone invidiate.

L’invidioso tende a pensare che ciò che l'altro possiede sia immeritato perciò vuole la sua sofferenza, o la privazione di beni per soddisfare la sua brama.

L’invidioso è egocentrico, frustrato, capace di rapportarsi agli altri solo in modo competitivo. Volge la propria invidia non solo verso oggetti materiali, ma anche verso presunte doti possedute dall’invidiato: per esempio la seduzione, l’intelligenza o capacità creative. In tali casi l’invidioso reagisce tentando di disprezzare l’invidiato, perché colpevole di evidenziare ciò che l’invidioso non ha.

L’invidioso desidera l’infelicità altrui e si rallegra del male che può colpire la persona invidiata. Nell’ambito lavorativo cerca di screditarla, di parlarne male, specie se si riesce ad ottenere la complicità di chi ascolta.

La morale cattolica colloca il vizio capitale dell'invidia in opposizione alla virtù della carità.
« Ultima modifica: Febbraio 09, 2016, 00:23:33 da dottorstranamore »

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Re:Invidia
« Risposta #2 il: Febbraio 10, 2016, 08:05:05 »
L’invidia è difficile da ammettere perché socialmente censurabile, allora si usano le parole "confronto", "emulazione", "competizione".

Gli invidiosi di solito si dividono in due categorie: quelli che si limitano a patire per le fortune altrui e quelli che perfidamente desiderano distruggerle con azioni malvagie.

Non si invidia la serenità psichica altrui, che è la cosa più importante della vita, ma il denaro, il potere, il successo della persona invidiata.

L’invidia pervade tutti gli strati sociali, indipendentemente dall’età, dal ceto sociale, dal livello culturale e dal sesso. Di solito viene “addossata” verso persone con le quali siamo in contatto e sono affini o simili per genere, età, professione. Il sociologo Francesco Alberoni nel suo libro “Gli invidiosi” evidenzia che  non si invidia chiunque, ma soltanto colui con il quale si presuppone di avere una comunanza di desideri e di capacità: l'invidia scatta tra fratelli, tra colleghi, tra i componenti di uno stesso gruppo sociale.

Nella maggior parte dei casi l’invidia è rivolta verso persone dello stesso sesso. Tra gli uomini l’invidia verte su aspetti economici, politici, patrimoniali, professionali, culturali, intellettivi, sessuali. Fra le donne l’invidia è sull’avvenenza, sulla capacità di seduzione. Come non pensare alla favola di Biancaneve ? “Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?” – “Bella, tu sei bella mia regina, ma al mondo una fanciulla c’è ... ahimé assai più bella di te!”
 
In psicologia l’invidia è considerata un’emozione che suscita lo stato d’animo.
   
L’invidioso non è soddisfatto di sé, percepisce i propri limiti, reali o presunti, vede negli altri doti e riconoscimenti che vorrebbe possedere, vive la presunta disparità come una ingiustizia.

Nel precedente post ho scritto che l’invidia è socialmente positiva se serve come emulazione, per ottenere lo stesso risultato tramite l’imitazione, la competizione: “se lui/lei può, posso anch’io!” Ma “se io non posso, allora neanche lui/lei!”. Dal confronto nasce la consapevolezza delle nostre carenze e  la negatività  verso sé e verso gli altri: senso di inferiorità, inadeguatezza, frustrazione, impotenza, odio e rabbia per la grandezza dell’altro/a.  Non si pensa alle proprie  potenzialità, alle possibilità, ma solo a svalutare l’altro per impedire la caduta del proprio valore. Svalutare ciò che non si può ottenere è una strategia che nasconde i nostri limiti. Alcuni ricercatori hanno evidenziato che chi prova invidia non riesce ad instaurare relazioni positive  con gli altri.  Alla base vi è un senso di insicurezza, scarsa fiducia di sé, bassa autostima.

La storia letteraria è intrisa di personaggi invidiosi.
Nella “Commedia” dantesca l’invidia non ha una collocazione definita nell’Inferno, ma viene citata più volte. Invece nel Purgatorio le anime degli invidiosi espiano nella seconda cornice (XIII Canto). I penitenti indossano un panno ruvido e pungente, come un cilicio, e ognuno sorregge l'altro con la spalla, mentre tutti si appoggiano alla parete. Sono accecati: un filo di ferro cuce i loro occhi.  Per contrappasso agli invidiosi viene tolta la vista perché l'etimo di "invidia"  significa guardare con negatività, ostilità.

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Re:Invidia
« Risposta #3 il: Febbraio 11, 2016, 10:53:12 »
In questo periodo vanno di moda due sinonimi che denotano l’invidia: “gufare” e “rosicare”.

Il gufo è un rapace notturno, considerato in modo superstizioso come un simbolo funesto. Dal gufo deriva il verbo “gufare”, che significa “fare il verso del gufo”, ma nel nostro tempo “gufare” viene usato  per indicare chi “porta sfortuna”,  lo jellatore,  il detrattore che  “gufa” verso l’antagonista, specialmente nell’ambito economico e politico, ma la parola è spesso utilizzata con ostilità anche da personaggi dello spettacolo.

Nel dialetto romanesco si usa l’aggettivo “rosicone” per indicare l’invidioso rancoroso, che di solito “rosica” perché si considera ingiustamente colpito dal fato. A volte anziché replicare alle critiche, si dà del “rosicone” a chi le esprime. Si insinua con malcelato compiacimento che la persona da cui provengono le critiche altro non sia che un infelice frustrato dall’impossibilità di godere delle medesime fortune (o virtù) del criticato. Rosica perché prova invidia.

“Rosicone” deriva dal verbo “rosicchiare”, ma c’è anche il verbo “rosicare”, che viene usato  in senso figurato ed estensivo, come il topo che mordicchia e lentamente consuma il cibo. In effetti chi “rosica” si rode lentamente, soffre, non riesce a darsi pace. La "rosicata" è uno stato d'animo d’invidia che non si esaurisce in breve tempo. 

Nell’ambito calcistico il “rosicone” è quello che non accetta mai la sconfitta, quello che tenta svilire a parole il successo o il valore dell’avversario, è  quello che rende piacevole il successo. “Rosicano” i tifosi sconfitti, perché  sono loro le “vittime” delle vicende sportive, impossibilitati a determinare il risultato del campo.  A Roma si dice: “a chi tocca nun se ‘ngrugna”, non deve rimanere mortificato, ma subìre in silenzio, apparentemente come se nulla di avverso fosse avvenuto.

Per rimanere a Roma, nell’antica urbs, penso a Marco Tullio Cicerone, che considerava l’invidia un sentimento devastante.

Ovidio nelle “Metamorfosi” argomenta sull’invidia di Aglauro, figura della mitologia greca. Ella aveva una sorella minore per età, Erse, della quale si era innamorato Ermes (il dio Mercurio). Per sposarla  egli chiese il consenso ad Aglauro, ma questa, invidiosa, rifiutò. Il dio, infuriato, trasformò la donna in pietra. Secondo un altro racconto, Ermes, per quanto innamorato della sorella Erse, approfittò di Aglaulo quando seppe che Ares l'aveva abbandonata per Afrodite.

Aglauro dopo essere pietrificata (episodio ricordato anche da Dante Alighieri che la ritrova nel cerchio degli invidiosi: “io sono Aglauro che divenni sasso”), diventa pietra pallida e livida come i colori dell’invidia.

Lo storico Tito Livio scrisse: “L'invidia è cieca, né altro sa fare che sminuire il valore altrui, corrompendo gli onori ed i meriti che uno si merita”. E ribadì il carattere distruttivo dell'invidia quando nei confronti del console Quinto Fabio Massimo l’invidia si accompagnò con la diffamazione (obtractatio) dell'uomo invidiato per il suo successo.
« Ultima modifica: Febbraio 11, 2016, 11:05:34 da dottorstranamore »

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Re:Invidia
« Risposta #4 il: Febbraio 12, 2016, 10:00:43 »
Nel romanzo in due parti titolato “Zavist" (=“Invidia”), pubblicato nel 1927, lo scrittore sovietico Jurij Karlovic Olesa fa dire all’invidioso Nicolaj Kavalerov mentre pensa ad Andrej Babicev, suo antagonista: “Per cosa sono da meno di lui? Per intelligenza? Per ricchezza interiore? Per sensibilità? Per forza? Per importanza? Perché devo subire la sua superiorità?”
La trama del romanzo è ambientata a Mosca nel periodo della ricostruzione post-rivoluzionaria. Nikolaj Kavalerov, scrittore economicamente povero, viene raccolto ubriaco sulla strada da Andrej Babicev, direttore dell'Ente dell'industria alimentare, e lo ospita in casa. Ma la permanenza in quella dimora sviluppa in Kavalerov molta invidia verso Babicev.  E nel romanzo emerge lo scontro tra due concezioni opposte di esistenza: quella che privilegia gli ideali, i sentimenti e la personalità; e quella dell'uomo nuovo, nato dalla rivoluzione, che è teso al pragmatismo e al raggiungimento di mete molto concrete. Non si tratta dello scontro tra antirivoluzionari e rivoluzionari, bensì tra due modi diversi di guardare all'esistenza.

Per rimanere nella vecchia  U.R.S.S. cito il filosofo e presbitero, Pavel Aleksandrovič Florenskij, che nacque in Azerbaigian nel 1882  e morì fucilato  nel 1937 per ordine del regime sovietico. Dai gulag dove fu confinato in Siberia e nel Mar Bianco scrisse ai suoi familiari delle lettere, raccolte e pubblicate dopo la sua morte  nel libro titolato “Non dimenticatemi”. Dai suoi scritti emerge la sua personalità. Nel “Testamento” rivolgendosi ai figli, Florenskij scrive: “Non fate le cose in maniera confusa, non fate nulla in modo approssimativo, senza persuasione, senza provare gusto per quello che state facendo. Ricordate che nell’approssimazione si può perdere la propria vita! (…) Cari figli miei, guardatevi dal pensare in maniera disattenta. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che ci si prenda cura con tutte le forze del suo oggetto. (…) Quando proverete tristezza nel vostro animo guardate le stelle oppure il cielo di giorno. Quando siete tristi, offesi, sconsolati o sconvolti per un tormento dell’anima, uscite all’aria aperta e fermatevi in solitudine immersi nel cielo. Allora la vostra anima troverà quiete.”
Dice anche:  “Miei cari, il peccato che mi sarebbe particolarmente penoso vedere in voi è l'invidia. Non abbiate invidia, miei amati, di nessuno. Non siate invidiosi, perché l'invidia rende lo spirito piccolo e volgare. Se proprio desiderate possedere qualcosa, datevi da fare chiedendo a Dio che vi dia ciò che desiderate. Ma non invidiate nessuno. La meschinità dell'animo, la grettezza, i pettegolezzi insolenti, la cattiveria, gli intrighi: tutto ciò proviene dall'invidia. Ma voi non siate invidiosi, datemi questa consolazione, ed io sarò con voi e per quanto potrò, pregherò il signore che vi aiuti.
Ed ancora: non giudicate, non condannate chi è più anziano di voi, non sparlate e cercate di coprire il peccato e di non evidenziarlo. Dite a voi stessi: «chi sono io per condannare gli altri, conosco forse le loro motivazioni interiori per poter giudicare? ». Il giudizio nasce soprattutto dall'invidia ed è una cosa abominevole. Abbiate per ognuno il rispetto dovuto, non adulate nessuno e non umiliatevi, ma non giudicate le questioni che non vi sono state affidate da Dio. Occupatevi dell'opera vostra, cercate di compierla nel migliore dei modi, e tutto ciò che fate, fatelo non per gli altri, ma per voi stessi, per la vostra anima, cercando di trarre da tutto vantaggio, insegnamento, alimento per l'anima, perché neanche un solo istante della vostra vita vi scorra accanto senza senso o contenuto”.

Concludo questo post citando un altro filosofo e matematico, il britannico Bertrand Russell, che argomenta pure sull’invidia  nel suo libro titolato “La conquista della felicità”. A suo giudizio l’invidia  è  una delle passioni umane più radicate e universali, ed è deprecabile nella prospettiva cristiana, perché è la negazione assoluta della carità verso il prossimo. Per Russell anche dal punto di vista laico l’invidia è fonte d'infelicità per moltissima gente. La persona invidiosa, oltre a volere l'infelicità degli altri, rende infelice anche se stessa, e ciò perché, “invece di trovare piacere in ciò che ha, soffre per quello che gli altri hanno”. Rimane infelice: "A che serve dirmi che il rimedio contro l'invidia è la felicità? Non posso trovare la felicità fin tanto che provo invidia, e voi mi dite che non posso smettere di essere invidioso fino a quando non avrò trovato la felicità !".




« Ultima modifica: Febbraio 12, 2016, 10:03:56 da dottorstranamore »

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Re:Invidia
« Risposta #5 il: Febbraio 13, 2016, 07:34:32 »
I dieci comandamenti, detti anche Decalogo, sono gli ordini scritti  su due tavole di pietra dal dito di Dio e date a Mosè sul monte Sinai in occasione della festa di “Shavu'òt”, parola che in ebraico significa “settimane”. E’ una delle tre feste bibliche di pellegrinaggio, che gli ebrei di lingua greca  le diedero il nome di pentecoste perché cade 50 giorni dopo Pesach, la Pasqua ebraica.
 
Nella traduzione della Bibbia da parte dei cosiddetti “Settanta” c’è l’espressione “dèka lògous” (= dieci parole), da cui deriva il termine “Decalogo”, ma in  realtà le ingiunzioni sono più di dieci e il testo è presente in due versioni un po’ differenti in due diversi libri della Bibbia: nell’Esodo (20, 2 – 17) e nel Deuteronomio (5, 6 – 21) e ciò ha portato ad una varietà nelle loro suddivisioni. Ognuna delle tre religioni monoteiste li ha diversamente interpretati, con differenze anche all'interno di ciascuna religione. Questa è la versione diffusa nel contesto cattolico:

Ascolta Israele! Io sono il Signore Dio tuo:
1.   Non avrai altro Dio all'infuori di me.
2.   Non nominare il nome di Dio invano.
3.   Ricordati di santificare le feste.
4.   Onora il padre e la madre.
5.   Non uccidere.
6.   Non commettere atti impuri.
7.   Non rubare.
8.   Non dire falsa testimonianza.
9.   Non desiderare la donna d'altri.
10.   Non desiderare la roba d'altri.


Nell'insegnamento della Chiesa il decimo comandamento proibisce di “desiderare la roba d’altri”,   vieta l'avidità, la cupidigia, costituisce una spiegazione implicita dell'invidia verso i beni altrui: induce al possesso, al furto, alla rapina, vietati dal settimo comandamento.

Secondo il catechismo della Chiesa cattolica il battezzato deve combattere l’invidia con la benevolenza, l’umiltà e l’abbandono della provvidenza di Dio, insomma deve rassegnarsi alla sua condizione socioeconomica, anche se infima. Questa diabolica ideologia cristiana ha tenuto a bada per secoli la ribellione delle masse verso i ricchi, i potenti. Il povero deve accettare, sopportare, tollerare il suo status.

Con lo spauracchio del peccato e dell’inferno la gerarchia ecclesiastica (vescovi, cardinali, papi)  alleata con i rappresentanti del potere (politico, economico, militare)  ha fatto accettare ai diseredati la loro vita grama, a non essere invidiosi dei ricchi, inducendoli a cercare conforto nelle preghiere, a sperare nella provvidenza divina, a credere nell’aldilà come luogo di beatitudine dopo le sofferenze terrene.  Il distacco dalle ricchezze è indispensabile per entrare nel regno dei cieli. (Catechismo, 2256) “Beati i poveri in spirito” (Mt 5,3).

L’ultimo comandamento riconosce in tale desiderio l'elemento scatenante delle violenze proibite nei quattro comandamenti precedenti. Smettendo di desiderare i beni del prossimo non si diventa assassini, adulteri, ladri, falsi testimoni. 

Il decimo ed il nono comandamento aiutano i credenti a vivere con distacco dalle cose terrene: il decimo dai beni materiali, il nono dalla concupiscenza, dal desiderio sessuale.

Agostino, vescovo d’Ippona,  vedeva nell'invidia il peccato diabolico, da cui nascono l'odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo.

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Re:Invidia
« Risposta #6 il: Febbraio 18, 2016, 07:05:04 »
Nella mitologia greca una delle tre Erinni si chiama Megera, significa l’invidiosa,  preposta all'invidia ed alla gelosia, però attenzione, nell’invidia ci sono soltanto due soggetti: l’invidioso e l’invidiato, invece nella gelosia i soggetti sono tre: lui, lei e il “terzo incomodo”.

L’invidioso “guarda” verso qualcosa che qualcuno ha, ma che non gli appartiene; il geloso, al contrario,  teme  che qualcuno gli porti via ciò che già ha.

L’invidia deriva dalla frustrazione, provoca astio, svalutazione delle persone percepite come “migliori”.
Ciò che suscita l'invidia è il successo dell'altro, la sua ricchezza, la sua fortuna negli affari, la posizione socialmente elevata, l'intelligenza, la popolarità e la stima della gente, la bellezza e la forza fisica, la salute ecc.. 

Per la Chiesa cattolica l’invidia è uno dei sette peccati capitali, che ho descritto in un altro topic. 

Il sociologo Francesco Alberoni nel suo libro titolato “L’invidia” dice che: “Desideriamo essere come gli altri, avere quanto hanno gli altri. Da bambini impariamo guardando i nostri fratelli, i nostri genitori. Da adulti osservando cosa fanno i vicini, i personaggi dello spettacolo. Il desiderio è una energia creata da ciò che vediamo. Il contatto con altre persone ci stimola, ci seduce, ci tenta, ci trascina a volere sempre di più, sempre nuove cose, a porci traguardi sempre più elevati. Ma questa incessante attività desiderante incontra inevitabilmente delle frustrazioni. Non sempre riusciamo ad ottenere ciò che hanno ottenuto coloro che ci sono serviti da modelli da imitare. La frustrazione può manifestarsi in varie forme: collera, tristezza, rinuncia, oppure il rifiuto del modello con cui ci eravamo identificati. Per respingere il desiderio respingiamo la persona che ce lo ha involontariamente indicato, la svalutiamo,diciamo che non merita, che non vale nulla. E’ questa la prima radice dell’invidia.
L’altra radice dell’invidia è nell’esigenza di giudicare. Per sapere quanto valiamo ci confrontiamo con qualcun altro. Cominciamo da bambini confrontandoci con nostro fratello o è nostra madre che ci paragona a lui.  E poi continuiamo nel corso della vita con gli amici, con i colleghi, con chi ci ha superato o con chi abbiamo lasciato indietro; ogni volta che ci valutiamo, ogni volta che veniamo valutati”


Un altro sociologo, Paolo De Nardis,  nel volume “L’invidia”  analizza questo sentimento  come categoria sociologica basata sulla pena esistenziale della sofferenza che si prova per la gioia degli altri o per il loro successo, mettendo a confronto due diversi sistemi di valore socio-religiosi: il cattolicesimo e il protestantesimo. Se la mentalità protestante trasforma l'invidia in competitività, cioè nel poderoso collante del capitalismo, quella cattolica la reprime nel disprezzo, alimentandola in ogni sfera della vita sociale.

Nelle società in cui la disuguaglianza è assunta come un dato naturale si è indotti ad accettare più facilmente la supremazia dell’altro e a tollerare il proprio limite. Mentre nelle società dove la disuguaglianza è ritenuta innaturale o prodotto dell’iniquità sociale, l’invidia veste i panni della virtù e si trasforma in istanza di giustizia.

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Re:Invidia
« Risposta #7 il: Febbraio 19, 2016, 00:06:15 »
L’invidia svolge costantemente il ruolo di detonatore di numerose dinamiche sociali,  coinvolge almeno due individui e può estendersi ad un numero considerevole di persone.

L’invidia, sentimento intimo e inammissibile, rabbioso, come quello “covato” dal “ragionier Ugo Fantozzi”.  In una intervista Paolo Villaggio ha detto: “L’invidia è considerata un peccato di cui vergognarsi, invece è un sentimento nobile, in una cultura dominata dall’idea del successo. Un tempo mi facevo vedere ovunque per ostentare il mio successo. Invecchiando sono diventato più buono, non invidio più nessuno e non cerco di suscitare invidie…Io difendo gli invidiosi, perché tutti coloro che sono felici invidiano chi è più felice di loro….L’italiano medio si lamenta dicendo ‘Sono tutti ladri!’, ma il suo non è vero disprezzo è semplicemente invidia. In realtà vorrebbe rubare anche lui, solo che non ne ha l’abilità, né il coraggio. Il sogno di molti italiani è di fare una rapina in banca”.

L’invidia vuole l’uguaglianza sociale: nessuno deve emergere.  Chi si distingue deve essere odiato ed emarginato. L’invidia non tollera chi emerge al di sopra della mediocrità.

La scrittrice e filosofa statunitense di origine russa  Ayn Rand O'Connor (1905 – 1982),  fu sostenitrice dell'individualismo e dell'egoismo razionale, da lei inteso come la più naturale e importante delle virtù, in quanto consiste nel cercare il proprio bene senza arrecare danno agli altri. E con riferimento al collettivismo comunista nell’ex Unione Sovietica, scrisse:    “Non vogliono possedere la tua fortuna, vogliono che tu la perda; non vogliono riuscire, vogliono che tu fallisca”.

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Re:Invidia
« Risposta #8 il: Febbraio 20, 2016, 05:23:59 »
Un  approfondito studio sull'invidia fu effettuato dal sociologo austriaco Helmut Schoeck (1922 – 1993), che prese in esame gli aspetti culturali di questo sentimento e li pubblicò nel suo libro “L’Invidia e la società”. L'autore dice che l’invidia è un tema fastidioso ma è più sgradevole il sospetto che l’aspirazione all’uguaglianza abbia le sue radici nel sentimento dell’invidia. Forse  ispirò il filosofo Karl Marx ? Questo considerava la lotta tra le classi sociali come il "motore" della storia e la fonte principale del cambiamento. Secondo i marxisti, il conflitto di classe - spesso indicato come guerra di classe o lotta tra i ceti - è quella tensione o antagonismo che si crea nella società a causa della competizione degli interessi socio-economici tra persone di classi differenti.  Il conflitto di classe può assumere diverse forme: la violenza diretta, la violenza indiretta, la coercizione, lo scontro ideologico. 

L’economista statunitense Henry Hazlitt (1894 – 1993) scrisse che “L’intero Vangelo di Karl Marx può essere riassunto in poche frasi: odia l’uomo che si dimostra migliore di te. Non ammettere mai, in nessuna circostanza, che il suo successo possa essere dovuto alle sue capacità, non riconoscere mai il contributo produttivo che possa aver dato a tutta la comunità. Attribuisci invece sempre il suo successo allo sfruttamento, all’imbroglio, alla rapina più o meno …esplicita ai danni degli altri. Mai ammettere, in nessuna circostanza, che il proprio fallimento possa essere dovuto alla propria debolezza, o che il fallimento di chiunque altro possa derivare dai suoi difetti,  dalla sua pigrizia, incompetenza, imprevidenza o stupidità.

“Chi, in sé, non ha alcuna virtù, invidia sempre la virtù negli altri. Poiché la mente umana si nutre o del proprio bene o del male altrui, chi non ha il primo, prenderà l’altro”, scrisse il filosofo e politico inglese Francis Bacon (1561 – 1626).

Più l'invidia è impotente, più è devastante e carica di risentimento, scrisse il filosofo tedesco Max Scheler (1874 – 1928). Questa forma d’invidia fa dire all’invidioso: “posso perdonarti tutto, ma non il fatto che ci sei e sei ciò che sei, e che io non sono ciò che tu sei”. Come la superba e vanitosa“regina cattiva”, la perfida matrigna di Biancaneve, invidiosa della bellezza della figliastra, al punto da desiderarne la morte pur di restare la donna più bella del regno.


 “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame ?”
 
Nell’attesa della “risposta” concludo il post e finisco qui il topic.


nihil

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Re:Invidia
« Risposta #9 il: Febbraio 21, 2016, 08:55:24 »
l'invidia è l'anticamera della cattiveria!