Nel romanzo in due parti titolato “Zavist" (=“Invidia”), pubblicato nel 1927, lo scrittore sovietico Jurij Karlovic Olesa fa dire all’invidioso Nicolaj Kavalerov mentre pensa ad Andrej Babicev, suo antagonista: “Per cosa sono da meno di lui? Per intelligenza? Per ricchezza interiore? Per sensibilità? Per forza? Per importanza? Perché devo subire la sua superiorità?”
La trama del romanzo è ambientata a Mosca nel periodo della ricostruzione post-rivoluzionaria. Nikolaj Kavalerov, scrittore economicamente povero, viene raccolto ubriaco sulla strada da Andrej Babicev, direttore dell'Ente dell'industria alimentare, e lo ospita in casa. Ma la permanenza in quella dimora sviluppa in Kavalerov molta invidia verso Babicev. E nel romanzo emerge lo scontro tra due concezioni opposte di esistenza: quella che privilegia gli ideali, i sentimenti e la personalità; e quella dell'uomo nuovo, nato dalla rivoluzione, che è teso al pragmatismo e al raggiungimento di mete molto concrete. Non si tratta dello scontro tra antirivoluzionari e rivoluzionari, bensì tra due modi diversi di guardare all'esistenza.
Per rimanere nella vecchia U.R.S.S. cito il filosofo e presbitero, Pavel Aleksandrovič Florenskij, che nacque in Azerbaigian nel 1882 e morì fucilato nel 1937 per ordine del regime sovietico. Dai gulag dove fu confinato in Siberia e nel Mar Bianco scrisse ai suoi familiari delle lettere, raccolte e pubblicate dopo la sua morte nel libro titolato “Non dimenticatemi”. Dai suoi scritti emerge la sua personalità. Nel “Testamento” rivolgendosi ai figli, Florenskij scrive: “Non fate le cose in maniera confusa, non fate nulla in modo approssimativo, senza persuasione, senza provare gusto per quello che state facendo. Ricordate che nell’approssimazione si può perdere la propria vita! (…) Cari figli miei, guardatevi dal pensare in maniera disattenta. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che ci si prenda cura con tutte le forze del suo oggetto. (…) Quando proverete tristezza nel vostro animo guardate le stelle oppure il cielo di giorno. Quando siete tristi, offesi, sconsolati o sconvolti per un tormento dell’anima, uscite all’aria aperta e fermatevi in solitudine immersi nel cielo. Allora la vostra anima troverà quiete.”
Dice anche: “Miei cari, il peccato che mi sarebbe particolarmente penoso vedere in voi è l'invidia. Non abbiate invidia, miei amati, di nessuno. Non siate invidiosi, perché l'invidia rende lo spirito piccolo e volgare. Se proprio desiderate possedere qualcosa, datevi da fare chiedendo a Dio che vi dia ciò che desiderate. Ma non invidiate nessuno. La meschinità dell'animo, la grettezza, i pettegolezzi insolenti, la cattiveria, gli intrighi: tutto ciò proviene dall'invidia. Ma voi non siate invidiosi, datemi questa consolazione, ed io sarò con voi e per quanto potrò, pregherò il signore che vi aiuti.
Ed ancora: non giudicate, non condannate chi è più anziano di voi, non sparlate e cercate di coprire il peccato e di non evidenziarlo. Dite a voi stessi: «chi sono io per condannare gli altri, conosco forse le loro motivazioni interiori per poter giudicare? ». Il giudizio nasce soprattutto dall'invidia ed è una cosa abominevole. Abbiate per ognuno il rispetto dovuto, non adulate nessuno e non umiliatevi, ma non giudicate le questioni che non vi sono state affidate da Dio. Occupatevi dell'opera vostra, cercate di compierla nel migliore dei modi, e tutto ciò che fate, fatelo non per gli altri, ma per voi stessi, per la vostra anima, cercando di trarre da tutto vantaggio, insegnamento, alimento per l'anima, perché neanche un solo istante della vostra vita vi scorra accanto senza senso o contenuto”.
Concludo questo post citando un altro filosofo e matematico, il britannico Bertrand Russell, che argomenta pure sull’invidia nel suo libro titolato “La conquista della felicità”. A suo giudizio l’invidia è una delle passioni umane più radicate e universali, ed è deprecabile nella prospettiva cristiana, perché è la negazione assoluta della carità verso il prossimo. Per Russell anche dal punto di vista laico l’invidia è fonte d'infelicità per moltissima gente. La persona invidiosa, oltre a volere l'infelicità degli altri, rende infelice anche se stessa, e ciò perché, “invece di trovare piacere in ciò che ha, soffre per quello che gli altri hanno”. Rimane infelice: "A che serve dirmi che il rimedio contro l'invidia è la felicità? Non posso trovare la felicità fin tanto che provo invidia, e voi mi dite che non posso smettere di essere invidioso fino a quando non avrò trovato la felicità !".