Autore Topic: Chiesa e sessualità  (Letto 4577 volte)

Doxa

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #15 il: Dicembre 26, 2015, 00:01:25 »
Da molti studi dedicati specificamente alle donne è  evidente l’androcentrismo delle tradizioni religiose ebraica e cristiana.
Il cosiddetto Homo religiosus era in effetti il vir religiosus, che per tutelare la patrilinearità lo induceva al controllo maschile sulla donna,  dando valore alla verginità  femminile prima del matrimonio, all’obbedienza della moglie al marito, alla sua fedeltà, alla punizione nel caso di  adulterio.  Però la fedeltà era ed è nel cristianesimo un valore da rispettare anche per l’uomo. 

Nella “Lettera ai Galati” l’apostolo Paolo scrisse: “Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio,  idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;”. (5, 16 – 22)

Il tentativo paolino di unire lo spirito alla “carne” e quindi valorizzare spiritualmente la sessualità fu un approccio completamente nuovo e quasi rivoluzionario rispetto al tempo precedente. Teologicamente considerava il rapporto sessuale metafora del rapporto fra l'anima e Dio, perciò con profondo significato spirituale.

Poi la Chiesa “umanizzò” la sessualità legandola al matrimonio e alla famiglia. 

L’attività sessuale con annessa morale sessuale  furono immesse in un sistema di regole che alternano repressione e clemenza. Ne abbiamo esempi anche nel nostro tempo. Infatti oggi la Chiesa condanna il divorzio ma accoglie con comprensione i divorziati risposati; condanna l’aborto ma ammette con compassione la donna che ha abortito; condanna l’adulterio ma ospita caritatevolmente l’adultero/a, se pentiti.

Tale politica della sessualità agisce da efficace sistema di governo delle anime dei fedeli. La soluzione è sofisticata e funziona  da secoli. Ma nell’epoca contemporanea la medicina, la psicoanalisi e poi la psicologia e la sessuologia  hanno emarginato  la secolare, repressiva e opportunistica  morale cattolica, che è variabile nel tempo.

Fino a pochi anni fa si diceva che per il cattolicesimo il piacere è colpa, il sesso è peccato. Da praticare con parsimonia e disagio esclusivamente nel matrimonio, e principalmente per procreare.

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #16 il: Dicembre 27, 2015, 07:13:13 »
Nel luglio 1968, Paolo VI pubblicò l'enciclica "Humanae vitae" presentando una dottrina sulla sessualità e sul matrimonio in continuità con quella della tradizione e con Pio XI, ma anche offrendo ai fedeli nuovi orientamenti.

A molti, fuori e dentro il mondo cattolico, la decisione del papa  di pubblicare l’enciclica “Humanae vitae” proprio nel 1968 sembrò inopportuna. In quell’anno imperversavano le proteste giovanili negli Stati Uniti e in Europa: contestavano alcuni valori dominanti, lottavano per dei diritti civili, reclamavano la libertà di espressione, la liberazione sessuale come affermazione preminente dell’autonomia del soggetto,  la “naturalezza” libera dalle repressioni e tabù anche religiosi.
 
Paolo VI  autorizzando la pubblicazione della predetta enciclica scelse lo scontro ideologico per contrastare gli orientamenti proposti dai giovani e dalla scienza nell’ambito sessuale e psicologico. Eppure si voleva far credere che Paolo VI fosse il papa dell’incontro della Chiesa cattolica con la contemporaneità. Questo pontefice non volle discostarsi da quanto scritto da Pio XI nell’enciclica “Casti connubii”  mostrando la continuità della tradizione cattolica nell’ambito della morale sessuale.
La posizione della Chiesa fu considerata retriva, ma si deve tener conto che la Chiesa si adatta ai tempi con prudenza e molta lentezza.
 
Il 29 dicembre 1975 la "Congregazione per la dottrina della fede" pubblicò il documento (una dichiarazione) titolato: “Persona humana”, riguardante la sessualità. Questo è il link per chi lo vuole leggere.
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19751229_persona-humana_it.html

Lo storico francese Guy Bechtel nel suo saggio titolato “La chair, le diable et le confesseur”, riflette sul tentativo di controllo dell’attività sessuale degli individui tramite la  confessione, e conclude che la Chiesa ha perso la sua partita.

Dopo aver elaborato le norme che stabilivano ciò che era lecito e ciò che era illecito nell’ambito sessuale, la Chiesa medievale per imporre la loro osservanza impose ai fedeli di dire al confessore le colpe,  per avere da lui, ma in nome di Dio, la giusta punizione sotto forma di penitenze, che variavano secondo la gravità dei peccati che potevano essere veniali o mortali.

Lo scopo della condanna non è tanto quello di estirpare comportamenti e pulsioni che si sanno invincibili, quanto quello di instillare nelle coscienze quel senso del peccato e della colpa che garantisce la perpetua soggezione delle anime.
 
Secondo la morale cristiana il cedere alle tentazioni della lussuria è motivo di riprovazione e di condanna da parte di Dio. E la 
confessione come forma di autodenuncia, volontà di espiazione, libera la “coscienza” dal senso di colpa  e svolge una funzione catartica.

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #17 il: Dicembre 28, 2015, 06:38:44 »
Per quasi duemila anni la Chiesa e i suoi teologi hanno avuto verso la donna sentimenti contradditori: ne gradivano la sottomissione, la verginità, il dono della maternità,  ma la ritenevano anche una meretrice, una strega, un essere inferiore. Persino le sante erano spesso mal viste, perché cercavano di uscire dall'anonimato contraddicendo la "naturale" modestia del loro sesso.

Fino alla prima metà del XX secolo la Chiesa, maschilista e adeguata alla vigente cultura patriarcale, esaltò la sottomissione femminile.

Ma da dove assumeva questo mito dell'inferiorità della donna?

Dal Nuovo Testamento sappiamo che non è mai stato nelle intenzioni di Gesù Cristo colpevolizzare, condannare e perseguitare le donne. Eppure, in suo nome, per secoli il sesso femminile è stato vilipeso e sottomesso. In alcuni periodi storici i ministri di Dio sulla terra hanno dimostrato addirittura odio verso le femmine. Per duemila anni hanno sfilato nell'immaginario cattolico due  modelli di donna: Eva, colpevole di averci condotti alla dannazione, e Maria, vergine e genitrice al contempo. E poi le meretrici e le streghe che impersonano il peccato, la sessualità, il Diavolo.

La donna, origine di ogni male, un essere da sorvegliare perché sovverte l'armonia. 

Si dovette attendere la morte di Pio XII nel 1958 e la nomina di Giovanni XXIII come nuovo pontefice per avere il necessario aggiornamento della Chiesa cattolica col Concilio Vaticano II, che riesaminò anche la situazione della donna.

La prima apertura ideologica venne dallo stesso papa Giovanni, che nell'enciclica "Pacem in terris" del 1963 scrisse: "Nella donna infatti diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell'ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica". E più oltre aggiunse: "In moltissimi esseri umani si va così dissolvendo il complesso di inferiorità protrattosi per secoli e millenni; mentre in altri si attenua e tende a scomparire il rispettivo complesso di superiorità, derivante dal privilegio economico-sociale o dal sesso o dalla posizione politica".

Ciò che colpisce maggiormente nelle parole di papa Giovanni XXIII è l'atteggiamento comprensivo e positivo che esse rivelano. A differenza dei suoi predecessori egli descrive i mutamenti sociali avvenuti e che stavano avvenendo. Non denigra l'emancipazione femminile, alla quale i documenti dei precedenti pontefici ci avevano abituati.

Comunque nell’ambito del rapporto di coppia  il messaggio cristiano delle origini  ebbe l'impatto di una rivoluzione culturale: diede rilevanza al consenso della donna nello scegliersi il marito, stabilì norme etiche per  l’attività sessuale finalizzata alla procreazione, governò  la vita personale e familiare, producendo un nuovo modello di famiglia basato sul matrimonio cristiano. 

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #18 il: Dicembre 29, 2015, 00:16:58 »
Sto rileggendo  un vecchio  libro pubblicato nel 1968 e scritto dalla teologa e filosofa statunitense Mary Daly (1928 – 2010) “La Chiesa e il secondo sesso”. Questo titolo evoca quello usato dalla filosofa esistenzialista francese  Simone de Beauvoir: “Il secondo sesso”,  con riferimento alla femmina, Eva,  creata da Dio dopo Adamo. 

La de Beauvoir  nel suo saggio afferma che nel medioevo “il diritto canonico non ammette altro regime matrimoniale che quello dotale, che rende la donna incapace e senza nessun potere. Non soltanto le sono interdetti gli uffici virili, ma le è perfino proibito di deporre in giudizio, e la sua testimonianza non ha valore”. Dice anche che i principali avversari delle donne erano gli ecclesiastici.

Secondo la filosofa francese sono due le fonti principali dell’impronta misogina della teologia morale cattolica: la tradizione ebraica antifemminista  e la filosofia greca aristotelica.

L’antifemminismo cristiano è collegato  alla sessualità: la donna è la temibile tentazione del demonio.   

Nei secoli passati numerosi scrittori cristiani usarono il biblico racconto della creazione di Eva (Genesi) e il suo ruolo di tentatrice nei confronti di Adamo per dimostrare l’indimostrabile: l’immutabile inferiorità della donna, non solo fisica, ma anche intellettuale e morale.  Alla mitica Eva fu attribuita la responsabilità del peccato originale. La violenza di alcune perorazioni dei padri della Chiesa su tale argomento lascia allibiti.

Il misogeno apologeta cristiano Tertulliano (155 circa – 230 circa) nel suo trattato in due libri titolato “De cultu feminarum” (L’abbigliamento femminile, o eleganza femminile) si rivolge alla donna  invitandola ad evitare di adornarsi con eccessiva cura, per non divenire strumento del demonio, che persevera nella sua opera di rovina seduttiva trascinando nel peccato l’uomo e pregiudicandone la salvezza eterna: “…non sai che sei Eva ? … Tu sei la porta del diavolo … tu sei colei che per prima ha violato la legge divina; tu sei colei che ha persuaso (a peccare) colui che il diavolo non fu capace di attaccare; con quanta facilità hai fatto cadere l’uomo, l’immagine di Dio; per la pena da te meritata, cioè la morte, perfino il figlio di Dio (Gesù) dovette morire”. 

Ecco altri passi dimostrativi del pensiero di Tertulliano nei confronti delle donne:

Solo l'uomo, non la donna, è ad immagine di Dio.

Ogni donna porta su di sè la maledizione di Eva, origine del peccato.

La donna è sorgente di tentazione.

Le donne non possono insegnare,battezzare, o esercitare il ministero sacerdotale.

E' meglio per un uomo non sposarsi, perché così non è contaminato dalla concupiscenza.

Il teologo ed apologeta Clemente d’Alessandria (150 – 215 circa) nel “Paedagogi” insegnava che per la donna è già sufficiente motivo di vergogna il pensare chi essa sia.

Ad Eva venne contrapposta Maria, la madre di Gesù.Il teologo e filosofo Origene (185 – 254) in una omelia (dalle “Homiliae in Lucam”) osserva che come il peccato è venuto da una donna (Eva) da una donna (Maria) è venuto l’inizio della salvezza.

Nella mentalità dei Padri della Chiesa donna e sessualità si identificavano, e quindi l’orrore provato per il sesso diventava orrore per la donna. Non si rendevano conto dei meccanismi psicologici di proiezione che entravano in gioco nel loro atteggiamento misogino: il senso di colpa per il loro desiderio sessuale veniva proiettato sulla donna, al sesso “colpevole”.

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #19 il: Gennaio 04, 2016, 16:33:17 »
In un precedente post ho evidenziato che si dovette attendere la morte di Pio XII nel 1958 e la nomina di Giovanni XXIII come nuovo pontefice per avere il necessario aggiornamento della Chiesa cattolica col Concilio Vaticano II, che riesaminò anche la situazione della donna, la quale “esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica”.
 
A differenza degli scritti dei predecessori, in papa Giovanni c’è il riferimento agli “uguali diritti e doveri dell’uomo e della donna”, non accompagnato da precisazioni circa la necessità di temperare tale uguaglianza.
Si può scorgere lo spirito giovanneo in alcuni frasi riguardanti la donna, che sono nella Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II su “La Chiesa nel mondo contemporaneo”:Gaudium et spes",   promulgata dal papa Paolo VI l'8 dicembre 1965, l'ultimo giorno del Concilio. Il nome Gaudium et spes deriva dalle prime parole latine del testo, che significano: la gioia e la speranza. Tale documento prende atto che “le donne rivendicano, dove ancora non l’hanno raggiunta, la parità di diritto e di fatto con gli uomini”, e mostra che la Chiesa riconosce la necessità che gli uguali diritti di uomini e donne abbiano applicazione pratica.

Per quanto riguarda il matrimonio, la “Gaudium et spes” supera il biologismo della teologia del passato e la vecchia distinzione tra il fine primario ed il fine secondario del connubio. Inoltre essa non condanna la contraccezione  artificiale ma sembra lasciare aperta la porta per un ulteriore studio del problema.

Il fermento della questione femminile nella Chiesa cominciò a manifestarsi poco dopo l’apertura del Concilio Vaticano II.

La teologa Mary Daly nel suo libro “La Chiesa e il secondo sesso” narra che durante una Messa conciliare ad una giornalista venne impedito l’accesso alla balaustra per ricevere la comunione perché femmina. Quel fatto increscioso dimostrò la persistenza nel Vaticano  di una stramba mentalità che sembrava considerare non del tutto umana la donna.

Numerose teologhe inviarono alcune petizioni ai padri conciliari per far riconsiderare nel Concilio la condizione femminile tradizionalmente subalterna nella Chiesa. Influente fu la petizione dell’avvocatessa svizzera Gertrud Heinzelmann, la quale dimostrò come gli insegnamenti di Tommaso d’Aquino sulle donne fossero superati, stantii, mettendo in luce quanto c’è di offensivo e degradante in questi insegnamenti tomistici, fondati su una sbagliata teoria biologica della generazione che risale all’antico filosofo greco Aristotele e su un’esegesi biblica errata.

I primi testi riguardanti la questione femminile cominciarono ad apparire durante gli anni del Concilio Vaticano II; in genere essi evidenziano l’antifemminismo radicato nella tradizione cristiana, e  insistono sulla necessità di purificare il pensiero teologico dalle distorsioni. Tale letteratura era il risultato dei rapidi mutamenti sociali che stavano avvenendo in quegli anni e dei progressi della scienza.
« Ultima modifica: Gennaio 05, 2016, 14:32:26 da dottorstranamore »

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #20 il: Gennaio 05, 2016, 14:52:00 »
Durante e dopo il Concilio Vaticano II ci furono le proteste di molte donne cattoliche contro l’atteggiamento anacronistico della Chiesa sulla questione della regolamentazione delle nascite. Eloquente fu la protesta della dottoressa Anne Biezanek, direttrice della clinica per la pianificazione familiare alla periferia di Liverpool, frequentata in maggioranza da donne cattoliche, e lei stessa madre di sette figli. La Biezanek si ribellò contro l’atteggiamento della Chiesa sulla questione della pillola. Ella, cattolica, non avendo avuto direttive univoche sull’uso della pillola aveva cominciato a prenderla.  Lo disse al sacerdote della chiesa che frequentava e questo le rifiutò la comunione. La dottoressa informò la stampa e ci furono polemiche. Riferendosi al clero la donna disse: “ A loro non è mai importato niente di quanto soffrivano le donne. E’ questo che mi fa ribellare. Se un prete dice che questa è la legge di Dio, impone alle donne il martirio.
   
Ai nostri giorni nella gerarchia della Chiesa cattolica  c’è il dibattito sulla “pillola del giorno dopo”, ammessa da alcuni episcopati nel caso di violenza sessuale.
 
Le conferenze episcopali tedesca e spagnola hanno posto come condizione alla “liceità” che siano pillole anticoncezionali ma non abortive. Tale distinzione che riconduce il caso nei limiti fissati dalla dottrina ufficiale, trova un “cauto consenso” anche in Vaticano, negli ambienti della Pontificia Accademia per la vita.

“La violenza sessuale non è un atto coniugale, ma un atto di ingiustizia e violenza e in questo caso, è legittimo impedire la fecondazione, purché si disponga di una pillola che eviti che ci sia concepimento, non di una che provochi l'espulsione dell'ovulo fecondato”. La “pillola post coitale” non è un composto abortivo ma un farmaco ormonale che impedisce o ritarda l'ovulazione e nella maggioranza dei casi evita la gravidanza, ma non la interrompe.

La conferenza episcopale tedesca  il 21 febbraio 2013 autorizzò cliniche ed ospedali cattolici a prescrivere pillole del giorno dopo alle donne vittime di violenza sessuale, purché “farmaci in grado di evitare la fecondazione e non di farmaci dagli effetti abortivi”.
La parziale concessione dei vescovi tedeschi giunse dopo le polemiche sollevate dal caso di una donna stuprata alla quale era stata negata la possibilità di assumere la pillola del giorno dopo da due cliniche cattoliche di Colonia.

Fu il cardinale Karl Lehmann, vescovo di Magonza, a trattare la questione nella conferenza episcopale tedesca e a suggerire la decisione poi adottata, parlando come presidente della “commissione dottrinale”. Lehmann invitò a distinguere tra i “principi attivi dei diversi farmaci oggi in commercio”, affermando che sono da considerare “inaccettabili” sia quelli che uccidono l'embrione sia quelli che ne impediscono l'annidamento; mentre sono da ritenere leciti  -sempre per rimediare alle conseguenze di una violenza-  “quelli che si limitano a impedire la fecondazione” e dunque esercitano un'azione esclusivamente contraccettiva e preventiva. 

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #21 il: Gennaio 08, 2016, 09:06:50 »
Negli ultimi decenni la Chiesa cattolica  ha tentato di limitare il divario tra magistero ecclesiale ed insegnamenti provenienti dalla medicina e dalla psicologia  sulla sessualità.

Per non rimanere emarginato il Vaticano  ha rinunciato alla sessuofobia, tentando di conciliare la staticità della “rivelazione divina”  e la dinamicità scientifica. 

Dal II al XX secolo, la dottrina cristiana ha distinto nel matrimonio la concupiscenza fine a se stessa ed il piacere sessuale collegato alla volontà di procreare. 
 
Il filosofo e apologeta cristiano Giustino (100 circa – 168 circa), considerato uno dei Padri della Chiesa (cattolica ed ortodossa), affermava:  "O ci sposiamo unicamente per procreare figli o, se rifiutiamo di sposarci, siamo completamente continenti".

Il sostantivo continenza deriva dal latino “continens” (= moderazione), in lingua greca “enkràteia”: questo termine viene abitualmente tradotto con il termine “continenza”  ma il significato rimanda al “dominio di sé”, alla capacità dell’individuo di padroneggiare istinti e passioni.

Da “enkrateia” deriva il sostantivo “encratismo”: è un’antica dottrina morale gnostico-cristiana a sfondo ascetico.  I seguaci di questa dottrina venivano detti encratiti, i quali attuavano la continenza. 
L'encratismo attribuiva una valenza fortemente peccaminosa a numerosi aspetti del vivere quotidiano come i rapporti sessuali.
 
La continenza, l’astinenza dai rapporti sessuali, la verginità, il celibato: sono questi i temi della lettera enciclica “Sacra virginitas”, pubblicata il 25 marzo 1954 dal papa Pio XII, indirizzata al clero ed ai fedeli laici.  Nella lettera il pontefice fra l’altro dice: “…di recente vi sono stati alcuni che hanno impugnato con serio pericolo e danno dei fedeli questa dottrina tramandataci dalla chiesa, Noi, spinti dall'obbligo del Nostro ufficio, abbiamo creduto opportuno nuovamente esporla in questa enciclica, indicando gli errori, proposti spesso sotto apparenza di verità.

Anzitutto, si discostano dal senso comune, che la chiesa ebbe sempre in onore, coloro che considerano l'istinto sessuale come la più importante e maggiore inclinazione dell'organismo umano e ne concludono che l'uomo non può contenere per tutta la vita un tale istinto, senza grave pericolo di perturbare il suo organismo, soprattutto i nervi, e di nuocere quindi all'equilibrio della personalità.
Come giustamente osserva san Tommaso, l'istinto più profondamente radicato nel nostro animo è quello della propria conservazione, mentre l'inclinazione sessuale viene in secondo luogo. Spetta inoltre all'impulso direttivo della ragione, privilegio singolare della nostra natura, regolare tali istinti fondamentali e nobilitarli dirigendoli santamente.

È vero, purtroppo, che le facoltà del nostro corpo e le passioni, sconvolte in seguito al primo peccato di Adamo, tendono al dominio non solo dei sensi ma anche dell'anima, offuscando l'intelligenza e debilitando la volontà. Ma la grazia di Gesù Cristo, principalmente attraverso i sacramenti, ci viene data proprio perché, vivendo la vita dello spirito, teniamo a freno il corpo (cf. Gal 5, 25; 1 Cor 9, 27). La virtù della castità non pretende da noi l'insensibilità agli stimoli della concupiscenza, ma esige che la sottomettiamo alla retta ragione e alla legge di grazia, tendendo con tutte le forze a ciò che nella vita umana e cristiana vi è di più nobile.

Per acquistare poi questo perfetto dominio sui sensi del corpo, non basta astenersi solamente dagli atti direttamente contrari alla castità, ma è assolutamente necessario rinunciare volentieri e con generosità a tutto ciò che, anche lontanamente, offende questa virtù”.
Nella terza parte della citata enciclica Pio XII passa alle “conseguenze pratiche della dottrina della chiesa circa l'eccellenza della verginità”.

“…la carne, infatti ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito desideri contrari alla carne» (Gal 5, 17). Se alcuno cedesse, anche leggermente, alle lusinghe del corpo, facilmente si sentirebbe trascinato a quelle «opere della carne” (Gal 5, 19-21), enumerate dall'apostolo (Paolo) che costituiscono i vizi più abominevoli dell'umanità.

Perciò dobbiamo anzitutto vigilare sui movimenti delle passioni e dei sensi, dobbiamo dominarli anche con una volontaria asprezza di vita e con le penitenze corporali, in modo da renderli sottomessi alla retta ragione e alla legge di Dio”.
.”Alla preghiera, tuttavia, bisogna aggiungere la pratica frequente del sacramento della penitenza: esso è una medicina spirituale che ci purifica e ci guarisce. Così pure bisogna nutrirsi del pane eucaristico: il Nostro predecessore d'immortale memoria Leone XIII lo additava come il migliore rimedio contro la concupiscenza”.

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #22 il: Gennaio 10, 2016, 00:04:42 »
Don Diego Facchetti, del seminario diocesano di Brescia, in alcuni suoi appunti online di teologia morale sessuale rileva che “La situazione attuale interpella la Chiesa ad un impegno che le consenta di cogliere le “sfide” della cultura contemporanea al messaggio cristiano, e di offrire le necessarie risposte, soprattutto rimettendo a fuoco teologicamente i valori permanenti coinvolti.
Infatti, un’adeguata comprensione dei mutamenti che coinvolgono la percezione di valore ed i comportamenti riguardanti la vita, la sessualità, la famiglia non è, per la stessa Chiesa, una sorta di ‘lusso’  intellettuale, né un semplice esercizio culturale. Conoscere la realtà è di importanza determinante anche per l’azione pastorale della comunità cristiana, perché c’è altrimenti il rischio di rivolgersi ad una persona immaginaria, non a quella reale: da questo deriva l’impressione (per essere benevoli!) di genericità ed a volte di astrattezza del messaggio proposto e la risonanza limitata che esso ha nel cuore delle persone con le quali la Chiesa entra in contatto.
Quali sono i caratteri più salienti del clima culturale odierno?
Senza dubbio siamo inseriti in una società pluralista e complessa, in cui sono presenti contemporaneamente visioni del mondo assai diversificate e per nulla gerarchicamente coordinate.
Il pluralismo culturale si coniuga ad un soggettivismo pragmatista. Il metro della valutazione di sé e della stessa realtà diventa l’’esperienza personale’. L’individuo diventa l’unico giudice che le conferisce valore.”

Don Diego aggiunge che “Vita, amore, sessualità sono considerati in modo nuovo, anche rispetto ad un recente passato”.  E “la relazione sessuale diventa un bene da consumarsi subito, venendo privata di quella prospettiva a lunga scadenza; anche matrimonio e famiglia conoscono significativi segni di “crisi. […] Le cause di questa “trasmutazione” di valori sono soprattutto d’indole culturale, sociale e politica. In ultima analisi però l’eclissi del giusto valore della vita, della sessualità e dell’amore scaturisce dall’eclissi del senso di Dio e dell’uomo, come esito del secolarismo. L’uomo si percepisce come un semplice organismo, un oggetto. […]
Non sono infrequenti le contestazioni nei confronti dell’insegnamento morale (cattolico) nemmeno tra i cristiani. Il rapporto fra messaggio cristiano ed etica della sessualità ha sempre conosciuto difficoltà, pare però esser divenuto apertamente conflittuale.”

Ma cos’è la morale sessuale? E’ un ramo della morale, questa si occupa del comportamento, del modo di agire degli individui, dei valori che governano le azioni nei contesti sociali.
La formazione comportamentale indirizza le persone ad acquisire modelli prestabiliti, insegnando cosa deve essere fatto ed il modo per farlo, secondo la polarizzazione valoriale giusto-sbagliato, bene – male.
Nel percorso formativo l’individuo acquisisce consapevolezza su ciò che l’organizzazione sociale  si aspetta dal suo agire ed il modo migliore per soddisfare queste aspettative, le proprie necessità e gli obiettivi del sistema.
I modelli comportamentali vengono praticati  mediante il perseguimento delle norme di comportamento.
La nostra vita sociale, il modo con cui ci relazioniamo rispetto alla nostra vita e rispetto agli altri non nasce dal nulla. Tutti noi siamo più o meno condizionati da modelli comportamentali che ereditiamo dalla famiglia allargata e dalle agenzie educative.
I modelli comportamentali se da una parte rappresentano un condizionamento, dall'altra sono importanti per il percorso di integrazione, di identificazione e di socializzazione dell'individuo.
La “moralità” comprende l’insieme delle convenzioni e valori di un determinato gruppo sociale,  di una società o di un individuo in un periodo storico. Indica agli individui il corretto agire (non compreso dagli immigrati a Colonia…).

Sinonimo di morale è “etica”: deriva dal greco “ethos” (= comportamento, consuetudine). Dal punto di vista filosofico l’etica studia i fondamenti razionali che permettono di  distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale.
L'etica può anche essere definita come la ricerca di uno o più criteri che consentano all'individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri.

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #23 il: Gennaio 14, 2016, 10:41:14 »
L’Enciclica “Humanae vitae” evidenzia il significato unitivo e procreativo della sessualità, ponendo così a fondamento della società la coppia degli sposi, uomo e donna, che si accolgono reciprocamente nella distinzione e nella complementarietà, e formano una famiglia, oggetto di riflessione  del pontefice Giovanni Paolo II nella esortazione apostolica “Familiaris consortio”, del 22 novembre 1981: nell’introduzione del testo questo papa rileva che “ La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti”.
 
In effetti la situazione, in cui versa la famiglia presenta aspetti positivi ed aspetti negativi: c’è maggiore coscienza del valore della libertà personale, maggiore attenzione alla qualità delle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla procreazione responsabile, alla educazione dei figli, ma  non mancano l’errata concezione dell'indipendenza dei coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli; le difficoltà concrete, che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori; il numero crescente dei divorzi.
La situazione in cui vive oggi la famiglia si presenta come un insieme di luci e di ombre, studiate da sociologi, psicologi della famiglia, dall’etica e dall’etica sociale.

Come già detto nel precedente post l’etica (dal greco “èthos” = comportamento, consuetudine) assegna ai comportamenti degli individui lo status deontologico che permette di distinguere le loro azioni in buone o malevoli, lecite o illecite. L'etica può anche essere definita come la ricerca di uno o più criteri che consentano all'individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri nei diversi sistemi di scambio sociale, studiati dall’etica sociale, disciplina di confine, perché le sue competenze spaziano dalla filosofia, in particolare della filosofia morale, a quella del diritto, precipuamente del diritto naturale e del diritto  positivo, che si intrecciano con le più ampie tematiche dell’etica tout court.
Come la denominazione lascia presupporre, l’etica sociale comprende l’ampia area della morale, che tende a fissare i principi necessari alla costruzione di un’ordinata convivenza civile, per cui la religione, il diritto, la filosofia, la politica, le scienze, la tecnologia diventano oggetto della sua indagine, nella misura in cui ciascuna di queste aree del sapere e della vita umana incide sulle persone nel dettarne i  pubblici comportamenti nella società.

L’etica sociale nacque come disciplina autonoma dalla morale religiosa nel corso dell’età moderna, quando la filosofia razionalista (Hobbes e Spinoza ed altri) sancisce il divario dalla teologia medievale. Nei secoli precedenti, infatti, si riteneva Dio il fondamento esclusivo della morale umana e la riflessione etica non poteva germogliare, doveva comunque misurarsi con la difesa dei dogmi  da parte della Chiesa, che ancora si ostina a difenderli nonostante le trasformazioni culturali avvenute nell’ultimo cinquantennio, ampiamente diffuse,  e riguardano ormai le convinzioni e l’agire di molte persone, specie nella relazione di coppia.

Tornando alla lettera “Humanae vitae”  voglio evidenziare che fu pubblicata il 25 luglio 1968 sull’onda  delle grandi trasformazioni culturali  che stavano avvenendo in Occidente, specie riguardo la sessualità nella coppia.

Nella lettera enciclica “Deus caritas est”, del 25 dicembre 2005, Benedetto XVI sottolinea  che l’incontro sessuale tra maschio e femmina, non è solo “eros”, è anche “agape”, fin dall’origine, anche se i due amanti non ne sono pienamente consapevoli o con una coscienza oscurata da forme culturali egemoni. Questo perché l’amore, che si esprime anche nella sessualità, necessita di una relazione profonda, non si può programmare e  non è strumentalizzabile.

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #24 il: Gennaio 15, 2016, 09:03:28 »
Nella prima parte della lettera enciclica “Deus Caritas est”, del pontefice Benedetto XVI, pubblicata il 25 dicembre 2005, il papa rileva che “Il termine ‘amore’ è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti”. […] “Ricordiamo in primo luogo il vasto campo semantico della parola « amore »: si parla di amor di patria, di amore per la professione, di amore tra amici, di amore per il lavoro, di amore tra genitori e figli, tra fratelli e familiari, dell'amore per il prossimo e dell'amore per Dio. In tutta questa molteplicità di significati, però, l'amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all'essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono. Sorge allora la domanda: tutte queste forme di amore alla fine si unificano e l'amore, pur in tutta la diversità delle sue manifestazioni, in ultima istanza è uno solo, o invece utilizziamo una medesima parola per indicare realtà totalmente diverse?
All'amore tra uomo e donna, che non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo s'impone all'essere umano, l'antica Grecia ha dato il nome di eros. Diciamo già in anticipo che l'Antico Testamento greco usa solo due volte la parola eros, mentre il Nuovo Testamento non la usa mai: delle tre parole greche relative all'amore — eros, philia (amore di amicizia) e agape — gli scritti neotestamentari privilegiano l'ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini”.[…]

La messa in disparte della parola eros, insieme alla nuova visione dell'amore che si esprime attraverso la parola agape, denota indubbiamente nella novità del cristianesimo qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell'amore. Nella critica al cristianesimo che si è sviluppata con crescente radicalità a partire dall'illuminismo, questa novità è stata valutata in modo assolutamente negativo. Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno all'eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio”. [vedi di Nietzsche il saggio filosofico “Al di là del bene e del male: preludio di una filosofia dell’avvenire”, pubblicato nel 1886 col titolo”Jenseits von gut und böse”. Nella parte terza di questo saggio il filosofo tedesco chiarisce il suo rifiuto contro la Chiesa cattolica e la religione in generale: la fede in un qualche dio è niente più che una rappresentazione degli innegabili bisogni interiori di ogni uomo. La religione in definitiva non è altro che un mezzo per soddisfare la propria brama di dominio sugli altri.(aforismi 45 – 62)] E si  chiede: “la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?”.

Ratzinger, di rimando: “Ma è veramente così? Il cristianesimo ha davvero distrutto l'eros?” […] “l'amore promette infinità, eternità — una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall'istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell'eros, non è il suo avvelenamento…”.

Benedetto XVI evidenzia che l’individuo “…è composto di corpo e di anima. L'uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell'eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l'uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d'altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza.
…Ma non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l'uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l'uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l'amore — l'eros — può maturare fino alla sua vera grandezza.
Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di esser stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci sono sempre state. Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L'eros degradato a puro 'sesso' diventa merce, una semplice « cosa » che si può comprare e vendere, anzi, l'uomo stesso diventa merce”. […]

L’amore è un processo continuamente in cammino: l'amore non è mai “concluso” e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso.

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #25 il: Gennaio 16, 2016, 10:12:50 »
Il Concilio Vaticano II  fece sperare ad un atteggiamento diverso da quello tradizionale della Chiesa cattolica riguardo le pratiche contraccettive, ma il pontefice Paolo VI con l’enciclica Humanae vitae tolse ogni illusione circa la permissività alle donne di controllare la gravidanza, accettandola, rifiutandola o interrompendola.

Prima Paolo VI  poi Giovanni Paolo II  ribadirono che il matrimonio era l’unico luogo in cui praticare la sessualità e che questa non poteva essere disgiunta dalla procreazione. Questa ideologia si trascina da duemila anni, dall’epoca paleocristiana. Infatti  anche nella “Didaché”, un testo didascalico del primo secolo,  ci sono, fra gli altri,  questi consigli:

Capitolo 1, punto 4: “Astieniti dai desideri della carne”.

Capitolo 2, punto 2: “Non commetterai adulterio, non corromperai fanciulli, non fornicherai”.

Capitolo 3, punto 3: “Figlio mio, non abbandonarti alla concupiscenza, perché essa conduce alla fornicazione; non fare discorsi osceni e non essere immodesto negli sguardi, perché da tutte queste cose hanno origine gli adultéri”.

Nella Didaché si scorge la morale vigente nelle antiche comunità cristiane, con le loro regole interne, le loro gerarchie, le forme di controllo della collettività sui singoli fedeli.

Nel XX secolo rileggiamo le stesse cose in alcune encicliche e nella costituzione pastorale “Gaudium et spes”, documento del Concilio Vaticano II promulgato dal papa Paolo VI il 7 dicembre 1965. In questa costituzione conciliare ci sono  anche riflessioni sul matrimonio, la sessualità e la fecondità., nella parte seconda, capitolo primo.

“Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare. […]  Però la dignità di questa istituzione non brilla dappertutto con identica chiarezza poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale è molto spesso profanato dall'egoismo, dall'edonismo e da pratiche illecite contro la fecondità”.

[…] “L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino”.

[…] “I fidanzati sono ripetutamente invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare il loro fidanzamento con un amore casto […]. I giovani siano adeguatamente istruiti, molto meglio se in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell'amore coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che, formati nella stima della castità, possano ad età conveniente passare da un onesto fidanzamento alle nozze”.
“Questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli atti che sono propri del matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi”.
“Il matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente al bene dei genitori stessi”.

[…]“Tra i coniugi che in tal modo adempiono la missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un più grande numero di figli da educare convenientemente”.
“Il Concilio sa che spesso i coniugi, che vogliono condurre armoniosamente la loro vita coniugale, sono ostacolati da alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovare circostanze nelle quali non si può aumentare, almeno per un certo tempo, il numero dei figli; non senza difficoltà allora si può conservare la pratica di un amore fedele e la piena comunità di vita. Là dove, infatti, è interrotta l'intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli: allora corrono pericolo anche l'educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri”.

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #26 il: Gennaio 19, 2016, 10:15:07 »
Il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna, nel 1992 pubblicò il libro titolato “Etica generale della sessualità”, basato su presupposti filosofici e teologici, non psicologici o sociologici.

Il cardinale Caffarra  evidenzia che il termine sessualità è ambivalente: “può significare sia la facoltà sessuale come tale sia l’attività o l’esercizio di tale facoltà. La connessione fra i due significati è, dal punto di vista etico, assai rilevante”.

La facoltà sessuale può essere virtuosa o viziosa. La virtù la integra nella soggettività spirituale, il vizio nella concupiscenza.
 
La tradizione etica cristiana ha individuato due modalità fondamentali nelle quali la persona umana può realizzare la sua sessualità: la forma della coniugalità e la forma della verginità come dono a Dio. 

La persona può offrirsi allo sguardo dell’altro, cioè può entrare in una relazione di comunione reciproca, quando è vista-voluta nella sua soggettività e non come oggettività. […] “L’evento della comunione inter-personale può accadere solo se, e solo quando, la dimensione visibile dell’incontro (la dimensione fisica) è pienamente subordinata alla dimensione invisibile (la dimensione spirituale). Se e quando l’atto di conoscenza e di amore, che istituisce nella sua essenza il rapporto inter-personale, può prendere corpo (in senso rigorosamente letterale) e, reciprocamente, se e quando l’atto del guardarsi, come simbolo dell’unificazione fisica, può essere spiritualizzato (è in-formato dallo spirito). Tutto questo processo implica una perfetta unificazione fra la soggettività spirituale e la soggettività psico-fisica”.
Per quanto riguarda la concupiscenza il cardinale Caffarra afferma che essa “è un focolaio permanente di peccato. È una causa che può sempre indurre la persona a peccare. La concupiscenza manifesta il dominio, il soddisfacimento individuale,  minaccia la comunione interpersonale, il reciproco dono dei corpi.

(Dio) “maschio e femmina li creò” (Adamo ed Eva; Genesi 1, 27) Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”  (Gn 1,28). La dimensione unitiva induce a diventare “due in una sola carne”, ponendo le condizioni per la dimensione procreativa, il concepimento di una nuova persona.

“Tuttavia  -aggiunge Caffarra-   non sono da escludere situazioni nelle quali non si devono (eticamente parlando) porre le condizioni per un possibile concepimento di una nuova persona umana: la loro decisione deve essere non-procreativa. In questa situazione, qualora vogliano avere rapporti coniugali, l’unica via eticamente percorribile è quella di astenersi dai rapporti durante il periodo fertile e avere rapporti solo nei periodi infertili”.

“Ancora, non sono da escludere situazioni nelle quali un nuovo concepimento può essere voluto responsabilmente, tuttavia l’atto sessuale non rispetterebbe la dimensione unitiva che gli è intrinseca. È il caso, per esempio, di una coppia nella quale uno dei due sposi, per ragioni giuste, non è disponibile ad avere un rapporto coniugale. In questa situazione, l’unica via eticamente percorribile è l’astinenza dal rapporto sessuale, perdurando questa situazione”.
Vista la natura della castità, le sue condizioni fondamentali, non sarà inutile fare qualche riflessione su un’altra attitudine spirituale che è certamente connessa con la castità, l’accompagna necessariamente, ma non entra nella sua costituzione. Si tratta della continenza: un’attitudine di dominio dei propri movimenti, che si esprime però in un "contenimento" dei medesimi. Concretamente, nel non esercitare la propria facoltà sessuale. Essa accompagna necessariamente la castità.

Ci sono situazioni nelle quali l’amore del bene della sessualità esige una più o meno lunga astinenza da ogni attività sessuale. In queste situazioni, non astenersi comporta un atto che è contro la virtù della castità. Tuttavia, l’astinenza non va confusa con la castità.

L'astinenza sessuale  di solito è temporanea , per  esempio per evitare malattie o gravidanze. 
 
La castità può essere assoluta o relativa  ed è  considerata una virtù morale dalla teologia cattolica. La castità comporta la rinuncia all’attività sessuale. La Chiesa cattolica  afferma : ” l’uso della funzione sessuale ha il suo vero senso e la sua attitudine morale soltanto nel matrimonio legittimo” (Dichiarazione Persona Humana. Alcune questioni di etica sessuale, Congregazione per la Dottrina della Fede, 1975, par. 5).

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #27 il: Gennaio 21, 2016, 05:50:35 »
Per la Chiesa ogni atto sessuale deve avere come fine la procreazione; ogni atto anti-procreativo (o contraccettivo) è illecito, ogni atto sessuale anti-unitivo è inammissibile.

La volontà anti-unitiva si esplica con la:

fornicazione, questo sostantivo deriva dal  verbo tardo latino “fornicare”, che trae origine da  “fornix” (= fornice, apertura sormontata da un arco).  In epoca romana alcuni bordelli erano collocati sotto i fornici, usati da donne indigenti costrette al meretricio per sopravvivere.  Dalla prostituzione in quegli ambienti scaturì il sostantivo “fornicazione” ed il verbo fornicare per indicare il rapporto sessuale  fra persone non sposate. 
 
I "fornicatori" ( in greco, pornoi)  non vanno confusi con gli adulteri ( in greco, moichoi).

Adulterio, dal latino “adulterium”, derivato adulterare (= snaturare, corrompere). L’adulterio allude alla relazione amorosa o sessuale con persona diversa dal coniuge. Indica la violazione della fedeltà coniugale, il tradimento. 

Contraccezione, questo sostantivo deriva dall’inglese “contraception”, parola composta da “contra” + (con)ception” = prevenzione del concepimento attuata volontariamente con mezzi anticoncezionali. La contraccezione viene considerata dalla Chiesa anti-procreativa ed anti-unitiva.

Masturbazione, dal latino “masturbari”, che ha forse origine da “manu turbare” (= "agitare con la mano"), con riferimento  all’autoerotismo, alla stimolazione degli organi genitali che producono il  piacere sessuale.

La Chiesa considera la pratica sessuale anti-unitiva  un solipsismo egoistico. Condanna i comportamenti che hanno come scopo o come mezzo di impedire la procreazione, i comportamenti con i quali si manifesta la lussuria”, la pornografia, la prostituzione, la contraccezione, i rapporti pre-matrimoniali, i rapporti  omosessuali. Condanna anche  la fecondazione artificiale, perché separa “la procreazione dall’atto con cui gli sposi si donano mutualmente, instaurando così un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della persona umana”.
“Qualunque ne sia il motivo, l’uso deliberato della facoltà sessuale, al di fuori dei rapporti coniugali normali, contraddice essenzialmente la sua finalità. A tale uso manca, infatti, la relazione sessuale richiesta dall’ordine morale, quella che realizza, ‘in un contesto di vero amore, l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana’. Soltanto a questa relazione regolare deve essere riservato ogni esercizio deliberato della sessualità”, separata dall’eros.

Secondo l’insegnamento tradizionale della morale cristiana l’unione sessuale può essere praticata solo  nel matrimonio, sancito e reso indissolubile dal sacramento e riconosciuto come tale dalla comunità ecclesiale (e civile). Non sono ammissibili rapporti sessuali pre-matrimoniali o comportamenti che suppongono la fusione delle esistenze che è propria solo dei coniugi. Tale pretesa è collegata anche al Vangelo di Matteo (19, 3 – 9), il quale fra l'altro narra che alcuni farisei si avvicinarono a Gesù e per metterlo alla prova gli chiesero: “E' lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo ?”.  Ed egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: ‘Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi”. (19, 3 – 6)
« Ultima modifica: Gennaio 21, 2016, 18:03:30 da dottorstranamore »

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Re:Chiesa e sessualità
« Risposta #28 il: Gennaio 22, 2016, 00:13:39 »
Con questo post concludo il topic.

La Chiesa cattolica condanna il relativismo, in particolare il relativismo morale che impedisce il giudizio morale sulle diverse attività sessuali.

Il relativismo morale è conseguenza del soggettivismo morale. Secondo il papa emerito Joseph Ratzinger  “Dall’epoca dell’Illuminismo, la fede non è più la missione comune del mondo così com’era, invece, nel Medio Evo. La scienza ha istituito una nuova percezione della realtà: si considera come oggettivamente fondato quello che può essere dimostrato come in un laboratorio.
Tutto il resto – Dio, la morale, la vita eterna – è trasferito nell’ambito del soggettivo”. Perciò nelle questioni relative alla sessualità e al libero arbitrio spesso si ripropongono le polemiche contro la Chiesa cattolica. L’incomprensione, afferma Joseph Ratzinger, è motivata dalla separazione del corpo dallo spirito, dal considerare la sessualità solo dal punto di vista biologico, escludendo la morale sessuale. “La cultura contemporanea è quella della libertà assoluta, attraverso la quale l’uomo si deve ‘realizzare’. Non esiste dunque una natura umana che definisca il bene e il male. Questa visione si oppone alla tradizione della Chiesa”.
 
I movimenti popolari del 1968 rappresentarono uno spartiacque con la rivoluzione giovanile nata all’insegna del “vietato vietare”; poi la “rivoluzione sessuale” (Marcuse, Reich) la privatizzazione del sesso, fino all’erotismo autoreferenziale, che non si lega alla riproduzione sessuale, né all’amore.
In Italia in quegli anni la morale sessuale della Chiesa fu contestata anche da molti cattolici. Poi ci fu il referendum sulla legge che ammetteva anche in Italia il divorzio (1974), alcuni anni dopo quello sulla legge che legalizzava l’aborto (1981). Entrambi i referendum dimostrarono il progressivo distacco dall’insegnamento della Chiesa.

Per quanto riguarda la confessione al sacerdote dei propri "peccati sessuali", nel “Vademecum per i confessori “ del Pontificio Consiglio per la famiglia (12.2.1997) c’è scritto: “La Chiesa ha sempre insegnato l’intrinseca malizia della contraccezione, cioè di ogni atto coniugale intenzionalmente infecondo. Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irreformabile. La contraccezione si oppone gravemente alla castità matrimoniale, è contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo del matrimonio), e alla donazione reciproca dei coniugi (aspetto unitivo del matrimonio), ferisce il vero amore e nega il ruolo sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana” (n. 2.4).
La Chiesa cattolica considera “peccato mortale”,  sia pur con gravità diversificata, tutti gli atti sessuali privi della dimensioni unitiva (senza l'amore totale e definitivo) e procreativa (se artificialmente chiusi al dono della vita), dimensioni proprie della sessualità.

Maurizio Faggioni (ofm) nel suo libro  “Aspetti della morale sessuale nelle Confessioni sacramentali”  evidenzia che il sacerdote, in confessionale e fuori, si trova spesso a dover affrontare problematiche riguardanti il sesto e il nono comandamento, situazioni psicologicamente conturbanti e moralmente difficili.

“Il confessore deve essere capace di incontrare il fedele nella sua realtà globale e deve tenere conto, per giudicare correttamente la sua situazione, dell'età, del sesso, della maturità, delle circostanze della vita, della presenza di problematiche psichiche più o meno gravi così da poter e distinguere il piano oggettivo della trasgressione dal piano soggettivo della responsabilità morale. Nel campo della sessualità i fattori e i condizionamenti psichici, intrecciati spesso con quelli culturali e sociali, sono molto rilevanti.

Occorre un’adeguata maturità umana, perché un confessore nevrotizzato o frustrato o schiavo di tabù e paure con molta facilità le riverserà sui fedeli. Un confessore umanamente maturo sa entrare con prudenza e delicatezza nell’ambito del sesto e nono comandamento. Egli saprà evitare inopportuna curiosità e invadenze che, in questo campo, possono turbare il penitente: Egli non si mostrerà mai stupito o turbato o scandalizzato di quanto il fedele racconta di sé”

[…] Occorre, inoltre, un saggio equilibrio pastorale che eviti i due estremi opposti: il lassismo, che rende il vangelo insignificante, un sale senza sapore, e il rigorismo, che rende il vangelo invivibile, come un giogo opprimente. Il confessore deve saper distinguere accuratamente le singole situazioni perché anche là dove c’è  la violazione della stessa norma oggettiva i contesti vitali, l’impegno e la percezione della colpa possono essere molto diverse”.







« Ultima modifica: Gennaio 22, 2016, 07:16:10 da dottorstranamore »