“Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta” (5, 4): questo erotico verso è nel “Cantico dei Cantici”, uno dei libri della Bibbia, attribuito al re di Israele Salomone, vissuto nel IX sec. a.C., noto per la sua saggezza e per i suoi amori. In realtà questo “Cantico” fu elaborato da uno scrittore anonimo nel IV sec. a.C. che fece confluire nel testo diversi poemi precedenti originari dell’area mesopotamica. Racconta in versi l'amore tra due innamorati, con tenerezza, sfumature sensuali ed erotiche, che non pregiudicano il carattere sacro del Cantico, in quanto l’amore dei due amanti, per l’autore del testo, ha origine divina. Il testo è composto da 8 capitoli contenenti poemi d'amore in forma dialogica tra un uomo (Salomone) e una donna (Sulammita).
Il secondo verso del prologo comincia con l’amata che chiede baci “…Mi baci con i baci della sua bocca!” o anche: “Mi bacerà con i baci della sua bocca./ Sì, migliore del vino è il tuo amore./ Inebrianti sono i tuoi profumi per la fragranza,/ aroma che si spande è il tuo nome:/ per questo le ragazze di te si innamorano”. (1, 2 – 3) Queste parole che dominano l’inizio del primo capitolo esprimono desiderio, passione che aleggiano nei successivi versi.
C’è da dire che re Salomone, secondo la leggenda, “aveva 700 principesse per mogli e 300 concubine”. Era un sovrano “macho”.
Anche Davide, padre di Salomone, non era da meno. Prima fu un giovane pastorello, poi divenne monarca, donnaiolo sempre. Infatti la biografia davidica è un catalogo di seduzioni, adultéri, abbandoni e delitti più o meno d’onore. Davide non arretrava davanti a nulla pur di ottenere ciò che voleva. E se c’erano mariti di mezzo, come nel caso di Micol e di Betsabea, due sue “prede”, tanto peggio per i loro mariti, li fece uccidere.
Con fervente immaginazione il Cantico dei Cantici è considerato dalla cristianità allegoria dell’amore di Dio per la sua Chiesa, invece molti commentatori vi notano la parità della donna con l’amato: le viene riconosciuto lo stesso diritto di esprimere il proprio desiderio e la propria voglia di amore.
Diversamente dal “Cantico”, nel biblico Qoelet o Ecclesiaste, elaborato da un ignoto autore vissuto nel IV o III secolo a.C., si leggono frasi misogine come questa: “Più odiosa della morte è la donna, la quale è un laccio, una rete il suo cuor, catene le sue braccia, chi è grato a Dio ne può scampare, ma il peccatore ci resta preso [...] un uomo solo tra mille ho trovato, ma una donna fra tante non l'ho trovata". (7, 27)
La sessuofobia giudaica si diramò anche nel cristianesimo, che affonda le proprie radici nella misoginia patriarcale delle società pastorali giudaiche ed aramaiche. Infatti nel Nuovo Testamento ci sono insegnamenti e precetti sessuofobici ripresi di quelli dell’Antico. Nel Vangelo di Matteo (V, 27-28) Gesù dice: “Voi sapete che fu detto dagli antichi: ‘Non commetterai adulterio’. Ma io vi dico: Chiunque guarderà una donna con desiderio commetterà nel suo cuore adulterio con lei”. La condanna della sessualità, limitata dagli Ebrei ai “comportamenti adulterini”, venne estesa da Gesù al desiderio sessuale verso la donna.
Per comprendere la sessualità nella tradizione cristiana è pure interessante la figura di Maria, la madre di Gesù, nella sua identità complessa di vergine-madre.
Molti critici del cristianesimo considerano il dogma mariano della verginità la prova della sessuofobia che avrebbe caratterizzato fin dalle origini la tradizione della Chiesa. Ma non è così. La verginità di Maria è teologica, non collegata a condizionamenti morali del comportamento sessuale. Ella è la madre di Gesù, l’uomo-Dio, come tale funzionale al dogma della natura divina e umana di suo Figlio: per volere dello Spirito Santo fu generato da una donna, come tutti gli esseri umani, ma da una donna straordinaria, che nonostante il parto rimase vergine prima del parto (ante partum), durante il parto (in partu) e dopo il parto (post partum). Tale “miracolo” evoca precedenti miti incentrati sulla nascita straordinaria di alcuni dei, semidei od eroi, come nel celebre mito ellenistico di Danae, la vergine fecondata da una pioggia d’oro che dà vita al semidio Perseo. Comunque non c’è dubbio che questo dogma sia all’origine della svalorizzazione dell’atto sessuale.
Alla fine del medioevo il culto mariano impose la valorizzazione di Giuseppe, fino ad allora trascurato sposo di Maria. Quest’uomo “viene proposto come padre di famiglia devoto, e in quanto tale –dice Lucetta Scaraffìa- inizia ad essere indicato alla devozione dei fedeli come santo. Anche le raffigurazioni del matrimonio fra lui e Maria -che prevedono sempre la presenza di un sacerdote e lo scambio di anelli- rivelano il tentativo di rafforzare l’istituzione matrimoniale, se pure a prezzo di qualche ambiguità. Infatti, offrire il modello della sacra coppia implica la messa in discussione di un aspetto del matrimonio cristiano ritenuto fondamentale per la sua validità da molti teologi e canonisti, cioè la consumazione del rapporto sessuale. Giuseppe e Maria vengono presentati come coppia modello anche se vivono in castità, proponendo quindi come più importante nella definizione del matrimonio il consenso della consumazione. La coppia casta offre un modello di possibile santità anche nella vita matrimoniale, ma senza dubbio questo avviene a prezzo di una svalutazione della sessualità “.