L’iconografia della “Madonna del parto” nacque nel medioevo non dalla devozione mariana da parte delle gestanti ma a seguito delle dispute teologiche sulla natura umana e divina del Cristo che minacciavano l’unità della Chiesa. Si confrontavano due opinioni, quella capeggiata dal teologo
Nestorio,
vescovo e patriarca di Costantinopoli, e quella del suo oppositore, il teologo
Cirillo,
vescovo e patriarca di Alessandria d’Egitto. Nestorio sosteneva che Gesù aveva due nature: umana e divina, ma non unite fra di loro nel vincolo ipostatico: per lui Gesù era solo un uomo, e Dio per volontà divina; invece Cirillo considerava Gesù vero uomo e vero Dio, come affermato nel Credo di Nicea.
Connessa alla disputa su Gesù Cristo c’era quella attinente all’appellativo “Theotokos” (= Madre di Dio) relativo a Maria, la madre di Gesù. Per i nestoriani Cristo era solo “Theophoros”, termine greco che significa “portatore di Dio in sé”, perciò Maria doveva essere chiamata “Christokos”, la madre di Cristo (= messia), e non “Theotokos”, mentre i cirilliani erano convinti che Maria aveva accolto in sé e dato alla luce Dio come uomo.
Le due diverse ideologie teologiche crearono la necessità di un concilio ecumenico, che nel 431 l’imperatore Teodosio II convocò ad Efeso (località nell’odierna Turchia) con l’approvazione del papa Celestino I.
I vescovi che parteciparono a quel concilio scelsero la dottrina di Cirillo e condannarono gli insegnamenti del nestorianesimo. Stabilirono che Gesù è nel contempo uomo e Dio. L’unione in lui delle due nature avvenne nel corpo di Maria, perciò ella è la “Theotokos”, la “Madre di Dio”.
Dopo l'affermazione nel Concilio di Efeso della Divina Maternità di Maria, ci fu nell’arte sacra dell’Oriente cristiano lo sviluppo di alcune tipologie di icone mariane, una delle quali è la “Panaghia Platytera”: due parole di origine greca, “panaghia” significa “tutta santa”, invece “platytera” è l’attributo, = “più ampia”; Maria accogliendo, nel suo grembo l’incarnazione di Dio è "Platytera ton ouranon” ("Più ampia dei cieli").
La “Panaghia Platytera” raffigura Maria che volge lo sguardo verso l’osservatore, ha le braccia alzate nella posizione orante e all’altezza del petto ha un’aureola circolare oppure un clipeo entro il quale è raffigurato il bambino Gesù. Un esempio è la sottostante icona: dal greco “eikòn” = immagine.
Ma la figura di Maria nell’atteggiamento dell’orante era già attestata a Roma nel IV secolo su affreschi catacombali. Un esempio: nel “Coemeterium Maius” in una lunetta una pittura di età costantiniana rappresenta una donna velata orante, riccamente vestita e adorna di collana e orecchini, con grandi occhi e un bambino sul grembo; ai due lati il Chrismon. Alcuni ritengono che questa immagine sia la raffigurazione della defunta, mentre altri hanno voluto riconoscervi la Madonna con il Bambino. Comunque sia questo tema iconografico lo si ritrova nella Panaghia Platytera.
Una variante della bizantina Panaghia Platytera nell’arte sacra occidentale è la “Madonna del parto”, che raffigura la Vergine incinta.
L’aggettivo “incinta” deriva dal latino medievale “incincta”, parola composta dal prefisso “in”, che in questo caso ha valore privativo, + la radice “cinta”: significa non cinta, senza cintura, perché la gravidanza non consente di stringere la vita con una cinta.
“Madonna del parto”, dipinto su tavola di ignoto autore di scuola giottesca (1320 circa), Museo dell'Opera del Duomo, Prato.
La donna è rappresentata in piedi, a figura intera, con le mani sorregge sullo stomaco un libro chiuso, il quale allude al Verbo incarnato, alla presenza di Dio che si sta facendo carne nel grembo di Maria.