“… E noi che abbiamo soffrito… per monti … mari e terrapieni…”, e Mast’ Rocc’ a questo punto dovette interrompersi ché la campana piccola della chiesa incominciava a chiamare i fedeli per la funzione serale e, pur se il suono non era quello del campanone o delle sfilate a gloria delle maestose processioni, disturbava la debole voce scarsamente amplificata. dell’oratore.
E’ Mast’ Rocc’ in comizio!
Aveva frequentato la scuola dell’obbligo del tampo, la quinta classe elementare, ed alla caduta del fascismo, era stato nominato, con parere unanime, segretario della locale sezione del partito comunista.
Ora da un piccolo palco dominava in comizio una folla di miserabili in abiti confezionati con la stoffa delle tappezzerie delle “Littorine”… e già pieni di rattoppi in pezze multicolori.
Il palco era interamente coperto di drappi rossi e sulla folla svettavano al vento immense bandiere rosse grandi più di lenzuola, e fatte di stoffa che sembrava seta Tanto che Elvira, la camiciaia, nell’ammirarle pensava a quante belle camicie vi avrebbe potuto confezionare… più belle di quella di Garibaldi!… E tutti ‘sti cafoni sarebbero apparsi più credibili e più forti... da far veramente impressione.
Questo pensava Elvira!
E anche lei ci avrebbe guadagnato qualcosa, ché se qualcuno aveva tanti soldi da fornire tutta quella bella stoffa per delle bandiere, certamente ne avrebbe avuti, di soldi, anche per pagare a lei, Elvira la camiciaia, le confezioni delle camicie… e senza tirare sul prezzo.
La campana aveva smesso e mast’ Rocc’ aveva perso il filo del discorso, ma ebbe la prontezza di riprendersi immediatamente, e gridò, facendo riferimento all’ interruzione,:
“LA RELIGIONE… E’ L’OPPIO DEI POPOLI!”.
Non ci furono applausi.
Anzi molte donne si piegarono leggermente e, di nascosto, si segnarono, mentre a tutti, donne e uomini, venivano alla mente i tanti guai che aveva passato, e ancora stava passando Giuseppe Cavaliere l’ortolano per non aver battezzato la sua ultima figlia, che, E, oltretutto, all’anagrafe l’aveva registrata col nome di Stella Rossa.
Le signore che si stavano recando in chiesa, guardarono con disprezzo (ma anche con qualche timore) a quella folla di straccioni, e non poterono non far paragoni con la folla alla festa del “gagliardetto” in commemorazione, a suo tempo, della rivoluzione fascista… Tanta bella gente, allora… entusiasta e ben vestita… allora E le giovani madrine del gagliardetto con mazzi di fiori tra le braccia che leggevano i discorsi scritti per loro dalle persone più colte del paese: il medico, il farmacista, il direttore della scuola elementare.
“Che gentaglia! Il Signore non permetterà!”, questo fu l’istantaneo commento di donna Clementina.
E il Signore non permise, infatti.
Poi il fronte popolare fu sconfitto e tutto tornò alla tranquilla normalità fatta di disperata rassegnazione dei cafoni.
Mastro Rocco rientrò nei ranghi e ridivenne (questa volta fin esageratamente) rispettoso nei confronti dei signori. Con questo atteggiamento sembrava volesse cancellare la disperata parentesi della sua vita con una immensa “cassagomma”. Infatti da allora non parlò mai con nessuno della sua passata breve epopea, e trovava sempre il modo, pudico e rispettoso, di sfuggire alle domande dei più giovani, che erano sempre un po’ ironiche, a dire il vero. Le schivava, le domande, con un sorriso dolce e tristissimo... disarmante.
Era lavoratore instancabile, mast’ rocc’, e, per quanto in paese persistesse l’abitudine dei clienti a tirare sul prezzo, ora almeno, dopo la caduta del fascio, i suoi lavori venivano comunque pagati… poco, sì, ma con regolarità.
Quando mancavano commesse mastro Rocco costruiva bare! E allora doveva accontentarsi di minimi guadagni perché i prezzi dell’articolo si mantenevano giustamente bassi nel rispetto della commozione per una morte. A calmierare i prezzi, inoltre, vi contribuiva anche l’atteggiamento di mastro Giovannino Palaggio (altro falegname instancabile). Giovannino, infatti, era così taciturno sempre, tanto da non essere nemmeno capace di chiedere il giusto prezzo per la bara che aveva costruito.
Non era, Giovannino, un falegname di fino come mastro Rocco, ma le bare potevano sempre andare, anche se non avevano gli incastri a coda di rondine. E Giovannino Palaggio prendeva quello che gli davano senza venire mai meno alla sua misteriosa affascinante consegna del silenzio.
Mastro Rocco, d’altra parte, mai protestò perché aveva per Giovannino un gran rispetto, anche più grande di quello che ostentava per i signori.
La fortuna comunque infine arrivò, inaspettata: mastro Rocco fu assunto al mulino con la qualifica di operaio specializzato, assunto anche senza averne fatto domanda.
Turni di lavoro regolati… busta paga puntuale, e quando il mulino cessò la sua attività, soprattutto per colpa di beghe dei padroni, mastro Rocco era ormai in età di pensione ed aveva messo da parte risparmi sufficienti per l’acquisto di un sottano: uno dei più belli del paese!: pavimento piastrellato e tre aperture sulla facciata: la porta con “vetrina”, una finestra e il gattarulo… Ma ciò che rendeva veramente unico il suo sottano era il cesso: tazza in ceramica bianchissima e lucida… e cesso protetto da un paravento in legno.
Mastro Rocco si sentì veramente soddisfatto quando tutto fu pronto e poté “scasare” nel nuovo sottano tutto suo, questo…imbiancato da abbagliare e con tutti gli accessori in legno, e ben curati da par suo.
Gli bastava poi salire la rampa di scale acciottolate, che si trovava subito a lato dell’ingresso al sottano, ed era nella piazza principale del paese dove incontrava gli amici seduti al sole sul muretto della chiesa. E fu proprio da qui che un giorno mastro Rocco notò un gran movimento nella casa al piano nobile del suo sottano e di quello del suo vicino.
Si informò.
Gli fu detto che stavano preparando quei locali per la banca.
Avvertì immediatamente un certo disagio senza capirne il perché, ma da allora, quando sedeva sul muretto, il suo sguardo restava fisso a quella porta e spesso non riusciva a seguire i discorsi degli amici. Finché un giorno arrivò un grande camion con un gran numero di operai che con gran fatica tirarono giù dal cassone una enorme cassaforte.
Mastro Rocco avvertì come una vertigine Divenne pallido e si precipitò verso gli operai.
“Che volete fare? Fermate tutto! Questa “lampia” non tiene il peso di questa casciaforte”, gridò.
Qualcuno rise, mentre la “casciaforte” avanzava inesorabilmente.
“Vado dal Marasciallo, aspettate!”.
Ma il Maresciallo disse che il problema non era di sua competenza E quando mastro Rocco tornò in piazza la casciaforte era già al suo posto, proprio sulla perpendicolare del suo letto.
Quella notte mastro Rocco non dormì!
Di buon’ora, il mattino dopo, si recò dal sindaco, che promise il suo interessamento e inviò sul posto il geometra del Comune.
Il geometra valutò a occhio il peso della casciaforte… scese nel sottano di mastro Rocco… risalì… fece alcuni saltelli sul pavimento... sentenziò!:
“Reggerà!”, disse.
Il sindaco allora non poteva che attenersi ai risultati della “perizia”.
Mastro Rocco da quel giorno non parlò più… la rabbia si era rotta in disperazione e ancora una volta consegnò le armi ed alzò bandiera bianca.
Dormiva pochissimo, e nelle lunghe ore di veglia non riusciva a distogliere lo sguardo dal soffitto, mentre il suo cervello si teneva in gran movimento ed esigeva bilanci. Il suo cervello si inoltrava, incontrollabile, su sentieri pericolosi: apriva i cassetti del passato… spostava veli da lati oscuri della memoria.
Cominciò a sentirsi ossessionato soprattutto dal ricordo dell’assalto da lui diretto alla sede del partito liberale con incendio in piazza delle suppellettili: dieci sedie impagliate, tre tavolini di compensato, un piccolo armadio con delle carte, un quadro figurante il conte Camillo Benso di Cavour.
“Un grave, imperdonabile errore politico!”, era stato questo il giudizio sull’episodio da parte della federazione provinciale del “Partito”. E le conseguenze della sconfitta elettorale furono disoccupazione ed emigrazione, e ancora ora, moltissimi partivano con lo strazio nel cuore: Torino, Milano, Germania. Mastro Rocco si appisolava appena e vedeva in sogno ad occhi aperti i vagoni piombati, e pensava che in parte era anche colpa sua!
Una notte sognò se stesso: si vedeva in un gran cesso con una grande vasca da bagno, bianchissima lucida smaltata E la vasca grande andava riempiendosi di acqua calda sgorgante limpida ed abbondante da un rubinetto lucido di nickel.
Che bello!
Vi si sarebbe immerso e sarebbe rimasto nel tepore dell’acqua fino a macerarsi.
Ma a poco a poco la grande stanza… grande quanto il suo sottano… si saturava di vapore e confondeva le belle immagini del sogno che subirono una metamorfosi: non v’era più la vasca da bagno in ceramica bianca, c’era invece la vasca circolare era dei pesci rossi nel giardinetto di don Vincenzo, e che aveva al centro un gruppo scultoreo in calcestruzzo di due angeli abbarbicati ad un lungo zampillo.
Mastro Rocco aveva sempre guardato e ammirato quella che per lui era un’opera d’arte, tanto da desiderare di possederla, ogni volta che era passato da quelle parti.
I due angioletti!
Ma solo ora si accorgeva, non senza meraviglia, che non si trattava di due angioletti… le ali del gruppo scultoreo, infatti, erano solo due! Ed erano quelle di un cigno senza più la testa… non angioletti, ma due putti aggrappati al collo decapitato.
Era meno sacra la scultura, ma a mastro Rocco, per questo particolare, parve anche più bella, e cercava di immaginarsela integra come non l’aveva mai vista… ma il suo stato di sereno incanto fu spazzato via da un improvviso assordante e raccapricciante scricchiolio.
Ancora in sogno sollevò lo sguardo e vide il gran pietrone azzurro del cielo che precipitava sulla statua dei due putti che venivano disarcionati dal cigno. Si smarrivano in un gran polverone, i putti, mentre lui cercava la salvezza aggrappandovisi al collo del cigno che tentava di prendere il volo sbatacchiando le grandi ali.
Ma come avrebbe potuto volare senza testa e soprattutto senza cielo?
Era la fine di un mondo!
Si svegliò, mastro Rocco, madido di sudore Guardò verso il soffitto e gli sembrò di scorgere una crepa:
“S’è menata la lampia!”, gridò.
E si chiedeva perché un prezzo così alto per le sue colpe?
Quale insopportabile prezzo la distruzione di questo suo misero benessere!
E continuò a pensare sempre più intensamente, così che, per la prima volta, nei suoi occhi sbarrati comparve un lampo di follia.
Solo a tarda mattinata si diffuse la notizia:
“S’è app’cato mast’ Rocc’ ! Era asciuto pacc’ pe’ la casciaforte.”
Molti si riunirono davanti al sottano, e ancora oggi c’è chi giura di aver visto, girando gli occhi al cielo nel momento di maggior afflizione, un grande cigno disegnato da nubi lievi e trasparenti.
Azzurro e con le ali spiegate il cigno saliva in cielo con mast’ Rocc’ in groppa.