Autore Topic: Escatologia  (Letto 3263 volte)

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Escatologia
« Risposta #15 il: Ottobre 22, 2015, 00:16:28 »
“Fine vita” /3

Nel caso di malattia terminale o inguaribile (coma irreversibile), oppure invalidante, che renda incapace di comunicare ed esprimere la propria volontà (ictus cerebrale) cosa fare ? 

Perché non permettere ai cittadini, quando stanno bene con la salute di dichiarare per iscritto quale trattamento terapeutico vogliono nei casi suddetti ? 

E’ più importante ed urgente riconoscere determinati diritti alle coppie omosessuali o il cosiddetto “testamento biologico” ?

Dopo anni di discussioni i parlamentari ancora non riescono a legiferare sul “fine vita”, ma in questi giorni stanno accelerando l’iter per il riconoscimento dei diritti civili alle coppie omosessuali, proprio mentre in Vaticano c’è il sinodo sulla famiglia, intesa in senso tradizionale.

Penso che sarebbe stato meglio se il Parlamento avesse dibattuto e approvato nello stesso periodo i due disegni di legge. Purtroppo non è possibile, perché per i diritti civili alle coppie omosessuali c'è la maggioranza nei due rami del Parlamento; la stessa maggioranza non c'è per il testamento biologico e l'eutanasia, considerati anatema dalla Chiesa cattolica, il "vade retro Satana".

Il testamento biologico permette all’individuo di far sapere ai medici le  disposizioni in merito al consenso o al rifiuto dei trattamenti sanitari, alle cure mediche cui intende o non intende sottoporsi nel caso di stato vegetativo persistente provocato da una malattia. 

Si obietta sulla validità del consenso o rifiuto manifestato “ora per allora”, rispetto alle concrete circostanze da prendere in esame per la meditata decisione, e si dibatte sul vincolo assoluto o relativo delle disposizioni per il personale sanitario. L’opinione prevalente ritiene che il medico possa disattendere le direttive anticipate, indicandone esaustivamente i motivi, nel caso in cui, sulla base delle conoscenze scientifiche e terapeutiche, non risultino più corrispondenti a quanto l’interessato aveva previsto al momento della loro redazione. Per conseguenza la “dichiarazione anticipata di trattamento” (sanitario)  deve dare la possibilità di cambiare la precedente decisione. Il medico deve tenerne conto ma senza essere vincolato,  perché ogni decorso della malattia può assumere caratteristiche diverse.

Ovviamente il testamento biologico è meno generico se viene redatto da una persona già consapevole di essere in procinto di perdere la propria capacità a causa del decorso di una malattia degenerativa. Tale documento può  anche contenere la nomina di un “fiduciario” che possa agire in relazione alle concrete situazioni di fatto quale “decisore sostitutivo”, tenendo conto della volontà precedentemente espressa dall’incapace, dei suoi valori e convinzioni.

Per quanto riguarda la questione dell’incertezza che il testatore biologico, divenuto incapace, voglia effettivamente tenere ferma la volontà precedentemente manifestata, c’è il suggerimento su come agire nel documento del Comitato Nazionale per la Bioetica sulle dichiarazioni anticipate di trattamento del 18 dicembre 2003:  “é preferibile far valere le indicazioni espresse dall’interessato quando ancora era in possesso delle sue facoltà e quindi, presumibilmente, coerente con la sua concezione della vita piuttosto che disattenderle facendo appello alla possibilità di un presunto (ma mai comprovabile) mutamento della volontà nel tempo successivo alla perdita della coscienza”.

Alcuni intravvedono nelle direttive “fine vita” una implicita ammissione dell’eutanasia, invece sono due cose diverse. Ma se anche fosse una forma di eutanasia qual è il problema ? Se il malato terminale non vuole la morfina o altri oppiacei per lenire i dolori e vuole concludere la sua vita terrena entro breve tempo perché impedirglielo ? Se non crede che sia stato creato da dio, se non è un cristiano che diritto ha la Chiesa di opporsi alla sua laica volontà di voler morire ?   

Il rifiuto del paziente é  tutelato dall’art. 32 della Costituzione, il quale sancisce che nessuno può essere sottoposto a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, in accordo con il principio fondamentale (affermato dall’art. 13 della stessa carta costituzionale) della inviolabilità della libertà personale intesa anche quale libertà morale, vale a dire il diritto dell’individuo all’autodeterminazione e all’integrità della propria coscienza.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Escatologia
« Risposta #16 il: Ottobre 23, 2015, 00:18:23 »
Testamento biologico. In Italia  il testamento biologico non ha valore giuridico, nonostante la legge n. 145 del 2001 abbia autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare la Convenzione di Oviedo del 1997, la quale stabilisce che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la propria volontà, saranno tenuti in considerazione”.

La ratifica della Convenzione non è ancora stata effettuata perché non sono stati volutamente emanati i decreti legislativi previsti dalla legge per l'adattamento dell'ordinamento italiano ai principi e alle norme della Costituzione.

Il  Comitato Nazionale di Bioetica  nel documento del 2003 dà indicazioni sulla dichiarazione anticipata  di trattamento, detta anche  testamento biologico. Per essere valido deve avere la data di compilazione  in forma scritta  da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere e non sottoposti a condizionamenti psicologici. Non deve tendere all’eutanasia e deve indicare le terapie che l’individuo  vuole o non vuole  accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio consenso o dissenso alle cure proposte per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.
 
Quindi il testamento biologico è uno  “strumento” di autodeterminazione del malato ed è la logica estensione del concetto di “consenso informato alle cure”, che è accettato da tutti. Se un individuo non lo compila e non è più in grado di intendere e di volere,  la decisione sulla  sua sorte passa ai congiunti di primo grado o ai rappresentanti legali.

Comunque il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza. Il diritto che si vuol riconoscere al paziente di orientare i trattamenti a cui potrebbe essere sottoposto non è un diritto all’eutanasia, né un diritto soggettivo a morire che il paziente possa far valere nel rapporto col medico. E’ solo il diritto di chiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche  volte a prolungare artificiosamente la vita  con la somministrazione di farmaci, l'utilizzo di macchinari (es. la ventilazione polmonare), la nutrizione artificiale.

I  cristiani  considerano sacra la vita, donata da Dio. A tale loro convinzione  si oppone  l’autodeterminazione dei non credenti. La capacità di autodeterminazione  si ha quando si è in possesso delle proprie facoltà mentali e si scrive il testamento biologico “ora per allora” nel caso di  un decadimento che potrebbe annichilire la volontà, la coscienza e le relazioni interpersonali.

I cattolici credono che la difesa della vita umana non sia negoziabile. Temono che cedere sul fine vita  significherebbe aprire ad altri cedimenti,  come l’eutanasia. Il riferimento è alla vicenda di Eluana Englaro. Il padre della ragazza che visse  per anni in stato vegetativo, ottenne dal tribunale il permesso all’interruzione dei trattamenti sanitari.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Escatologia
« Risposta #17 il: Ottobre 24, 2015, 00:14:23 »
Eutanasia: deriva dal greco “euthanasìa”. La parola  è composta da  “eu” (= bene) + “thanatos” (=morte), quindi significa  “la buona morte”. 

Fu il filosofo e giurista  inglese Francis Bacon (1561 – 1626), da noi più conosciuto come Francesco Bacone, a creare il neologismo “eutanasia”. Usò questa parola nel suo saggio “Progresso della conoscenza”, col quale, fra l’altro, invita i medici a non abbandonare i malati inguaribili, e ad aiutarli a soffrire il meno possibile. Non vi era però in Bacon il concetto di “dare la morte”, ma attribuiva  alla parola soltanto il significato etimologico di "buona morte" (morte non dolorosa); lo scopo del medico doveva essere quello di far sì che la morte fosse non dolorosa.

Alla fine del XIX secolo il termine “eutanasia” cominciò ad essere usato  per indicare l’intervento medico per porre fine alle sofferenze di una persona malata.

L’attuale legge italiana proibisce ogni forma di eutanasia:
 
Eutanasia attiva diretta: quando il medico somministra al paziente farmaci letali per farlo morire.
 
Eutanasia attiva indiretta: quando l'impiego di mezzi per alleviare la sofferenza (per esempio: l'uso di morfina) causa, come effetto secondario, la diminuzione di tempi di vita.

Eutanasia passiva: se provoca la morte per omissione di cure ordinarie, per esempio sospensione dei farmaci o astensione del medico dal compiere gli interventi che potrebbero prolungare la vita.

Eutanasia volontaria: quando segue la richiesta esplicita del soggetto in grado di intendere e di volere (anche tramite “testamento biologico”) di porre fine alla sua vita per non soffrire e non ha la speranza di guarire.

Eutanasia non volontaria: nei casi in cui non sia il soggetto ad esprimere tale volontà ma un soggetto terzo designato (come nei casi di eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale).

Suicidio assistito: viene attuato dallo stesso malato che ingerisce i farmaci letali indicati dal medico, che lo consiglia sulla modalità di assunzione. In tal caso viene a mancare l'atto diretto del medico che somministra in vena i farmaci al malato.

Sull’eutanasia passiva ci sono state le dispute parlamentari per la cosiddetta  “linea di confine” tra cure ordinarie e straordinarie,  tra cure proporzionate e sproporzionate,  tra cure adeguate ed efficaci e cure inadeguate ed inefficaci. 

Altre discussioni ci sono state sull’idratazione e la nutrizione del malato terminale,  che la legge dichiara irrinunciabili fino a quando  sono efficaci per il paziente. Motivo per cui il loro rifiuto non può essere oggetto di dichiarazione anticipata da parte del soggetto, né essere deciso da alcun altro per lui.

Idratazione e nutrizione non costituiscono terapie mediche ma sostentamento vitale, senza le quali l’ammalato muore non per la malattia da cui è affetto ma per la disidratazione e denutrizione.
 
Per l’oncologo Sandro  Veronesi idratazione e alimentazione sono trattamenti di sostegno, che rifiuterebbe se perdesse le facoltà mentali.

In Italia il medico che pratica l'eutanasia è imputabile di omicidio, secondo l’articolo 579 del codice penale,  anche se agisce su richiesta del malato terminale che manifesta il suo consenso. 
 
Per il suicidio assistito, invece, verrebbe applicato l'articolo 580  del codice penale, che regola "l'istigazione o l'aiuto al suicidio".

In Europa il suicidio assistito  è permesso in Belgio, Olanda, Lussemburgo e Svizzera, dove in una clinica andò a morire l’ex parlamentare comunista Lucio Magri per non prolungare lo stato di dolore che gli causava il tumore. Invece i registi Mario Monicelli e Carlo Lizzani scelsero soluzioni cruente, per non soffrire ulteriormente preferirono suicidarsi  gettandosi dagli edifici.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Escatologia
« Risposta #18 il: Ottobre 25, 2015, 00:05:02 »
Eutanasia/2

Per l’eutanasia ci sono tre opzioni:

1. l’eutanasia non è lecita in nessun caso: la vita umana non è disponibile ed è sacra in ogni sua manifestazione;
2. l’eutanasia è lecita solo se è voluta dall’interessato;
3. ci sono casi in cui è lecita anche senza il consenso dell’interessato.

Ognuna delle tre suddette opzioni può essere difesa con valide argomentazioni. L’opzione 2 è la più condivisa dall’opinione pubblica.

Ci sono motivazioni che vengono addotte a favore della legalizzazione dell’eutanasia, che la si vuole sottratta all’illegalità in cui essa viene largamente praticata.

Forse durante l’impero romano c’era più libertà nel decidere il suicidio.

Il filosofo e politico Lucius Annaeus Seneca, noto come Seneca (4 a. C. – 65), esponente dello stoicismo, nell'epistula ad Lucilium (70, 14-19) tratta il tema del suicidio elevandolo a "via libertatis". Solo tramite il suicidio l’individuo sfugge alla dolorosa malattia senza aspettare passivamente la crudeltà di un morbo.

Nel “De brevitate vitae”  (La brevità della vita) Seneca si rivolge a Paolino per dirgli che il sapiente  si distingue dagli imperfectos, mediocres et male sanos  perché capace di non farsi angosciare dalla morte e dalle altre avversità della sorte. “Ci vuole tutta una vita per imparare a vivere, e, ciò che forse ti stupirà di più, ci vuole tutta una vita per imparare a morire” (7,3).

Seneca incentra la sua filosofia sulla meditatio mortis, secondo il modello socratico: morire bene e con consapevolezza è condizione indispensabile per raggiungere la 'sapientia'.

Negli “Annales” di Tacito è descritto il suicidio di Seneca: dopo aver ricevuto da Nerone l’intimazione a suicidarsi, si chiuse in casa con sua moglie, i suoi servi e i suoi amici più cari, e si tolse la vita tagliandosi le vene.
Seneca accetta il suo destino, dimostra quanto per lui sia naturale la morte, continuando a fare quello che aveva sempre fatto anche nel momento più estremo: dare insegnamenti ai suoi amici.

Un altro esempio di determinazione nel suicidio lo dimostra il filosofo Socrate, che dopo la condanna si radunò con  i suoi discepoli  a filosofeggiare, fino a quando arrivò il momento in cui bevve la cicuta dandosi la morte.

Il suicidio di Socrate  è narrato da Platone nel “Fedone”.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Escatologia
« Risposta #19 il: Ottobre 26, 2015, 00:08:35 »
Eutanasia/3

“La vita, per l’uomo, è un’esperienza più difficile della morte”.  In questo assioma il termine di confronto è il suo antipodo, la vita. La considerazione è di Agostino, vescovo di Ippona, nel suo commento al Vangelo di Giovanni. Vivere può essere più arduo del morire in poche ore o istanti. L’esistenza, invece, si prolunga per anni e con molte sorprese.

Il teologo e filosofo inglese John Henry Newman (1801 – 1890) ammoniva: “Non aver paura che la vita possa finire…”.  Però l’individuo, specialmente anziano, pur rimuovendo dalla coscienza il fine vita,  gli capita di domandarsi se il tempo che gli resta da vivere sia degno di essere vissuto o meno. Fa una sorta di bilancio “costi-benefici” riguardo al proprio futuro. Avanzando negli anni, tendenzialmente sempre minori sono le probabilità di ottenere ulteriori soddisfazioni e felicità, sempre maggiori quelle di avere in prevalenza sofferenze e dolori.

Comunque meditare sulla fine  della propria esistenza sulla Terra  significa collocarsi nella storia e nel tempo, facendo salire alla coscienza il proprio vissuto. Però le meditazioni di questo tipo sono per i filosofi e i religiosi. Nella maggioranza delle persone prevalgono la rimozione, la rassegnazione, o l’accoglienza della morte per lenire il dolore o vivere nella gloria di Dio. 

Chi non crede nella trascendenza della vita umana, biologicamente considerata soltanto  corpo-macchina, la morte è l’interruzione della funzionalità del corpo causata da una malattia o altro accidente. E ci sono pazienti che non sopportano il dolore  e pensano all’eutanasia per non soffrire più.

"Non è mai lecito, scrive con sorprendente attualità sant’Agostino,  uccidere un individuo: anche se lui lo volesse, anzi se lo chiedesse perché, sospeso tra la vita e la morte, supplica di essere aiutato a liberare l’anima che lotta contro i legami del corpo e desidera distaccarsene; non è lecito neppure quando il malato non fosse più in grado di vivere".

Penso che sia sbagliato voler prolungare la vita con l’accanimento terapeutico, che serve solo a prolungare un eventuale agonia. Però astenersi dall’ accanimento terapeutico  può anche significare “omissione di soccorso”, perciò è un’ omicidio, invece l’ eutanasia  è una forma di suicidio. In ogni caso scegliere l’eutanasia non è facile, anche perché non correggibile o rimediabile. Anche se la considero un diritto dell’individuo per evitare il dolore fine a se stesso, credo che chi vi ricorre discerne dopo lunghe riflessioni.

Dal punto di vista religioso il suicidio (non il rifiuto dell’accanimento terapeutico) è considerato “peccato mortale” contro la volontà di Dio che “ci ha creati”.  Il cristiano deve accettare la sofferenza che deriva dalla malattia ed offrirla in sacrificio a Dio. (?)

Prolungo un poco questo post, che è l’ultimo di questo topic, con un argomento di “alleggerimento”. Mi sovviene alla mente una similitudine, un po’ forzata,  tra l’eutanasia del corpo e l’eutanasia dell’amore che fa finire il rapporto di coppia. 
 
Si, certo, penso al romanzo di Giorgio Saviane “Eutanasia di un amore”, edito nel 1976, e da cui fu tratta la sceneggiatura per l’omonimo film del 1978. 

L’eutanasia si può praticare anche all’amore di coppia per non prolungare l’agonia con metaforiche  “cure palliative”, con le bugie, le illusioni ?

Può accadere di non credere più in una storia d'amore e rinunciarci perché uno dei partner od entrambi hanno esigenze diverse .
Lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet nel suo breve saggio titolato “Dirsi addio” evidenzia che sono in aumento le coppie che "scoppiano", ma sono numerose anche quelle che "implodono".

Quelle che esplodono sono le coppie più giovani, che si mettono assieme per amore o per convenienza, ma che non si conoscono davvero. Così di fronte alla prima crisi seria il rapporto si frantuma. Grandi litigi, lacrime, a volte la violenza fisica, battaglie tramite avvocati e tribunali.

Se invece i problemi diventano insostenibili più in là negli anni la separazione viene solitamente chiesta dall’elemento più forte della coppia, quello che “non ne può più” e decide di concludere la convivenza assumendosene tutta la responsabilità. La fine dell’amore è comunque dilaniante,  anche perché per far finire l’attaccamento ci vuole tempo, specie se si viene lasciati.