Una foto del 1896. Una riflessione storica.
Accade di guardare una foto, magari di quelle antiche, in bianco e nero, di quel bel nero di seppia, che da subito ti rimanda a quel "Mondo antico" di De Amicis. Un mondo fatto di immagini e pensieri che abbiamo imparato ad apprezzare, sin dalla nostra primissima carriera scolastica. La foto che ha galvanizzato la mia attenzione, alcune sera fa nel corso di una cena in ristorante, volutamente pieno di mobili antichi, attrezzi agricoli tutti risalenti al secolo scorso, e foto, tante foto, datate fine 800. Tra queste, una in particolare: un maestro di scuola elementare, impettito, vestito rigorosamente con vestito e gilè, baffoni e...uno sguardo severo che, nonostante il tempo passato (e le mode diverse) ancora oggi sembra che ti dica: "Se non hai fatto i compiti a casa, saran guai per te! Qui le mani, chè ho da bacchettartele, dimodoché la prossima volta ci penserai due volte, prima di decidere di non studiare!". Lui é circondato da sei dei suoi scolari, tutti ben vestiti, seri, quasi spaventati. Non si sa bene se dalla macchina fotografica o se dal loro insegnante. La foto è datata 1896, e quei bimbi, all'incirca tutti intorno ai sei anni, nel 1915, anno in cui l'Italia entrò in guerra, per partecipare al primo conflitto mondiale, avrebbero avuto ben 25 anni; quindi certamente pronti per essere arruolati, volontari o meno. Mi chiedo ora se quei bambini successivamente, furono tra gli ottocentomila soldati italiani morti sul fronte occidentale, o se furono più fortunati, entrando nella contabilità di quelli che rimasero invalidi di guerra o feriti gravemente.Tra questi ultimi, più di un milione alla fine del conflitto (nel novembre del 1918). Sta di fatto che, comunque andarono le cose, quei giovani, compresi i "Ragazzi del "99, non ebbero una vita ed una giovinezza invidiabile, visto che la maggior parte di loro, vissero anni tremendi nelle centinaia di trincee costruite, praticamente, dal Trentino Alto Adige (anche a quote impensabili oggi) al Friuli Venezia Giulia, perchè in quel periodo la guerra era immaginata e realizzata dai Generali (Cadorna, Diaz i Capi di Stato Maggiore delle FF.AA che si alternarono al comando, subito dopo la disfatta di "Caporetto") come "guerra di posizione". Il resto non occorre qui descriverlo ancora una volta...Ma quella foto, in nero di seppia, quei volti, che mi guardano dal passato, hanno riportato la mia mente a quel tempo, alla guerra che i nostri bisnonni dovettero affrontare in nome di un ideale, più o meno consapevolmente, questo è fuor di dubbio! Tuttavia, di una cosa erano certi, che i confini già più volte violati dalle scelte politiche o di convenienza dei molti, troppi, popoli che avevano prosciugato le nostre ricchezze, impoverendo le nostre terre, prosperando sul lavoro dei contadini e dei lavoratori italiani. I giovani combattenti italiani, provenienti da tutti gli angoli dello "Stivale", pur parlando almeno venti dialetti diversi e, a volte, incomprensibili tra loro, vollero unire i loro sforzi in un estremo rigurgito di orgoglio nazionale, per dire basta e per affermare l'ideale di Unità nazionale, che avesse come scopo primario il recupero dei territori "espropriati" dall'Impero Austro-ungarico. Mi si consenta ancora una nota storica: Nell'ottobre del 1917 (circa un anno prima della fine del 1° conflitto mondiale) il popolo russo, aderendo quasi all'unanimità allo slancio rivoluzionario di Lenin, da Pietroburgo diede inizio alla prima grande rivoluzione che la storia ricordi, quella Bolscevica. Da quel momento anche il futuro dell'Europa, prima, e del pianeta poi, subirà una svolta a dir poco epocale. Vent'anni più tardi, infatti, sempre sul suolo europeo le istanze dei grandi sistemi politici ed economici, inevitabilmente, si sarebbero confrontati, generando la seconda guerra mondiale, i cui esiti drammatici e apocalittici tutti ben conosciamo. Tuttavia, quella foto, datata 1896 nei suoi colori un po' sfumati dal tempo, con quei visi che mi guardano ancora severi e compiti, mi riportano con la mente a quel "Mondo antico" immaginato, ben descritto, e forse desiderato dal grande scrittore Edmondo De Amicis, i cui valori sono i medesimi che vengono insegnati oggi nelle nostre aule scolastiche. Così come ieri, come domani. In un filo ideale che ci lega, quello del sangue dei giovani che seppero sacrificare tutto e oltre, nel nome di un ideale superiore. Ma quanti dei nostri ragazzi di oggi ne ricordano gli eventi e tutto ciò che ha significato il nostro passato?