Ho sognato di soccorrere una bambina che annegava in una piscina. L'ho tirata fuori dall'acqua, come se agissi da automa, con incuria. Ma lei non c'è l'ha fatta. Un singhiozzo, un rantolo scuro. Moriva lì, davanti a me, fra le braccia della madre a cui l'avevo lasciata.
La bimba versava lacrime di cloro dagli occhi aperti. Più azzurri dell'acqua della piscina.
Intorno gente in costume che era ancora più nuda di fronte a quella disgrazia. La madre come una Madonna al calvario, grondante di sudore e immobile.
Il vocio dei quattro o cinque intorno si è placato per una decina di secondi... potevi contarli, per quanto fossero pesanti, intrisi di angoscia. Potevi contarli per la loro risonanza.
Un silenzio sopra quelle piastrelle scivolose che disegnavano una scacchiera minuta. Un silenzio sotto un sole sbiadito da qualche nuvola, ma che si concentrava su quella pietà come filtrato da una lente convessa.
Un silenzio che resta nelle tue pieghe e nei tuoi pensieri. Anche a distanza di anni.
Mi sono alzato dal letto. La stanza era fredda. Fuori pioveva di nuovo. Dovevo andare a prendere la Masini all'albergo sulla Tal, per un incontro a scuola.
Ma ho rincarato la dose.
Da sveglio ho pensato con proposito ad una scena di morte violenta.
Non mi ricordo che cosa abbia immaginato per un istante, non mi ricordo che strano effetto di scarico abbia suscitato quel pensiero cercato, voluto. Ho espulso energie scure, grovigli, confusione, come in un rituale nevrotico.
Ho cercato di salvare una parte di me per cominciare quella giornata, ma non ci sono riuscito.