La notte
Pochi vivono la notte e se lo fanno, di sicuro o soffrono d’insonnia e non gli frega niente della notte, o vanno a divertirsi e non gli frega niente della notte. Ma la notte è anche uno splendido isolamento, così almeno pareva a Lucrezia, che trascinava il suo valigione a rotelle per arrivare alla stazione. Ore tre di notte, in giro nessuno, solo silenzio, anzi, solo il rumore sassoso del suo trascinamento. Lucry, come la chiamavano le amiche, sospettava che chi sentisse quel suono, che continuava almeno per un chilometro e più senza mai dissolversi, si stesse domandando cosa mai fosse. Secondo lei era come una lunga frase trascinata in una discussione, una specie di filo di Arianna costituito da un’eco. Per lei quell’insolito andare notturno era divertente, le sembrava di procedere lungo un corridoio infinito, e le strade erano come stanze laterali. Di solito la città è di tutti, per suoni, voci, rumori, luci, semafori, ma così, ora silente e assente, le pareva essere solo sua come una vecchia zia.
Certamente avrebbe potuto prenotare un taxi, ma la sua parsimonia l’aveva bloccata mentre faceva il numero di telefono, in fin dei conti si trattava solo di un chilometro o poco più. E se avesse incontrato un malintenzionato? No, via, ma perché un tipo doveva proprio rifarsela con lei? Però ritenne prudente accelerare il passo, mentre la valigia pareva un Boing, sia per peso che per rumore.
In stazione c’era il treno già pronto, non poteva certo sbagliare binario, da momento che ce n’erano solo due, uno diretto a nord, l’altro a sud.
Vagoni vuoti e desolati, finestrini ramificati da fiori di ghiaccio, che presto si sarebbero sciolti, e l’odore di umido riscaldato si sarebbe diffuso. A Lucry tutto ciò non importava, andava a Roma a trovare il suo ragazzo. Inutile dire che non sentiva freddo, ma proprio nemmeno un pochino.
La ragazza si addormentò pressappoco a Bologna e si svegliò a Roma, dove si recò subito nell’albergo prenotato, vicino alla stazione.
Aspettò, e poi aspettò e poi riaspettò. Al cellulare Antonio non rispondeva, nessun amico comune sapeva dove fosse finito. Dopo due giorni di attesa Lucry tornò a casa, conscia che Antonio l’aveva piantata, lei ancora si ricordava la scenata di gelosia che le aveva fatta una settimana prima quando l’aveva trovata in compagnia di Roberto, che lei manco sapeva che si chiamasse Roberto. Antonio era un tipo strano, ma a lei piaceva così. Giusto: piaceva! Ora Lucry era tra il desolato, e incavolato!
Arrivata a casa, alle sue coinquiline disse che avevano litigato di brutto, si inventò cose improbabili ma di rilievo; non avrebbe mai ammesso di essere stata scaricata dopo un viaggio di sette ore, senza nemmeno una parola.
Fu solo dopo una settimana che trovò la foto di Antonio su un giornale, dove in rilievo veniva descritto il corpo, l’omicidio (evidentemente passionale), il luogo del ritrovamento, il coltello però non si trovava.
Cercavano una ragazza.
E la polizia alla fine la trovò: una certa Lucrezia Bellariva, che si ostinava a negare, ma le sue tracce nell’albergo, le telefonate, i discorsi con le amiche, insomma tutto lasciava intendere che gli indizi fossero attendibili e le indagini terminate.
L’unica cosa che non tornava agli investigatori era come mai un ragazzo alto quasi due metri e pesante cento chili, avesse potuto essere accoltellato alla gola da una piccoletta di un metro e sessanta scarso con le scarpe, e di 54 chili con gli orecchini.
“Né, marescià, ma che vor dì?! Ha mai visto come se ingrugnano le donne se je fai torto? Magari è salita su uno sgabello!”
Il maresciallo si accese una sigaretta, non rispose e guardò fuori dalla finestra, pensando: “ Boh, peccato, perché è una bella ragazza, comunque tra una balla e l'altra tra tre anni sarà fuori. ”