L’ascoltatrice
C’è chi fa la passeggiatrice, la pittrice, la direttrice e altro: lei faceva l’ascoltatrice.
La sua era una missione.
Sapeva che le persone, gli anziani in particolare, hanno bisogno di parlare ma pochi hanno chi li ascolta.
Lo aveva scoperto viaggiando in treno: negli scompartimenti, ad esimi sconosciuti, si raccontano anche le cose più personali o intime, tanto non si rivedranno più.
Aveva preso a frequentare i giardinetti ed a iniziare discorsi con le vecchiette. Antichi ricordi venivano riesumati, rigirati, sviscerati e commentati. A Eva pareva che le persone poi sorridessero, sgonfiate da antichi vissuti, ormai stesi al sole ad asciugare.
Una donna piangeva, seduta ad un tavolino del bar della stazione. Lei chiese: “Posso fare qualcosa?”
La donna la guardò sorpresa, improvvisamente conscia delle sue lacrime pubbliche e se ne vergognò, ma raccontò di quell’uomo. Eva consigliò di ammazzarlo. Non seppe mai se poi accadde davvero, ma di sicuro quella donna ora sapeva che c’era un’alternativa ed era più serena. Aveva una soluzione estrema e nascosta, ma era anche la sua valvola di sfogo.
Un’anziana ciondolava per strada, evidentemente non aveva una meta oltre la sua solitudine, l’importante era non stare chiusa in casa a pensare. Il vento e l’autunno la distraevano dal silenzio. Eva sorpassandola le disse: ” Che bel golfino, fatto a mano, eh?”
Seppe che l’aveva fatto la madre, a occhio e croce quindi il golfino doveva avere 20 anni, ma per la donna conservava il calore delle mani della madre. Le confidò che aveva avuto otto fratelli, ormai tutti morti, che lei aveva lavorato venti anni in comune, era vedova senza figli, aspettava di morire. Aveva paura. Eva le ricordò che la paura è inutile, siamo immortali sino all’ultimo giorno, ma quello è scritto su un calendario nascosto. Fino all’ultimo giorno potevamo quindi permetterci di essere sereni.
Felicina stava seduta sulla panchina degli autobus. Non doveva andare da nessuna parte, ma le piaceva guardare la gente andare e venire, e inventava storie su di loro.
Erano un libro da scrivere, lei ci provava creando personaggi in base al modo di vestire. Un divertimento gratuito, particolarmente primaverile, altrimenti avrebbe avuto troppo freddo o troppo caldo.
Eva le si sedette accanto e lasciò cadere la borsetta.
L’altra la raccolse e rendendola le sfiorò le mani.
“ Eh…noi anziane…vado al cimitero a trovare mio marito. E’ morto 10 anni fa, ma tutte le settimane lo vado a trovare”.
Felicina la guardò e smozzicò una bestemmia a fior di labbra.
“Gli uomini…tutti bastardi! Mio padre era un bell’uomo, aveva tre amanti, che venivano anche in casa come se la casa fosse la loro. Facevano e disfacevano e mia madre che era allettata, doveva subire. Un giorno, avrò avuto quindici anni, presi un bastone e le vergai bene bene e le cacciai di casa.
Mio padre allora decise di maritarmi per levarmi dalla famiglia e dai suoi divertimenti.
Dopo il ricevimento di nozze, mio marito, un contadino che conoscevo di vista, voleva consumare. Mi trascinò in camera, ma a me nessuno aveva detto nulla, mi spaventai e scappai per tornare a casa mia. Mi raggiunse in mezzo ai campi e lì mi violentò!”.
Quella volta Eva rimase ammutolita, non sapeva cosa dire, ma raccolse quelle storie, e le custodì tra quelle più amare.
“ E poi come è stata la sua vita?”
“Mi sono vendicata! Gli ho messo più corna che un cesto di lumache!”.
Eva sorrise: bene! La donna aveva reagito e fatto tornare i conti.
Presero il caffè insieme e si salutarono come vecchie amiche.
Romeo fu uno di cui raccolse confidenze antiche: avvicinare gli uomini la metteva a disagio, non voleva sembrare una in cerca di avventure, nonostante l’età.
Lo trovò in adorazione del solito cantiere. Rimarrà per sempre un mistero perché gli anziani siano attirati dall’edilizia. Questa volta anche lei era affascinata, perché una grande benna prendeva a colpi feroci un tetto, poi le mura, poi tutto ciò che aveva osato resistere alla sua violenza. In poche ore una casa di tre piani era ridotta ad un piano raso-terra.
Lo strano era l’assenza di polveroni!
Romeo alla fine fu l’unico superstite del gruppo di pensionati spettatori; Eva osò introdurre il discorso: “ Nemmeno in tempo di guerra erano così veloci a buttare giù le case!”
“Già, l’agonia era più lunga. Mi ricordo bene. Rimasi sotto le macerie tre giorni prima che venissero a tirarmi fuori. Per il mio fratellino fu troppo tardi. Gli tenevo la mano e la sentii diventare sempre più fredda, una cosa che non si può scordare. Abitavo qui, proprio qui, nella casa che c’era prima di questa che hanno demolito”.
Due lacrime ed una smorfia coronarono il ricordo.
“Quanti anni avevate?”
“Io quindici, lui quattro.”
“E poi cosa è accaduto?”
“Mio padre era in guerra, mia madre morì due settimane dopo. Andai a stare con una zia, che fu buona come me, come una vera madre. Seppi che per campare me e i suoi figli, faceva la vita. Una grande donna!”.
Eva si domandò perché le persone ricordassero solo cose tristi. Possibile che non ci fosse gioia nei loro racconti?
La cosa in realtà non era importante, quanto il fatto che sputassero il veleno della tristezza, per morire con meno zavorra possibile, insomma lasciare il dolore più grosso sulla terra, che poi sarebbe stato riciclato; nell’esistenza tutto ha un valore. Anche la felicità ha il suo, ma poiché viene ricordata con minor frequenza, viene riciclata in minor quantità e maggior parsimonia.
Fare l’ascoltatrice era la sua missione, altri sarebbero passati a raccogliere le anime più tardi: lei avrebbe voluto ascoltare anche loro, ma avevano tempi e percorsi diversi.
Eva aveva anche un altro pensiero fisso: chi ascolterà me?