Comunicazione e linguaggio non sono sinonimi.
Per comunicazione s’intende lo scambio intenzionale di messaggi tra due o più persone.
Il linguaggio indica il codice socialmente condiviso nello scambio comunicativo, per esempio la lingua italiana è il codice linguistico che sto usando per esprimere ciò che voglio dire in questo post.
Gli scambi comunicativi sono verbali e non verbali ed i messaggi contengono informazioni implicite ed esplicite.
Il ramo della linguistica che si occupa dei processi comunicativi e la natura dei segnali si chiama semiotica, dal greco “semeion” che significa segno, il quale simboleggia un contenuto, esprime l’unione di significante e significato: la significazione lega qualcosa di materialmente presente a qualcos'altro di assente: per esempio, la luce rossa del semaforo significa "stop" e debbo fermare l’auto. Ogni volta che si usa una relazione di significazione si attiva un processo di comunicazione.
Un altro interessante ramo della linguistica è la sociolinguistica che si occupa della dimensione sociale del linguaggio, delle interrelazioni fra la lingua e l’ambiente sociale in cui questa viene utilizzata, studia le diversità e le varietà della lingua, che si manifestano in rapporto alle differenze geografiche, socioculturali e socioeconomiche degli individui e in rapporto alle differenti situazioni in cui avviene la comunicazione.
Ogni lingua ha al suo interno differenziazioni collegate con fattori sociali ed extralinguistici ed è articolata in varietà.
I parametri che determinano la variazione linguistica sono: la diacronia (in rapporto al tempo), la diatopia (in rapporto allo spazio), la diastratia (in rapporto alla condizione sociale dei parlanti), la diafasia (condizionata dal contesto comunicativo), la diamesia (che dipende dal mezzo di comunicazione usato).
Variazione diacronica: dal greco “diàchronos”, parola composta da “dià” (= attraverso) + “chronos” (= tempo), significa “attraverso il tempo”. Infatti la variazione diacronica riguarda i cambiamenti in un codice linguistico con il trascorrere del tempo.
Variazione diatopica: il termine “diatopia” è formato dal prefisso “dià” (= attraverso) e il sostantivo tòpos (= "luogo"), indica la variazione linguistica nello spazio, secondo una prospettiva geografica. Sono esempi di varianti diatopiche le differenziazioni dialettali o i diversi italiani regionali, differenti dall’italiano standard, specie nella pronuncia e la morfosintassi.
Variazione diastratica: deriva da “diastratia” e indica la stratificazione sociale. Il termine è formato col prefissoide dià- (= attraverso) e la radice “strato” (dal latino stratum) ed è utilizzato come sinonimo di variazione sociale. Le persone appartenenti a una stessa comunità differiscono nel modo di parlare, la variabilità è collegata ad alcune caratteristiche dei parlanti: giovani/anziani, abitanti della città/della campagna, istruiti/non istruiti, ecc.. Il variare della lingua in relazione alla diversità e alla stratificazione socio – culturale dei parlanti viene definito variazione diastratica.
Variazione diafasica: la parola “diafasia” è composta dal solito prefisso “dià” + “phàsis” (= voce), indica la variazione dei registri comunicativi al modificarsi del contesto comunicativo. In relazione all’interlocutore e al contesto, una persona, con un buon livello di competenza linguistica, può usare registri differenti per esprimere uno stesso contenuto. Le variazioni del codice linguistico possono essere condizionate anche dall’argomento del messaggio.
Variazione diamesica: il lemma “diamesico” è formato da “dià” + l’affissoide greco “meso” (= mezzo), fa riferimento alla scelta del mezzo utilizzato per comunicare il messaggio: scritto, parlato, telefonico, radiotelevisivo, ecc.. Il linguista Gaetano Berruto ha indicato tra le varietà prevalentemente scritte l’italiano burocratico e quello letterario, mentre ha collocato tra le varietà prevalentemente orali l’italiano regionale e il parlato colloquiale. Nella comunicazione orale si utilizzano anche elementi extralinguistici quali il tono della voce e la gestualità, impossibili a chi si serve del mezzo scritto.
Ogni varietà di lingua ha una sua collocazione all'interno del repertorio linguistico della comunità, che ne regola l'impiego nelle diverse situazioni comunicative. Una prima distinzione sociale è quella fra 'lingua' e 'dialetto'. In Italia, per esempio, spesso i parlanti incolti o del cosiddetto “basso ceto” utilizzano il dialetto come varietà colloquiale e l’italiano popolare come varietà formale. Con 'italiano popolare' si designa la varietà sociale (diastratica) di lingua italiana imperfettamente acquisita da parlanti dialettofoni con basso grado di istruzione.
Per la formazione della varietà linguistica è determinante il periodo della pubertà; il gruppo dei pari influisce maggiormente rispetto alla famiglia. Per esempio a Roma i ragazzi della seconda generazione di immigrati da altre regioni evidenziano l’accoglimento dei tratti tipici della pronuncia romana dell'italiano, indipendentemente dalla regione d'origine della famiglia.
Quando ci sono modi diversi per esprimersi con il codice linguistico significa fare una scelta, spesso inconscia ed automatica, correlata a fattori sociali (extralinguistici). La commutazione di codice (code switching), il passaggio da una varietà all’altra durante la comunicazione interpersonale è motivato dal ruolo sociale dell’interlocutore, dall’argomento, il contesto, ecc..
Nell’ambito della competenza linguistico–comunicativa viene definita competenza sociolinguistica di un parlante il saper usare una lingua e i diversi registri linguistici a livello diastratico e diamesico, essere cioè capaci di selezionare la varietà di lingua più adatta alle diverse situazioni comunicative. Possedere un ampio repertorio linguistico vuol dire avere maggiori possibilità di scambio comunicativo.