Infinito: dal latino Infinitus. Questa parola è composta dal prefisso negativo “in” + “finitus”; (finitus = "limitato").
Nelle antiche religioni pagane l’infinito veniva simboleggiato con il numero otto, che denota anche l’infinito matematico: un 8 ruotato di 90°, cioè in orizzontale,
. Questo simbolo venne utilizzato per la prima volta dal matematico inglese John Wallis nel 1655 nel suo “De sectionibus conicis”: modificò il simbolo CIƆ usato a volte dagli antichi romani per indicare M ( = mille).
Nella geometria algebrica il simbolo dell’infinito è denominato
lemniscata, lemma che deriva dal vocabolo latino lemniscus, il quale nell'antica Roma indicava un nastro ornamentale per le corone.
Nella Bibbia non c’è la parola “infinito” ma si comprende lo sforzo degli autori sacri di pensarlo come negazione di un limite, in ebraico
'en-sof senza confine”. Per esempio, nel salmo 119 il versetto 96 afferma: “Di ogni cosa perfetta ho visto il limite: il tuo decreto è esteso, senza limiti”. Per analogia: l'universo è “grande e senza fine, eccelso e senza misura” (Bar 3,25).
Per evocare il tema dell’infinito nella Bibbia si fa ricorso ai simboli, congeniali alle culture antiche, perché alludono. La numerologia cristiana considera l'ottavo giorno il simbolo della trasfigurazione di Gesù, il Nuovo Testamento, l'eternità, la resurrezione di Cristo e quella dell'uomo.
Il filosofo Plotino nelle “Enneadi” (253 d.C.) include il concetto di infinito negli schemi della metafisica di carattere religioso, caricandolo di connotazioni filosofico-trascendenti che ampliarono il dibattito successivo verso esiti divergenti dalla sua forma iniziale.
Nel “De docta ignorantia” il cardinale teologo e filosofo Nicola Cusano (1401 – 1464) tentò di conciliare finito e infinito, affermando che l’individuo non può comprendere cosa sia l’assoluto.
Nel 1215 il Concilio Lateranense IV definì Dio “immensus”. Nel 1870 il Concilio Vaticano I collegò l’aggettivo “infinito” a Dio. La sua infinità si esplica tramite l’onnipresenza, l'onnipotenza e l'onniscienza. Egli non ha limiti spaziali o temporali, e “riempie il cielo e la terra” (Ger 23,24). Nella professione di fede voluta dal Concilio Vaticano I si afferma che Dio è: “Creatore e Signore del cielo e della terra, onnipotente, eterno, immenso, incomprensibile, infinito nel suo intelletto, nella sua volontà, e in ogni perfezione” .
E’ evidente il tentativo della teologia cristiana di collegare il concetto di infinito con il concetto di “tutto”, che può essere a sua volta identificato con ciò che esiste, che è percepibile, verificabile, mentre al concetto di zero si tende ad attribuire ciò che non è, ossia il Nulla. Ma cosa permette la concettualizzazione di questi due "estremi" ? Infinito e nulla non hanno senso, ma la nostra esistenza è caratterizzata da un inizio e da una fine ed è proprio la nostra finitudine che ci permette la concettualizzazione dell'infinito e del nulla. Se fossimo esseri immortali avrebbe significato il concetto di infinito o di finito ?