La dignità è un valore morale sotto la cui guida l’individuo sceglie il percorso da compiere per sviluppare il proprio io nella sua originalità.
Da sempre il conformismo, spersonalizzando e appiattendo, ha annullato, e annulla, gli individui attraverso la perdita dei tratti più personali che sono, infine, i soli a presiedere alla costruzione di superiori progetti di vita. In altri termini, il conformarsi è condizione per la perdita di dignità, sentimento fatto di autostima e considerazione delle proprie capacità nell’esercizio geloso di una propria originale identità.
E oggi, oltretutto, viviamo un’epoca di massificazione e di consumismo alienante ove prevale l’avere rispetto all’essere, con tutti i corollari di svalutazione di cultura; dignità umana; rispetto degli altri, che non sono più considerati pezzi unici di individualità, ma sono ridotti anch’essi alla stregua di oggetti da possedere.
Nella società odierna dovrebbe essere molto più pressante e importante che in altri tempi la scelta tra due categorie: quella dell’avere e quella dell’essere, a favore, naturalmente, di quest’ultima, ma tale scelta risulta oggi anche molto più faticosa e dolorosa che in altri tempi. Scegliere l’essere, cioè l’instaurazione di un rapporto vitale e autentico con il mondo è divenuto arduo, tanto che giustamente ci si chiede con la d.ssa G. E. Armici , in questa stessa sede:
“… hanno ancora un significato, in tempi come i nostri [ove] il termine dignità appare alquanto desueto, [tanto che è] difficile incontrarlo nella letteratura corrente?”.
Io, comunque, in tempi forse meno sospetti, avevo ammirato un personaggio che ora mi si dà l’occasione di ricordare nel racconto che propongo.
A. è pazzo!
“Conoscere la propria vergogna e
conservare la propria gloria,
un uomo così è un modello
sotto i cieli.”
Laozi
“Pazzo come A.!”, era divenuto un modo di dire nel paese sperduto e conformista.
Ora sono passati tanti anni, e io lo avevo dimenticato, il detto, e anche l’antico personaggio che mi aveva inquietato in un momento della mia infanzia. Me lo ha riportato, ora, alla memoria l’argomento di questa rubrica, e anche la desueta battuta, imprevista e buttata lì a sproposito da un amico d’altri tempi:
“Pazzo come A.!”.
E così A. è stato recuperato dai bassifondi di memoria… fossile sepolto:
“A. è pazzo!”
A.!
Il ricordo è pallido!
All’epoca ero ancora meno di un ragazzo, ma già, per naturale istinto, percepivo che quell’etichetta, appiccicata al giovanotto A., era un doloroso atto d’ingiustizia. Comunque ero anche cosciente di essere del tutto impotente ad oppormi per imporre una mia tesi contrastante col senso comune: un avvocato di cause perse!
E così A. fu depositato in una zona muta del mio cervello… e nella soffitta della memoria è rimasto sepolto dalla polvere fino a questo richiamo.
Non l’avevo più pensato quel giovanotto, A., che ora salta fuori e si impone come personaggio da ripensare… Il giovanotto che all’epoca per tutti era quasi meno che niente, e tuttavia anche pericoloso, con la sua fastidiosa contestazione, in quell’ambiente.
A. veniva spesso trascinato… anche solo per scherzo… in animate discussioni, tanto da essere da alcuni definito “passionale e violento” E i suoi parenti più stretti, anche, ne erano infastiditi e volentieri davano notizia di stranezze… mica lo proteggevano.
Da tutti, infine, fu definito pazzo!
Eppure io… forse io solo… io intuivo, e pensavo che forse A. fosse solo un qualcuno che aveva il coraggio di mettersi fuori dal gregge… uno che conosceva il valore del proprio io e della propria dignità.
Peraltro pensavo anche che certamente molti altri in quel paese, in quella ristretta società dominata da piccoli borghesi, soffrissero dello stesso male, ma non avevano coraggio, e si preoccupavano solo a nascondere la loro particolarità.
E A. fu, per me almeno, quantomeno un “pazzo intelligente”.
Non avrei dovuto depositarlo nel profondo oblio, ma prenderlo, già da allora, a modello… maestro!… in quei tempi e anche in questi, di tempi… ma ero meno che un ragazzo.
Comunque in qualche modo A. si era insinuato profondamente in me, lasciando, quasi a mia insaputa, una traccia nella mia coscienza.
E così è ricomparso. Puro e grande l’ho ritrovato, ed è bastata una battuta!
Le generazioni si sono susseguite, ma Lui è ancora lì.
Seduto da qualche parte senza disturbare.
È ancora A. il pazzo, che chiede si racconti la sua storia… e anch’io… anch’io ci sono ancora, e nella quiete del tempo trascorso sono ancora disposto a riabilitarlo… a fare tardivamente giustizia.
Ci sono io!
Col mio innato istinto… anche se ricordo così poco di Lui.
So che era bello e forte, e intelligente e colto, e buon studente universitario (di medicina mi sembra) E che fu vittima della sua stessa intelligenza e cultura che erano fuori posto nell’ambiente dove era obbligato a vivere: circondato da un’orda di piccoli borghesi benpensanti e ignoranti e esaltati e feroci… Lui che anelava a costruire la sua vita come un’opera d’arte… diverso!… quindi pazzo… stipato in una gabbia.
Ma nella sua breve vita indiscutibilmente si guadagnava quantomeno la dignità di personaggio letterario, e ci sarebbe tanto da scrivere in sua riabilitazione… ah, se avessi avuto età e occasioni per frequentarlo…
Morì giovane e in piena salute… di morte naturale, si disse, ma non so… forse chissà!… in un manicomio.