L’Iran filoamericano e i suoi danni
Nell’agosto del 1978 un aereo della compagnia di bandiera iraniana portò la mia famiglia e me a Tehran. Il mio papà era stato progettista di ponti, cavalcavia, passerelle pedonali e svincoli dell’Autostrada del Sole prima, della NA-BA e CE-SA dopo. Quando le grandi opere furono terminate e in mancanza di stimoli adeguati, decise di andare all’estero, sempre lavorando per il gruppo IRI. Se non ricordo male si trattava della costruzione di un’autostrada che avrebbe collegato Tehran al Golfo Persico, dando facile accesso ai numerosi pozzi petroliferi. Io non ero tanto d’accordo a trasferirmi, avevo amici e fidanzato che non volevo lasciare, ma dovetti assoggettarmi al volere dei miei data la mia minore età. Una volta sbarcata però ci misi molto poco ad innamorarmi di un paese bellissimo, fatto di gente consapevole della propria storia millenaria, i cui giovani amavano lo studio e il divertimento e nelle cui università fermentavano le idee. Il mio grande rammarico è però quello di non averlo conosciuto prima; prima che lo Shah e la classe dirigente formatasi in America, laica e di costumi occidentali, facessero danni quasi permanenti. All’Imperatore e alla sua forzata americanizzazione si opponeva la classe dei grandi proprietari terrieri che erano stati oggetto di espropri, i contadini che si erano impoveriti dopo il divieto di coltivare oppio e canapa, e i religiosi che mal sopportavano l’ateismo consumista imperante. Si importavano cibi considerati proibiti, come prosciutto e carne congelata, addirittura si produceva un vino dal nome altisonante, Chateaux Margot. Ritengo il defunto Reza Palhavi la causa dell’ondata di integralismo Islamico che ci accompagna da quasi quarant’anni, colui che ha dato il “la” all’insofferenza. Col tentativo di sradicare usi e costumi che si perdevano nella notte dei tempi, aveva provocato la prima rivoluzione diretta contro l’Occidente; da lì in poi niente sarebbe stato come prima e altri paesi ne sarebbero stati fortemente influenzati.
Gli Stati Uniti avevano per esempio deciso che l’unica droga lecita sarebbe dovuta essere l’alcol, che il giusto abbigliamento jeans e maglietta, che il chai (il té) sarebbe dovuto essere sostituito dalla Coca Cola e che il chador che ricopre parzialmente le donne, un abito da Medio Evo. Mi vengono in mente le risate che mi facevo con mio fratello Enrico, nel guardare poliziotti dotati di Harley Davidson Electra Glide, uscire in continuazione fuori strada in presenza di semafori con relative cunette, da un solo cammello erano passati di colpo a più di ottanta cavalli, un po’ troppi anche per il centauro più ardito. Ricordo che il mio amico Fariborz il quale mi procurava quel meraviglioso fumo nero fuori e verde scuro dentro, rifuggiva dalla sostanza, preferendo di gran lunga la Vodka. A lui sembrava più chic, a me più stupido, come stupido mi sembrava mangiare quello schifoso pollo fritto di Kentucky Fried Chicken, tanto amato dai giovani locali. Ho da poco scoperto per esempio che nel Parlamento Iraniano era stata abolita la Sala dei Fumatori, nella quale, dopo i lavori parlamentari, ci si riuniva in amicizia, accomunati dal piacere di oppio e hashish; al suo posto un bar ben rifornito di alcolici. L’oppio in particolare, che alleviava i dolori delle donne impiegate nella raccolta del tè e che a cinquant’anni si riducevano piegate in due dalla fatica di assistere piantine alte 50 cm, era stato sostituito da antidolorifici e barbiturici, tradendo un principio attivo che per millenni era stato alla base della medicina popolare. Insomma lo Shah stava traghettando il paese verso la “modernità”, favorendo multinazionali avulse dal contesto. Ma ai discendenti di Ciro il Grande consci della loro storia e fieri delle proprie tradizioni, tutto ciò non piaceva. Era stato relativamente facile nell’Italia del dopoguerra, stanca e malandata, imporre chewing gum e rock’ roll, apparire come i bravi liberatori e godere per sempre di una posizione strategica nel Mediterraneo; più difficile sradicare usi e costumi di un popolo fortemente attaccato alle proprie convinzioni etiche e religiose e soprattutto consapevole dell’enorme ricchezza del proprio sottosuolo sul quale si stavano dirigendo le solite compagnie Texane.
Quando alla dittatura di Reza Phalavi si sostituì, dopo la rivoluzione del ’78-79, quella religiosa e la sua Inquisizione, la borghesia ricca e potente era già scappata, lasciando un popolo ridotto alla fame e facilmente condizionabile. La conseguenza è stato un trentennio di oscurantismo paragonabile alla nostra Controriforma e a farne le spese, come al solito, le donne, le nuove streghe da mandare al rogo. Oggi il paese è in ripresa, le tensioni ammorbidite, le università sono tornate ad essere un’officina di idee e le ferree leggi islamiche hanno lasciato il posto a un quasi normale uso della religione. Il monito dell’Iran è molto chiaro: lasciateci in pace, pena una bella bomba atomica su Israele. Agli Usa resta il ricordo della più grande batosta subita dai tempi della guerra in Vietnam. E a me una goduria infinita.