Dall’ istante eterno all’attimo fuggente.Cos’è un istante ? La minima frazione di tempo o tempo sprovvisto di durata ? Non esistono singoli istanti ma un loro continuo fluire non scomponibile, vissuti nella loro durata nella coscienza di ognuno nel susseguirsi degli eventi.
Nel linguaggio quotidiano il termine tempo lo utilizziamo con diverse accezioni, per esempio lo colleghiamo alla natura o all’Io psicologico.
Nel collegamento con la Natura il tempo lo consideriamo oggettivo, come successione ordinata invariabile di istanti, concatenati e misurabili (es. con l’orologio) invece in rapporto con l’Io il tempo lo reputiamo soggettivo perché riflette lo stato di coscienza o mentale dell’individuo.
Dal tempo soggettivo scaturisce il concetto di eternità come un tempo infinito, che implica in sè, per opposizione, il concetto di non-tempo.
Il problema del tempo è presente nella riflessione filosofica di ogni epoca.
Zenone di Elea (denominata Velia in epoca romana, nel Comune di Ascea, in provincia di Salerno) vissuto dal 489 a.C al 431 a.C., per dimostrare l’impossibilità di pensare il tempo suddiviso in infiniti istanti, elaborò il paradosso della freccia ferma: una freccia scoccata dall’arco non raggiunge mai il bersaglio se ammettiamo che il tempo sia composto di istanti successivi, infatti in ogni istante la freccia è ferma in un certo punto della traiettoria, se il tempo è un susseguirsi di istanti, per la freccia si verifica un susseguirsi di stati di quiete, pertanto essa, nel tempo, è ferma.
Il filosofo greco
Aristotele nel suo IV libro della "Fisica" sostiene che il tempo sembra non esistere, perché è formato dal passato, che non esiste più, e dal futuro, che non esiste ancora. Egli identificava il tempo con il divenire.
Infatti “Me
ntre parliamo il tempo sarà già fuggito come se ci odiasse: cogli il giorno, confidando il meno possibile nel domani”, scrisse il poeta Orazio (65 a.C. – 8 a.C.). Questa locuzione è tratta dalle “Odi” (1, 11, 8; in latino: “
Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero”. Carpe diem, letteralmente significa “Cogli il giorno”, ma di solitoè erroneamente tradotta in “Cogli l'attimo”, anche se la traduzione più appropriata sarebbe “Vivi il presente” non pensando al futuro.
Il carpe diem oraziano è basato sulla considerazione che l’individuo non può conoscere il suo futuro, ma può intervenire nel presente cogliendo le occasioni, le opportunità, l’”attimo fuggente”, come giustamente mi fa notare
Presenza:
“è proprio la consapevolezza a dare il senso all'oggi, a quell'adesso fatto di tempo presente. E questo, il presente, è l'unico tempo che possiamo vivere, il resto può essere solo raccontato, l'uno perché già vissuto, l'altro perché non si conosce. E se poi l'amore ci sopravvive, è vero, tutto cambia, finisce in qualche modo, ciò che resta oltre tutto e tutti è proprio l'amore.
Dietro l’esortazione di Orazio c’è il pensiero del filosofo greco
Epicuro (342 a.C. – 270 a.C.), ma lo scrittore latino aderì solo in parte all’epicureismo.
Per Epicuro non c'è vita dopo la morte, non c'è alcun compenso o riscatto ultraterreno, a differenza di quanto nell'antichità propugnavano pitagorici e platonici, e di quanto, dopo di loro propugneranno i cristiani. La saggezza epicurea vuole pertanto che si goda pienamente dell'unica vita che abbiamo a disposizione, e per questo ogni momento di essa è importante.
Il valore in sé dell'attimo, del momento presente, è sostenuto dai seguaci di Epicuro e da altri filosofi ellenistici. Secondo questi, il piacere e quindi la felicità possono essere completi e perfetti nell'istante; un loro prolungamento non incide sull’intensità.