Autore Topic: Il Trucchista  (Letto 4496 volte)

Birik

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Re:Il Trucchista
« Risposta #15 il: Aprile 26, 2014, 16:25:16 »
Cap.VI
Pescara
Pescara è una cittadina molto vivibile. Cresciuta dopo gli anni trenta del secolo scorso, si era trasformata da borgo di pescatori a ridente città di mare. Un fiume la attraversa;  ponti, svincoli e un’architettura fascista la fanno sembrare  Americana. Non ha palazzi antichi, solo una serie di ville Liberty lungo il mare, ma da’ l’impressione di ordine e pulizia; una bella piazza e il centro chiuso al traffico stimolano la voglia di passeggiare o di andare in bicicletta.
Carla spinta da me, aveva trovato un bell’appartamentino in centro, una palazzina degli anni ’50, di quelle col giardinetto condominiale, lungo il tracciato della vecchia ferrovia che era diventato pista ciclabile e che la univa a Francavilla a sud e a ……… a nord.
La casa era immediatamente dietro il lungo mare e d’estate non si sentivano i rumori provenienti dai molti locali sulla spiaggia. Mi feci mandare  la pianta e spedii subito  mobili e operai.
In meno di una settimana avevamo un nido. Fu un periodo bellissimo, non ostante i miei problemi, quando salivo da lei mi rilassavo e conducevamo insieme una vita da giovani sposi.
 Passeggiate sul lungo mare mano nella mano o a guardare le vetrine del centro, giretti in bicicletta, locali alla moda. Oltre agli impegni di lavoro che cementavano la nostra intesa. Provavo un’irresistibile attrazione fisica per questa donna, sembravo un giovanotto. Ero felice ma con forti sensi di colpa nei confronti di Imma, la quale iniziava a sospettare che dietro la mia euforia ci fosse qualcosa di pericoloso, che potesse minare le sue certezze. Mi dicevo che mio padre aveva fatto lo stesso e mio nonno pure. Dalle nostre parti senza un’amante l’uomo non è uomo, le donne sopportano, la famiglia non si mette in discussione. Il fatto è che Carla non era una qualsiasi, era la mia donna, e questo mi faceva sentire un traditore.
Partivo per Pescara carico di desiderio, la raggiungevo al negozio e, non ostante i miei quarantotto anni, quando la abbracciavo avevo un’erezione da ragazzino e la fretta di penetrarla li’ sul posto. Allora chiudevo la porta del piccolo ufficio privato la mettevo a bocconi sulla scrivania e consumavo un rapporto con l’impeto di un giovanotto. Lei tentava di sottrarsi un po’ vergognosa ma che male c’è , dicevo io, fra due che si amano?  Ma non le usavo più quei riguardi di solo un anno prima, ero nervoso, a volte rabbioso, non ero più in grado di dominare il mio carattere ansioso. Carla sopportava, io stavo molto attento a non dirle niente di quello che stavo passando a casa né che la mia attività di Capua aveva urgente bisogno di liquidi.  Decisi di usare una tattica malandrina: l’avrei esasperata con la mia scostanza, cosicchè quando le sarebbe giunta la proposta che mi frullava per la testa, avrebbe ceduto,e lo avrebbe fatto per amore.
Bisognava accelerare i tempi.


 

nihil

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Re:Il Trucchista
« Risposta #16 il: Aprile 27, 2014, 08:11:28 »
questo romanzo  assume sempre di più un aspetto realista; lui come tanti uomini che si credono dei e passano sopra tutto poichè tutto pare lecito. >:(

Birik

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Re:Il Trucchista
« Risposta #17 il: Aprile 27, 2014, 12:50:12 »
Cap.VII
Vittoria
Quando conobbi Vittoria lei aveva ventitre anni e io quasi trentacinque. Era la classica bona, un sedere rotondo e sodo e un bel viso incorniciato da una cascata di riccioli biondi. Una ragazza determinata che lavorava in un negozio di oggettistica. Una scorza dura difficile da scalfire, non per me naturalmente che ci misi molto poco a sbucciarla del tutto. Era quello un periodo tranquillo: l’attività procedeva bene, Imma era occupata con i bimbi piccoli, facevamo belle vacanze  con amici e io inzuppavo il biscottino a destra e a manca. Quando però  la incontrai e iniziammo la nostra relazione, dovetti darmi una regolata, era gelosa marcia.
Furono tre bellissimi anni, pieni di viaggi e distrazioni; amici e colleghi mi invidiavano la sua bellezza. Di contro però era permalosa, prepotente e sempre sulle difensive. Un giorno, eravamo a pranzo in un ristorante sul mare dalle parti di Pozzuoli. Non ostante lo splendido panorama, i miei occhi erano impegnati in un dialogo muto con una signora che mangiava una frittura di pesce di fronte a me. Era chiaro dal modo in cui metteva i gamberetti in bocca, che mi stava lanciando messaggi erotici. Vittoria, che aveva sandali col tacco a spillo mi allungò un pestone sul piede che ancora ricordo, interrompendo così la fresca tresca.  Ma anche per questo l’amavo:  per la seconda volta amavo!
Tutto bene fino a quando non rimase incinta. Il successivo aborto creò un lieve distacco fra di noi e contemporaneamente Imma aveva scoperto il tradimento. Mi trovavo in mezzo a due fuochi, due donne forti, possessive, che mi stavano mandando al manicomio. Scenate in casa e pretese fuori casa. Ero snervato e dovevo mollare il colpo. I bambini erano infastiditi dalle litigate di noi genitori e rischiavo che la famiglia di Imma si intromettesse nella faccenda.  Ricordo ancora il pomeriggio che decisi di parlarle. Eravamo seduti in macchina e alle mie parole Vittoria era scoppiata in un pianto irrefrenabile. Anche io soffrivo, ma io sarei tornato agli affetti famigliari, e avrei ripristinato lo status quo a casa, lei sarebbe rimasta sola. Ad ogni modo non avevo scelta. Ci lasciammo comunque in buoni rapporti e tutt’ora ci facciamo gli auguri a Natale.
Era venuto il momento di sedurla di nuovo, mi serviva a Pescara, era la persona giusta, conosceva le aziende, era competente in materia e  precisa nel lavoro. La contattai subito, le feci la proposta che comprendeva anche vitto e alloggio, e un discreto stipendio. Lei in quel momento era libera ma pretendeva una casetta con giardino che aveva un cane di grossa taglia. L’impegno sarebbe durato sei mesi ma io non avevo intenzione di pagarle un affitto. Avrebbe convissuto con Carla e il figlio che si era nel frattempo iscritto all’università, in casa c’erano tre camere da letto, e io sarei salito dalle mie donne per tre giorni a settimana.
A Carla non dissi che si trattava di lei, ma semplicemente di un’amica, e le parlai di un cagnolino da compagnia. Avevo già faticato molto a farle accettare l’idea di chiudere entro breve, con la promessa che almeno non sarebbe stata più amministratrice, temevo che non avrebbe mai accettato una mia ex. Ma lei non era gelosa, sapeva bene che io le ero fedele, non mi concedevo più neanche alla mia signora (magari ogni tanto, ma solo per dovere….). Qualche mese fa in macchina le avevo mostrato un’agendina piena di indirizzi, tutte le mie conquiste che, a turno, ripassavo. Con un gesto solenne lo avevo allora lanciato fuori dal finestrino.
 Mi aveva cambiato, mi stava dando prova di essere la donna che avrei dovuto sposare, troppo tardi, ero legato mani e piedi. Le famiglie non avrebbero permesso la separazione, ci sarebbero state ripercussioni economiche, mio padre stesso non mi avrebbe mai perdonato.
Insomma arrivò la fatidica domenica che  accompagnai Vittoria ad Avellino da Carla, sarebbero partite per Pescara la sera stessa. Quando vide il cane sbiancò, non aveva mai voluto animali in casa, tantomeno un setter nero grande e peloso. Comunque non proferì parola. Ce l’avevo fatta, i tasselli si stavano ricomponendo. Ero un genio.   
Le avrei raggiunte fra qualche giorno, davo loro il tempo di fare conoscenza. Calcolai i tempi di percorrenza Avellino Pescara e dopo tre ore e mezzo circa mandai un sms a Vittoria nel quale la caricavo di autostima con i complimenti che più le piacevano; subito dopo chiamai Carla, dalla quale subii il primo di una lunga serie di cazziatoni. Era tesa, la faccenda non le piaceva affatto. Le avevo piazzato in casa Vittoria in modo subdolo, mi rimproverava la menzogna: non a lei così tollerante!   Si era dedicata con impegno al lavoro e dopo poco più di un anno il negozio avrebbe potuto funzionare, aveva imparato a progettare le cucine al pc, studiato le schede tecniche degli elettrodomestici, le sembrava avventato chiudere un commercio con buone prospettive per rimpinguarne un’altro che invece soffriva.
Forse se i due operai che collaboravano con noi non fossero stati assunti ma avessero fatturato la prestazione d’opera, se non ci avessimo caricato su qualsiasi spesa, anche le sole insegne che avevano inciso per novemila euro, se…se… l’attività avrebbe presto dato i suoi frutti. Avevamo il vantaggio di un’attività che aveva sedici anni di vita, dunque conosciuta, e in più offrivamo un servizio unico cioè quello di riadattare i vecchi mobili della propria cucina in una nuova casa a cifre modiche.
 Ma io avevo ben altro per la testa e questi calcoli  non mi interessavano.




 

nihil

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Re:Il Trucchista
« Risposta #18 il: Aprile 27, 2014, 12:58:22 »
3 ore Avellino Pescara? Ah, però. Questa parte mi pare un poco troppo veloce. Questo uomo ha troppi progetti che prendono strade sempre femminili. Furbetto..scommettiamo che ci lascia le penne?

Birik

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Re:Il Trucchista
« Risposta #19 il: Aprile 27, 2014, 13:11:28 »
Troppo veloce? Aggiungerò qualche particolare in più. Eh si un uomo ossessionato dalle donne.

presenza

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Re:Il Trucchista
« Risposta #20 il: Aprile 27, 2014, 19:04:45 »
... direi un uomo ossessionato da paure inconsce e donne in sintonia con le sue paure. E' vero il credo secondo il quale noi attiriamo sempre le nostre debolezze quando in fondo in fondo non ci riteniamo capaci d'altro.

Birik

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Re:Il Trucchista
« Risposta #21 il: Aprile 27, 2014, 23:49:16 »
Sono d'accordo con te, a volte si tratta di momenti della vita in cui ci si aggrappa a quella che sembra l'unica via di fuga. Lei usciva da un matrimonio che l'aveva sfinita. Lui invece imprigionato senza via di uscita. Sorvolando sul superego.

Birik

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Re:Il Trucchista
« Risposta #22 il: Aprile 30, 2014, 11:22:57 »
Pescara è una cittadina molto vivibile. Cresciuta dopo gli anni trenta del secolo scorso, si era trasformata da borgo di pescatori a ridente città di mare. Un fiume la attraversa;  ponti, svincoli e un’architettura fascista la fanno sembrare  Americana. Non ha palazzi antichi, solo una serie di ville Liberty lungo il mare, ma da’ l’impressione di ordine e pulizia; una bella piazza e il centro chiuso al traffico stimolano la voglia di passeggiare o di andare in bicicletta.
Carla spinta da me, aveva trovato un bell’appartamentino in centro, una palazzina degli anni ’50, di quelle col giardinetto condominiale, lungo il tracciato della vecchia ferrovia che era diventato pista ciclabile e che la univa a Francavilla a sud e a ……… a nord.
La casa era immediatamente dietro il lungo mare e d’estate non si sentivano i rumori provenienti dai molti locali sulla spiaggia. Mi feci mandare  la pianta e spedii subito  mobili e operai.
In meno di una settimana avevamo un nido. Fu un periodo bellissimo, non ostante i miei problemi, quando salivo da lei mi rilassavo e conducevamo insieme una vita da giovani sposi.
 Passeggiate sul lungo mare mano nella mano o a guardare le vetrine del centro, giretti in bicicletta, locali alla moda. Oltre agli impegni di lavoro che cementavano la nostra intesa. Provavo un’irresistibile attrazione fisica per questa donna, sembravo un giovanotto. Ero felice ma con forti sensi di colpa nei confronti di Imma, la quale iniziava a sospettare che dietro la mia euforia ci fosse qualcosa di pericoloso, che potesse minare le sue certezze. Mi dicevo che mio padre aveva fatto lo stesso e mio nonno pure. Dalle nostre parti senza un’amante l’uomo non è uomo, le donne sopportano, la famiglia non si mette in discussione. Il fatto è che Carla non era una qualsiasi, era la mia donna, e questo mi faceva sentire un traditore.
Partivo per Pescara carico di desiderio, la raggiungevo al negozio e, non ostante i miei quarantotto anni, quando la abbracciavo avevo un’erezione da ragazzino e la fretta di penetrarla li’ sul posto. Allora chiudevo la porta del piccolo ufficio privato la mettevo a bocconi sulla scrivania e consumavo un rapporto con l’impeto di un giovanotto. Lei tentava di sottrarsi un po’ vergognosa ma che male c’è , dicevo io, fra due che si amano?  Ma non le usavo più quei riguardi di solo un anno prima, ero nervoso, a volte rabbioso, non ero più in grado di dominare il mio carattere ansioso. Carla sopportava, io stavo molto attento a non dirle niente di quello che stavo passando a casa né che la mia attività di Capua aveva urgente bisogno di liquidi.  Decisi di usare una tattica malandrina: l’avrei esasperata con la mia scostanza, cosicchè quando le sarebbe giunta la proposta che mi frullava per la testa, avrebbe ceduto,e lo avrebbe fatto per amore.
Bisognava accelerare i tempi.


 
Cap.VII
Vittoria
Quando conobbi Vittoria lei aveva ventitre anni e io quasi trentacinque. Era la classica bona, un sedere rotondo e sodo e un bel viso incorniciato da una cascata di riccioli biondi. Una ragazza determinata che lavorava in un negozio di oggettistica. Una scorza dura difficile da scalfire, non per me naturalmente che ci misi molto poco a sbucciarla del tutto. Era quello un periodo tranquillo: l’attività procedeva bene, Imma era occupata con i bimbi piccoli, facevamo belle vacanze  con amici e io inzuppavo il biscottino a destra e a manca. Quando però  la incontrai e iniziammo la nostra relazione, dovetti darmi una regolata, era gelosa marcia.
Furono tre bellissimi anni, pieni di viaggi e distrazioni; amici e colleghi mi invidiavano la sua bellezza. Di contro però era permalosa, prepotente e sempre sulle difensive. Un giorno, eravamo a pranzo in un ristorante sul mare dalle parti di Pozzuoli. Non ostante lo splendido panorama, i miei occhi erano impegnati in un dialogo muto con una signora che mangiava una frittura di pesce di fronte a me. Era chiaro dal modo in cui metteva i gamberetti in bocca, che mi stava lanciando messaggi erotici. Vittoria, che aveva sandali col tacco a spillo mi allungò un pestone sul piede che ancora ricordo, interrompendo così la fresca tresca.  Ma anche per questo l’amavo:  per la seconda volta amavo!
Tutto bene fino a quando non rimase incinta. Il successivo aborto creò un lieve distacco fra di noi e contemporaneamente Imma aveva scoperto il tradimento. Mi trovavo in mezzo a due fuochi, due donne forti, possessive, che mi stavano mandando al manicomio. Scenate in casa e pretese fuori casa. Ero snervato e dovevo mollare il colpo. I bambini erano infastiditi dalle litigate di noi genitori e rischiavo che la famiglia di Imma si intromettesse nella faccenda.  Ricordo ancora il pomeriggio che decisi di parlarle. Eravamo seduti in macchina e alle mie parole Vittoria era scoppiata in un pianto irrefrenabile. Anche io soffrivo, ma io sarei tornato agli affetti famigliari, e avrei ripristinato lo status quo a casa, lei sarebbe rimasta sola. Ad ogni modo non avevo scelta. Ci lasciammo comunque in buoni rapporti e tutt’ora ci facciamo gli auguri a Natale.
Era venuto il momento di sedurla di nuovo, mi serviva a Pescara, era la persona giusta, conosceva le aziende, era competente in materia e  precisa nel lavoro. La contattai subito, le feci la proposta che comprendeva anche vitto e alloggio, e un discreto stipendio. Lei in quel momento era libera ma pretendeva una casetta con giardino che aveva un cane di grossa taglia. L’impegno sarebbe durato sei mesi ma io non avevo intenzione di pagarle un affitto. Avrebbe convissuto con Carla e il figlio che si era nel frattempo iscritto all’università, in casa c’erano tre camere da letto, e io sarei salito dalle mie donne per tre giorni a settimana.
A Carla non dissi che si trattava di lei, ma semplicemente di un’amica, e le parlai di un cagnolino da compagnia. Avevo già faticato molto a farle accettare l’idea di chiudere entro breve, con la promessa che almeno non sarebbe stata più amministratrice, temevo che non avrebbe mai accettato una mia ex. Ma lei non era gelosa, sapeva bene che io le ero fedele, non mi concedevo più neanche alla mia signora (magari ogni tanto, ma solo per dovere….). Qualche mese fa in macchina le avevo mostrato un’agendina piena di indirizzi, tutte le mie conquiste che, a turno, ripassavo. Con un gesto solenne lo avevo allora lanciato fuori dal finestrino.
 Mi aveva cambiato, mi stava dando prova di essere la donna che avrei dovuto sposare, troppo tardi, ero legato mani e piedi. Le famiglie non avrebbero permesso la separazione, ci sarebbero state ripercussioni economiche, mio padre stesso non mi avrebbe mai perdonato.
Insomma arrivò la fatidica domenica che  accompagnai Vittoria ad Avellino da Carla, sarebbero partite per Pescara la sera stessa. Quando vide il cane sbiancò, non aveva mai voluto animali in casa, tantomeno un setter nero grande e peloso. Comunque non proferì parola. Ce l’avevo fatta, i tasselli si stavano ricomponendo. Ero un genio.   
Le avrei raggiunte fra qualche giorno, davo loro il tempo di fare conoscenza. Calcolai i tempi di percorrenza Avellino Pescara e dopo tre ore e mezzo circa mandai un sms a Vittoria nel quale la caricavo di autostima con i complimenti che più le piacevano; subito dopo chiamai Carla, dalla quale subii il primo di una lunga serie di cazziatoni. Era tesa, la faccenda non le piaceva affatto. Le avevo piazzato in casa Vittoria in modo subdolo, mi rimproverava la menzogna: non a lei così tollerante!   Si era dedicata con impegno al lavoro e dopo poco più di un anno il negozio avrebbe potuto funzionare, aveva imparato a progettare le cucine al pc, studiato le schede tecniche degli elettrodomestici, le sembrava avventato chiudere un commercio con buone prospettive per rimpinguarne un’altro che invece soffriva.
Forse se i due operai che collaboravano con noi non fossero stati assunti ma avessero fatturato la prestazione d’opera, se non ci avessimo caricato su qualsiasi spesa, anche le sole insegne che avevano inciso per novemila euro, se…se… l’attività avrebbe presto dato i suoi frutti. Avevamo il vantaggio di un’attività che aveva sedici anni di vita, dunque conosciuta, e in più offrivamo un servizio unico cioè quello di riadattare i vecchi mobili della propria cucina in una nuova casa a cifre modiche.
 Ma io avevo ben altro per la testa e questi calcoli  non mi interessavano.




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Re:Il Trucchista
« Risposta #23 il: Aprile 30, 2014, 15:26:33 »
uh, che è accaduto? questi due pezzi li hai già messi!  :prtr:

Birik

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Re:Il Trucchista
« Risposta #24 il: Aprile 30, 2014, 20:25:54 »
Ops....sorry. Ho ricominciato a lavorare ma mi sforzo di essere un po' presente. Chiedo scusa, la fretta.

Birik

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Re:Il Trucchista
« Risposta #25 il: Aprile 30, 2014, 20:27:18 »
Cap.VIII
Strategie
L’operazione stava per partire, Carla aveva trovato un locale in un vicoletto del centro. All’angolo del vicolo con la strada principale c’era un altro bel locale in affitto. Ai rappresentanti si sarebbe detto che stavamo per prendere anche quello. Istruii Vittoria sulle aziende e sugli ordini da fare. Con lei stavo tranquillo. Era brava.
Il problema serio ora era trovare un amministratore, una testa di legno. Ci volevano subito almeno diecimila euro e io non gli avevo. Le spese erano tante. Solo gli affitti erano tre, casa compresa, in più stavamo allestendo il nuovo negozio. L’ avrei convinta a firmare qualche assegno, nel caso non avessi trovato subito l’amministratore?
Servivano soldi e io non sapevo come fare. Seppi che giravano dalle mie parti alcuni clonatori di carte di credito. Era un’organizzazione di Rumeni che si appoggiava a gente della mia zona. Preferii strisciare le carte a Pescara piuttosto che da me.  Un po’ di linfa, tredicimila euro. Eravamo tutti molto tesi, Vittoria che ci stava mettendo la faccia, Carla che era ancora amministratrice e io che avevo un puzzle da incastrare. Ma ormai la macchina era partita, era iniziata la battaglia; scariche di adrenalina e sensazione di onnipotenza.
Fu in quel periodo, gennaio 2007, che Carla sognò la mia morte. Ero in un hangar seduto su un aereo giallo  piccolo e scoperto come quelli dei cartoni animati. Metto in moto e non sento lei che mi urla di non partire. Io accendo il motore e mi schianto subito dopo il decollo.

Nel frattempo la mia signora  aveva certezza che  non ero da solo e mi rendeva la vita impossibile. Usava Gian Piero per controllarmi al telefono, scenate isteriche in casa, mi rendeva la vita impossibile ben sapendo che, senza l’alternativa della separazione, sarei rientrato nei ranghi, almeno per quieto vivere.
 Mio fratello che era salito qualche volta con me a Pescara per darmi una mano, aveva  raccontato  tutto a sua moglie la quale aveva confermato alla mia particolari della mia vita pescarese. Era stato un dispetto fra due cognate che non si erano simpatiche, ma mi aveva rovinato.
 Natale era passato, le cose si erano un po’ calmate, ma ora bisognava lavorare per bene e senza distrazioni. 
Quando dovevo salire su però cominciavano i problemi.
 A casa non volevano nella maniera più assoluta. Ero teso come una corda, una mi rendeva la vita difficile in famiglia, l’altra era nera per il ritardo con il quale si stava effettuando il cambio dell’amministratore. Inoltre eravamo nel momento clou dell’operazione, la mia presenza dietro le quinte era adesso doppiamente necessaria.  Non ne potevo più. Inoltre la sera prima avevo avuto un senso di oppressione, di soffocamento che per fortuna era passato subito.
Partii il giorno dopo, dovevo controllare, organizzare, sistemare gli ordini.
Quella notte, a Pescara, crollato addormentato di colpo dopo una splendida performance, mi sveglio tutto sudato con la stessa oppressione del giorno prima.  Chiamo Carla ma lei, nel dormiveglia, mi parla di doloretto intercostale. Mi riaddormento. Ma il giorno dopo ancora e ancora. Scappiamo al pronto soccorso dove mi diagnosticano angina. Bisognava operare subito.
Volevo tornare a casa, ma fui colto da successivi incalzanti attacchi , quindi ricoverato d’urgenza,  monitorato e operato il giorno dopo.
Immaginavo le battutine ironiche della compagine maschile della mia famiglia, cioè di quelli che sapevano. La situazione tipica, infarto nel letto dell’amante.
Mia moglie venne a trovarmi il giorno dopo: cinque minuti di visita per dirmi che me lo ero meritato e una colossale abbuffata di pesce nel migliore ristorante della città.
L’intervento ha segnato in maniera netta il mio rapporto con le donne. L’uso di betabloccanti che dovrò prendere a vita, ha ridotto il mio sesso a una specie di lumachina incapace di mantenere un’erezione per più di trenta secondi.
Mi sentivo davvero abbattuto, cominciavo a pensare a una punizione divina. Carla ricordava il sogno e parlava di premonizione, solo non si spiegava perché il colore giallo dell’aereo le era rimasto così in mente, il ricordo più vivido dell’avvenimento onirico.
 La spiegazione sarebbe arrivata a breve.

Ora sarei tornato a casa e, dopo il prescritto periodo di riposo assoluto, avrei potuto ricominciare le mie attività.
Cercavo di dirigere le operazioni per telefono, ma mi scontravo con due donne, ormai alleate, che avevano entrambi buoni motivi per farmela pagare, l’una rancorosa per il passato, l’altra mortificata dalle mie bugie. Di Carla mi fidavo, meno di Vittoria.
Inoltre Carla si sarebbe potuta rifiutare di firmare assegni visto che era ancora amministratore, e questo sarebbe stato un guaio serio. Riuscii a effettuare la sostituzione solo a marzo.
Era la metà di febbraio e entro agosto volevo portarmi giù il maltolto.
E ci riuscii. Il negozio fu chiuso e denunciammo un furto così da evitare la bancarotta fraudolenta.
Era finita, ero uscito dall’incubo.


 



 

Cap.IX
Riassetto e tracollo
Sistemata la merce che avrebbe dato nuovo impulso alla mia attività ad Aversa, dovevo adesso cercare di tranquillizzare Imma circa la fine della mia relazione. Ero stanco di conflitti.
Carla poverina era rimasta senza occupazione ma io non intendevo abbandonarla, sarei stato sempre pronto a darle una mano.
L’importante ora era concentrarmi sul mio negozio e fare in modo che le cose funzionassero in maniera regolare. Avevo tanta merce nuova e piano piano avrei riassortito gli ordini.
Ero abbastanza soddisfatto di me stesso. Con un’operazione di alta strategia ero riuscito a convincere Carla a partecipare, fare in modo che la stessa accettasse Vittoria, gestito bene le cose seppur con infarto in atto, e portato a casa  merce in quantità. Avevo coglioni sufficienti per affrontare qualsiasi situazione.
Così la mia vita aveva ricominciato a scorrere tranquilla, senza troppi scossoni. Ogni tanto vedevo Carla ma speravo, per il suo bene, che si rifacesse una vita. Ero legato a lei da un sentimento forte e proprio per questo volevo vederla serena, io non potevo darle ciò che si meritava. Ogni tanto per scherzo le dicevo” Trovati un altro fidanzato che io non posso darti niente!”, ma lei non  voleva neanche sentirne parlare. La condizione di amante le stava bene, almeno così diceva, un rapporto frizzantino senza avere i doveri di una moglie. Io aggiungo senza neanche i diritti.
Aveva aperto un piccolo negozio di vestiti usati firmati, e vivacchiava con quello. Io invece cominciavo ad essere stufo del mio immobilismo, ero pronto per nuove avventure truffaldine, ma quando lo accennavo a lei mi guardava sgranando gli occhi e mi diceva” Sei scemo? Mai più nella vita!”
Si avvicinava il Natale del 2008. Il periodo è quello degli incassi, in genere un negozio incassa il 30% del fatturato di un anno proprio nel mese a cavallo fra Dicembre e la Befana. E quell’anno le cose non erano andate male, avevo in banca una discreta somma. Ma il 27 di quel mese e di quell’anno alla riapertura dell’attività dopo S. Stefano, irrompe la Finanza in negozio. Accusa: bancarotta fraudolenta.
Mi crollò il mondo in testa, pensavo che, dopo tanti anni, la mia prima e più remunerativa operazione, quella che mi aveva permesso l’acquisto della casa, fosse ormai passata nel dimenticatoio. E invece no. Conti correnti bloccati, appartamento sotto sequestro e amministrazione controllata. E quel che è peggio Gian Piero,mio figlio, ne era l’amministratore.
Quando l’ho detto a Carla ha subito associato le Fiamme Gialle al colore dell’aereo sul quale ero morto nel suo sogno, giallo per l’appunto.. Nonostante la mia razionalità ebbi i brividi.
 Ero davvero nei casini, senza più un soldo, senza la possibilità di lavorare e con un figlio coinvolto in questa brutta storia. Mia moglie faceva finta di cadere dalle nuvole, gettandomi addosso tutta la responsabilità della faccenda, come se  non fosse stata lei e le sue ambizioni lo stimolo del mio agire.
Come avrei pagato gli avvocati?  Carla mi presentò un legale suo amico con lo studio vicino al suo negozietto e io accettai la sua consulenza. Avrei così passato più tempo con lei con la scusa di andare dal mio legittimo legale.  A volte pranzavo a casa sua. Lei era rimasta sola ora che entrambi i figli erano all’estero.
Erano finite le cene intime, le passeggiate mano nella mano, le notti infuocate. Avevo ancora desiderio erotico, ma non mantenevo l’erezione ed ero diventato un eiaculatore precoce.
Cercavo di sdrammatizzare e per scherzo le dicevo:”Se ti piace moscio ti faccio divertire” ma nel dirlo mi venivano le lacrime agli occhi. Lei però sembrava non dare molta importanza alla cosa, era diventata più dolce, le facevo pena. In quel periodo credo che avesse deciso di lasciarmi, io pregavo che non fosse vero, non ora. Nel contempo però non mi facevo scrupolo di scaricarle addosso tutte le mie preoccupazioni. L’innamoramento, il desiderio, la scoperta dell’altro, la voglia di condividere erano sensazioni del passato, non sarebbero più tornate,  era diventata una seconda moglie.
.



 

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Re:Il Trucchista
« Risposta #26 il: Maggio 04, 2014, 10:04:17 »
racconti ansiogeni! :happy: certo che lui se le va a cercare, vittima di se stesso, e di uomini così ce ne sono assai. Si parteggia per la Finanza, che gli faccia pagare una vita condotta sullo sfruttamento di tutti e tutto.  >:(

Birik

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Re:Il Trucchista
« Risposta #27 il: Maggio 04, 2014, 14:56:11 »
Cap. X
Di nuovo in pista
Vivevo chiedendo prestiti a parenti e amici, di fatto non sapevo che pesci pigliare, privato così all’improvviso  della possibilità di mantenermi.  Col senno di poi, mi pentivo di aver chiuso a Pescara, a quest’ora avrei avuto un’occupazione. Cercavo  una via d’uscita, avevo disperatamente bisogno di produrre danaro. L’occasione mi si presentò sotto forma di un negozio tipo Euronics: un franchising la cui società era sana, ma il titolare dismetteva e avrebbe ceduto. Sarebbe bastato soltanto cambiare l’amministratore. A propormi l’affare erano stati due tipi poco raccomandabili, ma non potevo certo andare per il sottile. Carla mi rispose picche. Mi serviva una donna, meglio una signora. Vittoria si era nel frattempo sposata ma la sorella Giuliana mi avrebbe potuto dare una mano. Il negozio era grande, si sarebbe potuta organizzare una bella operazione, . Conservava ancora le scaffalature di  ferro  non molto adatte al tipo di merce da esporre, ma nel complesso poteva andare
Imma aveva capito, anche se si era deciso di tacito accordo di non parlare della cosa.  Si sarebbe tenuta alla larga col consueto atteggiamento di chi sa ma fa finta di non sapere.
Il nuovo amministratore, una donna dei bassifondi Napoletani, non era presentabile in banca. Le feci fare subito la delega a Giuliana, sarebbe stata lei a trattare con i vari istituti.
Giuliana era una ragazzona di una quarantina d’anni. Alta e con gli occhi chiari doveva essere stata molto bella, purtroppo però beveva. Già dal mattino aveva l’odore dell’alcol addosso, che schifo. Era una donna provata da mille esperienze. L’ultima, in Messico, le aveva lasciato due bambine piccole. Disoccupata si arrangiava. Il vantaggio era che abitava vicino e le era comodo da raggiungere il posto di lavoro.
Non vedevo Carla quasi più anche se  la continuavo a monitorare per telefono. Ero sicuro che la lontananza forzata l’avrebbe spinta a darmi una mano pur di stare con me. Dopo un mesetto, con l’arrivo dei primi ordini le chiesi solo il favore di sistemare gli scaffali e prezzare la merce, l’accerchiamento strategico era iniziato. “Oltretutto  Giuliana  ruba, io non riesco a controllarla”. La ladra metteva la merce che aveva deciso di trafugare vicino l’uscita, ben nascosta dietro al bancone, e quando la sera andava via, le veniva comodo prenderla.
Lei tentennava, la spaventavano anche i centoventi chilometri al giorno. Diradai il mio interesse nell’intento di farla capitolare. Fu una facile vittoria, prevalse l’affetto, la condivisione, il suo istinto da crocerossina e l’indignazione di avere una ladra in casa.
Era estate, quella del 2009, gli ultimi quattro anni mi avevano visto avvitarmi su me stesso e nel contempo risorgere come l’Araba Fenice. Maestro di amore ed equilibrismo ero pronto a sferrare i terzo attacco.
Gli ordini arrivavano in quantità, io ero costantemente al telefono con le aziende,  la promozione al 50% permetteva buoni incassi. Ora dovevo cercare un deposito dove mettere la merce in attesa di aprire un altro negozio. Il mio storico  era ancora in amministrazione controllata, stavano svendendo tutto, lì niente era più mio. Non volevo aprire nella mia zona. La merce era riconoscibile, non sarebbe stato prudente. E poi dovevo qualcosa a Carla che aveva sacrificato la sua piccola attività per darmi una mano.
Imma insisteva per aprire un negozio nuovo, aveva voglia di lavorare, se ne sarebbe occupata lei, ma per me non era ancora il momento.
Mi piace allestire, distribuire gli spazi, avviare e compiacermi della mia nuova creatura, ma a cose fatte, perdo l’interesse e cerco un nuovo castello da costruire. Sono inquieto, ansioso e non mi piace stare fermo. Non ho vizi.: ho smesso di fumare, bevo solo un bicchiere di vino a tavola, non mi sono mai drogato, non gioco d’azzardo e non vado più a caccia di donne. Ho bisogno di adrenalina per sentirmi vivo, e questo è il mio modo di farlo.


 

                Cap. XI
Sono un cretino
Carla insisteva per parcheggiare la merce ad Avellino, dove nessuno sapeva, in attesa di decidere il da farsi. Riteneva poco prudente lasciarla in zona, eravamo in una provincia col più alto tasso delinquenziale d’Italia ed erano in molti che di nascosto osservavano i miei movimenti. A me sembrava che varcare la provincia e andare da lei, significasse concederle la proprietà parziale dei beni. Fece qualche tentativo dalle sue parti ma i tempi erano stretti e nel frattempo Giuliana mi aveva proposto un locale terraneo nella sua palazzina.
Optai per questa soluzione, il deposito era protetto da un’area condominiale chiusa da un cancello, lei abitava al piano di sopra, potevo stare tranquillo.
Il trasloco dal negozio al deposito fu effettuato in piccole tranche, con un furgoncino, per non dare nell’occhio. Se ne occupò Giuliana. In una settimana di lavoro  avevamo svuotato tutto.
Cercavo ora un locale commerciale dove portare tutto quel ben di Dio e cominciare a monetizzare. L’occasione si presentò di lì a poco. Un cliente dell’avv. Cipolletta, l’amico di Carla e mio legale, ne affittava uno proprio bello, cinque vetrine sulla strada e un ampio spazio sottostante. Era l’occasione giusta, lo prendemmo, l’attività fu intestata a lei.
Fu in quel periodo che  mi racconta il suo secondo sogno premonitore: “Dormivamo in due lettini gemelli io con il figlio piccolo in uno e il figlio grande nell’altro. Tu Gianni eri seduto sul mio, verso i piedi e dormicchiavi appoggiato al muro. Eravamo in una casa sconosciuta e i ragazzi avevano circa 10 e tre anni, più piccoli che in realtà. Mi sveglio e tu non ci sei, la luce della cucina filtrava nel buio. Il figlio più grande va a vedere, torna agitato e mi dice di averti trovato bocconi con un coltello nella schiena in una chiazza di sangue. Io prendo il piccolo in braccio, mi affaccio alla porta della cucina, ti vedo e senza guardare se eri vivo, fuggo con i figli.”   Era preoccupata, le sembrava un messaggio chiaro, doveva fuggire da me.
Nel frattempo avevo fatto tinteggiare e organizzare alla meglio il nuovo negozio, il giorno che con un furgone preso a nolo da Carla e in quattro cinque viaggi, avremmo portato tutto ad Avellino, era finalmente arrivato. La mattina prestabilita  io ero lì già dalle otto con Pietro, un operaio che mi stava aiutando, ma quando apro la saracinesca del deposito, il cuore mi si ferma per un momento. Era quasi vuoto! Avevano rubato la metà della merce e l’avrebbero di sicuro svuotato nei giorni successivi. Un furto in pieno giorno, in vari giorni, con la complicità di Giuliana, di questo ero certo.
 Ricordo che aveva avuto le chiavi durante il trasloco e io non avevo cambiato il catenaccio  e che qualche giorno prima le avevo detto che avrei aperto un outlet ad Avellino. Questa ultima notizia le aveva fatto senz’altro accelerare i tempi. Stavo invecchiando, perdevo colpi; una precisione matematica nel far coincidere ordini, falsi pagamenti e svendite, la fortuna inaspettata di un nuovo bellissimo negozio, tutto vanificato da un’imperdonabile leggerezza.
Arrivata Carla col furgone e dopo il primo momento di scoramento, ricostruimmo la dinamica del furto, eseguito di sicuro con un piccolo autoveicolo. I cartoni più grandi infatti erano stati divisi in pacchi più piccoli dove spiccava a pennarello il nome delle varie aziende. La grafia era quella della ladra. Nulla si poteva fare, caricammo e in pochi viaggi terminammo il lavoro.  Ero nevrastenico, c’era qualche forza sovrumana che mi remava contro. E non era ancora finita.
Inaugurammo i primi di dicembre “La Veranda”. La posizione e la formula “outlet” si rivelarono vincenti, avremmo riassortito il magazzino col Macef di fine gennaio. Ero comunque soddisfatto, mi sarei servito della liquidità del negozio per tamponare i debiti e sistemare il mio locale a Capua che, nel frattempo, si era liberato dall’amministrazione controllata.  Era malridotto, aveva anche subito un furto, ma lo avrei rimesso in pista affidandone la gestione alla famiglia.
Adesso mi serviva un’altra bella operazione per portare un po’ di merce nella rinata attività. Avevo bisogno però di operare lontano da casa, più prudente.

 

nihil

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Re:Il Trucchista
« Risposta #28 il: Maggio 05, 2014, 20:31:31 »
letto, anche se ogni tanto perdo il filo del discorso tra tutte queste donne, negozi, città. Il ritmo si mantiene veloce, si spera ( almeno io) che prima o poi questo furbacchione prenda una musata.  :prtr:

Birik

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Re:Il Trucchista
« Risposta #29 il: Maggio 05, 2014, 20:37:04 »
Cap.XII
Che botte ragazzi!
Così ci preparavamo per il Macef, saremmo partiti di lì a poco. Nel ricordare le partenze per i lunghi fine settimana d’amore mi veniva un po’ di malinconia, ma ora eravamo all’epilogo e doveva prevalere la razionalità. Sembro uno stronzo, ma la mia natura è romantica, e quando pensavo alle tante fughe spese in passeggiate romantiche, cene a lume di candela e notti infuocate, mi assaliva una struggente nostalgia. Avrei mai più vissuto l’innamoramento, il palpitare, l’ansia dell’incontro? Mi sarebbe mai più venuto duro al solo pensiero di un corpo, avrei fatto ancora sogni erotici? Forse no, ma accettavo il mio destino come la punizione a decenni di sbagli,  era giusto espiare con l’astinenza il peccato di aver anteposto il mio piccolo pene al mio grande cervello.
L’avrei lasciata col suo negozio non appena fossi pronto con il mio, il capolavoro finale. Uno a lei, uno a Imma e io di nuovo libero.
L’ex marito di Carla mi contatta per parlarmi di una società da portare all’estero. Lo avevo incontrato di sfuggita un paio di volte ma non ci eravamo tanto presi, com’è naturale data la situazione. Era un uomo della mia età, bello, pelle bruna e fisico incombente con una rabbia interna tenuta a bada da tranquillanti. Ci facciamo raggiungere nella casa che un tempo era anche la sua. Aveva sbagliato a prendere la cartella, avremmo accompagnato Carla al negozio e saremmo passati a prenderla a casa della madre dove adesso viveva.
Ritornati in casa mentre gli chiedevo di mostrarmi il plico e inforcavo i miei occhiali da presbite, mi allunga un pugno che mi fa sbattere la testa contro lo spigolo del frigo; forse ho perso per un momento i sensi, di certo perdevo molto sangue. E poi ancora e ancora, e calci nei reni mentre mi accusava di essermi appropriato della sua famiglia; era esagitato, gli occhi sbarrati, da pazzo.. Si fa consegnare telefono, documenti, orologio e carte di credito. Il sangue era dappertutto, mi costringe  bocconi a pulire per terra, tenendomi la punta di un grosso coltello da cucina appoggiata sulla schiena. Avevo bisogno di andare in ospedale, lascio i miei panni inzuppati di sangue nella vasca da bagno e tamponandomi la testa, usciamo. Andiamo al negozio dove lui si fa consegnare l’incasso e Carla agitatissima mi accompagna al pronto soccorso dove dichiaro di essermi fatto male cadendo per le scale.
A parte la ferita in testa subito suturata, soffrivo per alcune lacerazioni ai muscoli della schiena provocate dai calci subiti. I reni per fortuna erano salvi come confermò l’ecografia. Mi riaccompagna a casa il fidanzato della commessa, non riuscivo neanche a camminare. Si era avverato il suo sogno, bocconi in cucina con un coltello nella schiena in un lago di sangue. Chissà perché non ne ho mai giocato i numeri al lotto!
         
         
      
Cap. XIII
Novara
Dieci giorni di letto, tanto mi costò il “mazziatone”, a casa parlai di una rapina per la strada, ma una sorella di Imma mi affrontò a quattr’occhi per dirmi che non credeva una parola di quanto avevo raccontato e che mi sarei dovuto dare una calmata. Lo credevo anch’io. Ormai tutti sapevano della mia sbandata e la famiglia cominciava a fare muro.
Ne frattempo si era materializzata la possibilità di un’altra operazione. La definitiva. Una coppia che annaspava, tre negozi, tutti sull’orlo del fallimento. Avevo già avuto un primo incontro mesi prima, pensavo non se sarebbe fatto niente, invece la richiesta di un secondo incontro capitava a fagiolo. Sarei rimasto a Novara durante la settimana e atterrato a Capodichino il venerdì. Il sabato ad Avellino e la domenica a casa. Imma conosceva lo scopo dei miei viaggi e, tacita, acconsentiva.
L’operazione fu un successo, il negozio di Novara aveva un nome conosciuto, era in centro e doveva essere stato molto bello come ancora denunciavano le molte trovate architettoniche e gli eleganti spazi espositivi.
Con le aziende si parlò di un socio che avrebbe apportato nuova liquidità.
Intanto però La Veranda soffriva, Carla mi accusava di aver sottratto in sei mesi trentacinquemila euro, “Sono tuoi, d’accordo, ma stai mandando a puttane un negozio che incassa molto, ti conviene?”  Ma io dovevo tappare buchi: il mutuo, la restituzione di vari prestiti, le fatture dell’avvocato amico suo e la tranquillità familiare avevano la precedenza.  Lei annaspava, chiamava le aziende per spostare gli assegni, aveva ridotto l’orario e lo stipendio della commessa, ma il buco che avevo creato era troppo grande, sapevo che non ce l’avrebbe fatta. Smisi di andare il sabato ad Avellino. Nel frattempo avevo riaperto la mia attività storica. Lei era furente, l’avevo abbandonata nei casini, non mi avrebbe mai perdonato. Da agosto a dicembre, tanto durò l’agonia del malato terminale.  Reclamava la mia partecipazione nel momento del bisogno e io le dicevo che sarei andato ad aggiustare qualcosa, ma era solo un penoso procrastinare per entrambi. Non posso dire che stessi bene con me stesso, dentro mi sentivo un verme, ma era la cosa giusta da fare, l’unica possibile.
Dovevo trovare un modo per rompere definitivamente e in maniera plateale, sarebbe stato meglio un taglio netto che parlarle, per dirle cosa poi? Mentre ci pensavo,  macchie rosacee e squamose mi fiorivano sul viso, segno di un evidente travaglio.  La mattina del 23 dicembre la chiamo per dirle che sarei andato a farle gli auguri di Natale. Entro in negozio con fare frettoloso con la faccia scura e caricato di una rabbia senza senso, lei mi viene incontro quasi per abbracciarmi, io la scanso, mi chiede cosa avessi fatto al viso io le rispondo niente,  come stai che cos’hai, le dico mi servono pacchi di posate e mi avvio al piano di sotto per prenderli, mi segue domandandomi con la voce già rotta dal pianto che cosa stesse succedendo, io zitto, non avevo il coraggio di guardarla, impilo le posate. Allora lei dice l’unica cosa che avrebbe o non avrebbe dovuto dirmi, se porti via da qui un solo capello, chiamo i Carabinieri. Troia le dico, sei una troia, con tutto quello che ho fatto per te e le urlo qualsiasi cosa potesse ferirla, con  cattiveria, lei mi guardava stupefatta, il petto scosso da singulti, salgo le scale per scappare dall’assurdità della situazione, mi segue, non capisce. Vado via per non tornare più.


N.d.A. Questo che potrebbe sembrare il diario di un uomo decadente, è in realtà stato scritto da Carla che, dopo anni di impazzimento e struggente nostalgia, ha pensato che mettere sulla carta l’accaduto l’avrebbe aiutata a ricordare l’uomo nudo che, spogliato dai suoi incantamenti, non riesce ad avere consistenza.