Cap. X
Di nuovo in pista
Vivevo chiedendo prestiti a parenti e amici, di fatto non sapevo che pesci pigliare, privato così all’improvviso della possibilità di mantenermi. Col senno di poi, mi pentivo di aver chiuso a Pescara, a quest’ora avrei avuto un’occupazione. Cercavo una via d’uscita, avevo disperatamente bisogno di produrre danaro. L’occasione mi si presentò sotto forma di un negozio tipo Euronics: un franchising la cui società era sana, ma il titolare dismetteva e avrebbe ceduto. Sarebbe bastato soltanto cambiare l’amministratore. A propormi l’affare erano stati due tipi poco raccomandabili, ma non potevo certo andare per il sottile. Carla mi rispose picche. Mi serviva una donna, meglio una signora. Vittoria si era nel frattempo sposata ma la sorella Giuliana mi avrebbe potuto dare una mano. Il negozio era grande, si sarebbe potuta organizzare una bella operazione, . Conservava ancora le scaffalature di ferro non molto adatte al tipo di merce da esporre, ma nel complesso poteva andare
Imma aveva capito, anche se si era deciso di tacito accordo di non parlare della cosa. Si sarebbe tenuta alla larga col consueto atteggiamento di chi sa ma fa finta di non sapere.
Il nuovo amministratore, una donna dei bassifondi Napoletani, non era presentabile in banca. Le feci fare subito la delega a Giuliana, sarebbe stata lei a trattare con i vari istituti.
Giuliana era una ragazzona di una quarantina d’anni. Alta e con gli occhi chiari doveva essere stata molto bella, purtroppo però beveva. Già dal mattino aveva l’odore dell’alcol addosso, che schifo. Era una donna provata da mille esperienze. L’ultima, in Messico, le aveva lasciato due bambine piccole. Disoccupata si arrangiava. Il vantaggio era che abitava vicino e le era comodo da raggiungere il posto di lavoro.
Non vedevo Carla quasi più anche se la continuavo a monitorare per telefono. Ero sicuro che la lontananza forzata l’avrebbe spinta a darmi una mano pur di stare con me. Dopo un mesetto, con l’arrivo dei primi ordini le chiesi solo il favore di sistemare gli scaffali e prezzare la merce, l’accerchiamento strategico era iniziato. “Oltretutto Giuliana ruba, io non riesco a controllarla”. La ladra metteva la merce che aveva deciso di trafugare vicino l’uscita, ben nascosta dietro al bancone, e quando la sera andava via, le veniva comodo prenderla.
Lei tentennava, la spaventavano anche i centoventi chilometri al giorno. Diradai il mio interesse nell’intento di farla capitolare. Fu una facile vittoria, prevalse l’affetto, la condivisione, il suo istinto da crocerossina e l’indignazione di avere una ladra in casa.
Era estate, quella del 2009, gli ultimi quattro anni mi avevano visto avvitarmi su me stesso e nel contempo risorgere come l’Araba Fenice. Maestro di amore ed equilibrismo ero pronto a sferrare i terzo attacco.
Gli ordini arrivavano in quantità, io ero costantemente al telefono con le aziende, la promozione al 50% permetteva buoni incassi. Ora dovevo cercare un deposito dove mettere la merce in attesa di aprire un altro negozio. Il mio storico era ancora in amministrazione controllata, stavano svendendo tutto, lì niente era più mio. Non volevo aprire nella mia zona. La merce era riconoscibile, non sarebbe stato prudente. E poi dovevo qualcosa a Carla che aveva sacrificato la sua piccola attività per darmi una mano.
Imma insisteva per aprire un negozio nuovo, aveva voglia di lavorare, se ne sarebbe occupata lei, ma per me non era ancora il momento.
Mi piace allestire, distribuire gli spazi, avviare e compiacermi della mia nuova creatura, ma a cose fatte, perdo l’interesse e cerco un nuovo castello da costruire. Sono inquieto, ansioso e non mi piace stare fermo. Non ho vizi.: ho smesso di fumare, bevo solo un bicchiere di vino a tavola, non mi sono mai drogato, non gioco d’azzardo e non vado più a caccia di donne. Ho bisogno di adrenalina per sentirmi vivo, e questo è il mio modo di farlo.
Cap. XI
Sono un cretino
Carla insisteva per parcheggiare la merce ad Avellino, dove nessuno sapeva, in attesa di decidere il da farsi. Riteneva poco prudente lasciarla in zona, eravamo in una provincia col più alto tasso delinquenziale d’Italia ed erano in molti che di nascosto osservavano i miei movimenti. A me sembrava che varcare la provincia e andare da lei, significasse concederle la proprietà parziale dei beni. Fece qualche tentativo dalle sue parti ma i tempi erano stretti e nel frattempo Giuliana mi aveva proposto un locale terraneo nella sua palazzina.
Optai per questa soluzione, il deposito era protetto da un’area condominiale chiusa da un cancello, lei abitava al piano di sopra, potevo stare tranquillo.
Il trasloco dal negozio al deposito fu effettuato in piccole tranche, con un furgoncino, per non dare nell’occhio. Se ne occupò Giuliana. In una settimana di lavoro avevamo svuotato tutto.
Cercavo ora un locale commerciale dove portare tutto quel ben di Dio e cominciare a monetizzare. L’occasione si presentò di lì a poco. Un cliente dell’avv. Cipolletta, l’amico di Carla e mio legale, ne affittava uno proprio bello, cinque vetrine sulla strada e un ampio spazio sottostante. Era l’occasione giusta, lo prendemmo, l’attività fu intestata a lei.
Fu in quel periodo che mi racconta il suo secondo sogno premonitore: “Dormivamo in due lettini gemelli io con il figlio piccolo in uno e il figlio grande nell’altro. Tu Gianni eri seduto sul mio, verso i piedi e dormicchiavi appoggiato al muro. Eravamo in una casa sconosciuta e i ragazzi avevano circa 10 e tre anni, più piccoli che in realtà. Mi sveglio e tu non ci sei, la luce della cucina filtrava nel buio. Il figlio più grande va a vedere, torna agitato e mi dice di averti trovato bocconi con un coltello nella schiena in una chiazza di sangue. Io prendo il piccolo in braccio, mi affaccio alla porta della cucina, ti vedo e senza guardare se eri vivo, fuggo con i figli.” Era preoccupata, le sembrava un messaggio chiaro, doveva fuggire da me.
Nel frattempo avevo fatto tinteggiare e organizzare alla meglio il nuovo negozio, il giorno che con un furgone preso a nolo da Carla e in quattro cinque viaggi, avremmo portato tutto ad Avellino, era finalmente arrivato. La mattina prestabilita io ero lì già dalle otto con Pietro, un operaio che mi stava aiutando, ma quando apro la saracinesca del deposito, il cuore mi si ferma per un momento. Era quasi vuoto! Avevano rubato la metà della merce e l’avrebbero di sicuro svuotato nei giorni successivi. Un furto in pieno giorno, in vari giorni, con la complicità di Giuliana, di questo ero certo.
Ricordo che aveva avuto le chiavi durante il trasloco e io non avevo cambiato il catenaccio e che qualche giorno prima le avevo detto che avrei aperto un outlet ad Avellino. Questa ultima notizia le aveva fatto senz’altro accelerare i tempi. Stavo invecchiando, perdevo colpi; una precisione matematica nel far coincidere ordini, falsi pagamenti e svendite, la fortuna inaspettata di un nuovo bellissimo negozio, tutto vanificato da un’imperdonabile leggerezza.
Arrivata Carla col furgone e dopo il primo momento di scoramento, ricostruimmo la dinamica del furto, eseguito di sicuro con un piccolo autoveicolo. I cartoni più grandi infatti erano stati divisi in pacchi più piccoli dove spiccava a pennarello il nome delle varie aziende. La grafia era quella della ladra. Nulla si poteva fare, caricammo e in pochi viaggi terminammo il lavoro. Ero nevrastenico, c’era qualche forza sovrumana che mi remava contro. E non era ancora finita.
Inaugurammo i primi di dicembre “La Veranda”. La posizione e la formula “outlet” si rivelarono vincenti, avremmo riassortito il magazzino col Macef di fine gennaio. Ero comunque soddisfatto, mi sarei servito della liquidità del negozio per tamponare i debiti e sistemare il mio locale a Capua che, nel frattempo, si era liberato dall’amministrazione controllata. Era malridotto, aveva anche subito un furto, ma lo avrei rimesso in pista affidandone la gestione alla famiglia.
Adesso mi serviva un’altra bella operazione per portare un po’ di merce nella rinata attività. Avevo bisogno però di operare lontano da casa, più prudente.