Amore e Psiche
Guardavo il cielo. Era da un po’ che lo fissavo attentamente. Forse mi aspettavo di vederlo cambiare, o forse di scorgere qualcosa che prima non avevo notato. Le stelle quella sera erano infinite. Per lo meno così mi sembrò in quel momento. Dopo aver passato anni e anni della mia giovane vita in una sporca e inquinata città come New York, il cielo era diventato un optional per me. Ogni sera, quando alzavo gli occhi, non vedevo stelle, ma luci, migliaia di luci che dalle strade si propagavano fino al cielo, e rendevano invisibile una delle più splendide meraviglie della nostra triste realtà. Arrivata in questa sperduta cittadina del Maine, fui estasiata quando il cielo notturno mi apparve in tutta la sua immensa bellezza. Quella sera lo scenario era lo stesso di sempre: quella giovane ragazza si perdeva tra i puntini luminosi che decoravano il firmamento e si indagava sul perché delle cose. Seduta in riva al lago, ammiravo come questo sembrasse lambire il cielo e, in un caldo e tenero bacio, sfiorare l’orizzonte. Intorno a me era buio. Non c’erano lampioni né stupide luci a rovinare quel paesaggio così perfetto. Mia nonna mi aveva proibito categoricamente di uscire di notte ma io ero fatta così. Adoravo guardare il cielo e smarrirmi dentro di esso, per fuggire da quella realtà così cattiva e senza cuore. Non c’era posto per me in quel mondo, così da sempre ho cercato il mio posto là, tra le stelle, dove tutti sono uguali ma ognuno risplende di luce propria e contribuisce ad arricchire il cielo con la sua presenza. D’un tratto avvertii un aroma purissimo, quasi soprannaturale, insinuarsi nell’atmosfera. Era delicata e sembrava cullarmi tra le sue braccia. Mi circondava e mi riempiva i polmoni, purificandoli come mai niente riuscì a fare né prima né dopo di allora. Sentii che dietro di me qualcuno si avvicinava silenziosamente. Ciò che mi colpì fu che non c’era pesantezza nel suo corpo. Sembrava che fosse un’entità incorporea. Non faceva rumore ma avvertivo la sua presenza e, per un motivo che ancora oggi mi è sconosciuto, ne fui confortata. Qualsiasi ragazza nel buio di quella notte e nella desolazione di quel luogo avrebbe temuto per la propria vita, ma io no. Sapevo di potermi fidare in un qualche modo. Mi sentivo attratta da quei passi silenziosi e da quell’aroma travolgente e seppi di non essere mai stata più al sicuro. Osservai che una figura si sedette accanto a me. Non potei scorgerne i lineamenti data l’oscurità che ci avvolgeva, ma riconobbi che si trattava di un giovane. Cercai di esplorare il suo volto ma il buio me lo impedì.
Aspettai che fosse lui a parlare per primo e a presentarsi, così ritornai ad osservare il cielo. Ci mise qualche secondo ad aprire bocca, ma poi lo fece.
- Seneca diceva che l’unica cosa che ti può consolare quando sei lontano da casa è il cielo. Guardando il cielo riconoscerai le stesse stelle che osservavi da casa tua e non ti sentirai mai distante. Forse hai nostalgia di casa? E’ per questo che il tuo sguardo si perde nel cielo? -
Colpita da quelle parole, lo osservai a lungo, ma non vidi altro che buio. Mi ripresi dallo stupore iniziale e gli risposi.
- Stai scherzando? Io non vedevo l’ora di scappare da quella prigione di grattacieli e palazzi. Sono contenta di questa pace e di questa solitudine. Mi preoccupa solo che io debba ritornarvi tra qualche mese -
Il ragazzo rimase per qualche secondo in silenzio, probabilmente a fissarmi. La sicurezza che quello sconosciuto mi dava era un qualcosa di indescrivibile. Sapevo che a lui avrei potuto affidare persino la mia anima. Il ragazzo non parlava, così decisi di essere io a farmi avanti e ripresi a parlare.
- Questo posto ha un non so che di magico che lo rende speciale e diverso da qualsiasi altro luogo al mondo. In questo lago e in questa oscurità io mi sento protetta come se fossi nell’utero materno e dovessi ancora iniziare ad odiare questo mondo insulso e privo di amore -
- Perché odi così tanto il mondo? Cosa mai potrà averti fatto di male?- mi chiese lui.
Mi fermai un momento a pensare e chinai il capo, osservando i sassi sui quali giacevamo. Ne presi uno in mano e lo lanciai in acqua. Una lacrima discese lungo il mio zigomo e tutto quel dolore che per anni era rimasto sepolto nella parte più interna di me ritornò a galla e tornò a fare male. Non avevo mai parlato con nessuno di quello che mi era successo. Per paura, forse, o per vergogna, o forse per entrambi. Il dolore che mi aveva scosso era qualcosa di cui non ero mai riuscita a liberarmi, un terribile ragno che si era attaccato alla mia carne quel maledetto giorno di agosto e non mi aveva mai abbandonato. ‘E’ arrivato il momento’ pensai. ‘Finalmente qualcuno verrà a saperlo e non c’è persona migliore a cui io possa rivelarlo’. Inspirai profondamente e poi affondai i miei occhi nei suoi.
-Tutto incominciò e finì in una giornata di agosto. Il 13 agosto era un venerdì. Io non ho mai creduto a queste scaramanzie, ma non poteva esserci giornata migliore in cui il male potesse trionfare. E’ stato quattro anni fa. Avevo quattordici anni ed ero poco più che una ragazzina quando fui fermata da un uomo all’uscita da scuola. Stranamente si presentò dicendomi nome e cognome. Cercò di fare amicizia con me ma, quando notò che io lo evitavo e cercavo in tutti i modi di svignarmela, mi afferrò per un braccio. Se chiudo gli occhi, ancora oggi riesco a sentire quella morsa infernale stritolarmi la carne. Dopodiché fui portata in una specie di magazzino. Era piccolo e puzzolente. Fui picchiata e picchiata ancora, fino a che non capii più niente. Mi si offuscò la vista ma riuscii comunque a comprendere quello che mi stava facendo. Dopo qualche ora, credo, mi ritrovai da sola, lacera e dolorante in quell’orribile posto. Cercai di nascondere il più possibile il mio corpo e il mio viso per molto tempo a tutti e quella gente indifferente non si rese conto del mio dolore, mai. Dopo due anni venni a sapere dalla televisione che un uomo era stato ucciso in una sparatoria. Appena ne riconobbi il volto e il nome mi prese una fitta al petto. Seppure odiassi con tutta me stessa quell’uomo e non aspettassi altro che morisse, mi sentii vuota e rattristata. Davvero non c’era altro modo? Davvero non si poteva fare altro che ucciderlo? Che razza di dio permetterebbe che un essere tanto disgustoso possa ricevere la morte invece di essere punito? Chi mi garantisce che quell’uomo si sia realmente pentito? Chi mi dice che, invece, non sia felice di essere scampato per sempre alla legge e di averla fatta franca definitivamente?- mi fermai per un attimo e poi ripresi.
- Da allora non frequento che pochi amici e continuo a fissare il cielo, in attesa che qualcuno dall’alto mi porti via per sempre da questo buco sporco e puzzolente -
Il ragazzo rimase ad ascoltarmi senza fiatare. Non seppe cosa dire e questo lo notai dal nervosismo dei suoi movimenti. D’un tratto, inaspettatamente, parlò.
- Non credevo che una ragazza così giovane potesse aver vissuto così tanto -
- A volte, si può vivere di più in un attimo intenso che in anni e anni di noiosa monotonia. Me lo ha insegnato mia mamma.
Gli sorrisi dolcemente e poi il mio sguardo cadde sull’orologio che avevo al polso.
-Oh no! E’ tardissimo!- Premetti, poi, il tasto per l’illuminazione dello schermo e l’orologio mi rivelò l’ora. Le tre e un quarto. – Se mia nonna mi scopre non mi farà più uscire di casa -
Feci per rialzarmi ma il ragazzo mi bloccò la mano. –Resta, ti prego!- mi chiese supplichevole.
-Vorrei, davvero. Ma non posso proprio.- dissi scappando.
-Quando ti rivedrò?-
- Domani sera. Stessa ora stesso posto. Io ci sarò, tu?-
- Ci sarò.- detto questo, i miei occhi non riuscirono più a percepire la sua sagoma da nessuna parte. Si era come volatilizzato, oppure era il sonno a farmelo credere. Sbadigliai grandiosamente e poi presi la via di casa.
Arrivata sull’uscio ebbi la paura che mia nonna avesse scoperto la mia fuga e che fosse davanti alla porta, pronta a sbraitarmi contro. Presi la chiave e la girai nella toppa. Cercai di fare meno rumore possibile e ci riuscii. Nessuno all’orizzonte. La sala su cui dava la porta di ingresso era deserta. Buon per me. Imboccai la via per la mia stanza. Fui costretta a salire al piano di sopra attraverso quelle maledette scale cigolanti. Cercai di controllare ogni singolo movimento e di evitarne di bruschi. Il cigolio probabilmente era forte solo per me, che in quel momento avevo un udito in grado di rilevare persino il battito d’ali di una mosca a chilometri di distanza. Improvvisamente udii una voce provenire dalla stanza di mia nonna. Oh caspita! Rimasi immobile per circa un minuto, poi realizzai che stava solamente parlando nel sonno, come sempre. Falso allarme. Entrai nella mia camera, mi spogliai e misi il pigiama estivo. Mi coricai sul letto ed iniziai a ripensare a quella voce, a quel respiro leggero e a quell’aroma indescrivibile. Tutto in quel giovane era perfetto. Tutto. Non credevo che al mondo potesse esistere qualcuno in grado di provocare in me tali sentimenti. Non sapevo se fosse amore, ma di certo non era normale essere attratti così tanto da qualcuno. Improvvisamente crollai e il sonno ebbe la meglio sui miei pensieri.