La guardavo mentre prendeva il suo caffè. Era entrata poco prima nel bar e si era seduta, rapida e sicura. Il locale era pieno di giovani che, in attesa che cominciassero le lezioni all'Università, abitualmente sostavano in quel bar, non solo per abitudine, ma più che altro per adempiere ad un rito di gruppo, una necessità di ritrovarsi e per rinnovare i vincoli che li univano. C'era confusione, tanta, eppure il cameriere volava veloce e professionale tra i tavoli: ora prendendo "la comanda" ora servendo i clienti in attesa che venissero esauditi i loro desideri. Un buon caffè, una cioccolata calda, potevano cambiare una mattina cominciata male, quella volta anche per me, che non ero riuscito a sentire mio figlio al cellulare, sempre perso com'è tra mille cose e mille sms. Con gli amici, il suo branco, e la ragazzina, ma mai con papà. Ero solo un poco ansioso, perciò, non geloso della sua vita e dei suoi amici, che inevitabilmente da qualche anno, si erano sostituiti a papà e mamma.
L'avevo già notata, in altre occasioni, sempre elegante e fiera. Ti accorgi subito quando in un locale o per strada ti passa davanti una di quelle donne che vanno fiere per le strade del mondo. Quasi incuranti dell'umanità che passa loro accanto. Di solito, son molto ben vestite e truccate, portano indifferentemente pantaloni o gonne, tanto sono sicure di sè, il loro è uno sguardo che ti sfiora, solo per un momento, quasi una concessione, non un un invito.
Sedette accanto al mio tavolino e, fugacemente, mi colse il suo sguardo mentre incuriosito la osservavo tirar fuori dalla sua borsa tutto il suo universo. Tra i tanti oggetti, che erano lì sparsi sul tavolino, scelse una penna ed una agenda, nè grande nè piccola, tuttavia capace abbastanza per degli appunti o indirizzi da trascrivere sul momento. Curioso pensai, mentre per un senso di imbarazzo mi allontanavo con gli occhi da quel momento che io consideravo di "privacy" necessaria, anche se tutto stava accadendo in uno spazio pubblico. L'agenda e la penna, devo confessarlo, più di ogni altra cosa o situazione mi avevano attratto ed incuriosito, semplicemente perchè certe scene, al giorno d'oggi, sono diventate obsolete, inusuali, poco pratiche: cose d'altri tempi! Eppure, stava accadendo, proprio dinanzi ai miei occhi, lei stava scrivendo, apparentemente a caso, su di un foglio di quella agenda con mano veloce e sicura...così com'era sempre stata, e non solo in quella particolare circostanza. Altre volte l'avevo incontrata in quel bar, c'erano stati sguardi, gesti di gentilezza reciproca, come cedere il passo o porgere un oggetto caduto...sempre con il massimo garbo e discrezione, senza mai insistere a lungo con lo sguardo...mai. Lei non era molto più giovane di me, eppure era ancora molto bella e, soprattutto affascinante, e non solo per come si muoveva o si vestiva, o per il profumo che la caratterizzava, poichè non era comune e tuttavia conosciuto, come se dalla sua persona ci si potesse aspettare solo quel tipo e non altri: qualcosa che ti ricordava il mare e i suoi sentori, una freschezza quasi da brezza marina, un'anticipazione dell'estate con la sua luce ed il suo calore. La meraviglia di una ritrovata giovinezza, fisica e mentale. Tutto questo era lei, o meglio, la personalità che da lei traspariva. Una lunga teoria di persone, in quel momento stava attraversando la strada che da lì conduce all'università, quel luogo che mi aveva visto per ben vent'anni, insegnare ai miei allievi, ora grandi e ben avviati per le strade del mondo. Io guardai per un solo istante quelle persone che compostamente si avviavano alla grande scalinata che conduce all'interno dell'ateneo, mentre immaginavo ciò che di li a poco anch'io avrei fatto, esattamente come ogni giorno, da sempre, da vent'anni a questa parte. Ma quella mattina stava accadendo qualcosa di diverso, qualcosa che non avrei potuto prevedere, forse sognare o sperare. Lei alzò lo sguardo mentre il cameriere le stava servendo un caffè con un cioccolatino, prese il suo caffè e gusto il cioccolatino, un gianduiotto torinese, poi con mosse sapienti e ben studiate piegò un foglietto. Quello stesso foglietto che aveva staccato dall'agenda per trascrivere qualcosa. Si volse verso di me, mi guardò dritto negli occhi e sorridendo me lo porse:"E' per te. E' il mio numero, fanne buon uso. Oggi è il mio compleanno e sono sola con i miei pensieri, le mie ansie e le mie paure. In questi mesi, ho avuto modo di osservare i tuoi modi garbati e premurosi, verso di me, seppure non mi conoscessi ancora. Sono sicura che da qui potrà iniziare qualcosa di bello per entrambi, qualcosa che desideriamo". Allora capii che, da quella mattina, da quel momento per me molte cose della mia vita, a cominciare dalle vecchie e stanche abitudini, sarebbero cambiate, forse per sempre. Non dissi nulla, non ce n'era bisogno poichè i miei occhi parlavano per me. Le porsi un braccio, l'aiutai ad alzarsi ed insieme ci incamminammo verso la strada e la scalinata dell'ateneo, dove entrambi lavoravamo da più di vent'anni. Quella era diventata per noi la strada della vita.