I miei parti sono sempre molto agitati, crudi e insofferenti, vestiti quanto possibile di metrica, sintassi o grammatica, tangenti nell’attimo dell’anima o accanto al corpo, frutti di una mente incapace di non trasformare ogni minimo spunto, intorno e dentro di se. Sempre spogli invece di tanti, troppi riferimenti, modelli assurdi, spesso a inossidabili convinzioni, frutto di scolastiche e assuefatte imposizioni di autori, stili e scritti. Queste ultime sono gioie e dolori per tanti, pozzanghere a incubatoio di larve, che diventate adulte, seguiranno lo stesso destino critico e anonimo, scritto da altri invece che espressione del proprio impatto. Preferisco allora quel voluto, amato, respirato “ermo colle” senza confine alcuno, lasciare occhi e tastiera lontani da cori o solisti convinti, attirati solo da presunti capolavori, nutriti a puro nozionismo letterario e non cultura. Cultura, quella capacità come rispetto, di unire il tutto al particolare e il particolare al tutto (definizione cara e rubata al mio insegnante di lettere dell’ITIS) di cui effettivamente possiamo tutti esprimere. Da tempo, salgo improvviso, creativo mai sazio e sempre affamato quassù, non virtuale ma intimo, dove esiste anche il cestino per gli aborti. Il piacere è ancor maggiore, condividere allora questo percorso e luogo, con chi accetta questo modo di vedere, leggere, interpretare, commentare come correggere scritti, senza troppi falsi idoli, etiche o morali. Termino qui questo esempio di equilibrismo, su un filo, il non cadere in sterili polemiche anche giustificate da titoli di studio, competenze, contenuti, colori che non mi appartengono. Il tutto condito con un pizzico di sana ironia.