Autore Topic: da Carnevale a Pasqua  (Letto 17083 volte)

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #45 il: Marzo 25, 2014, 06:37:19 »
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Quando morì Gesù era l’ora in cui venivano immolati gli agnelli per la Pasqua ebraica.

Anche  l’’uccisione di Cristo simboleggia l’agnello pasquale profetizzato da Giovanni il Battista quando battezzò Gesù nel fiume Giordano: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29). La frase rimase incomprensibile perché era un’allusione misteriosa a qualcosa di futuro poi diventato realtà: Gesù, "agnello sacrificale" scelto da Dio.

Nell'antica tradizione ebraica il sommo sacerdote imponeva le mani su un agnello, che veniva scelto come "capro espiatorio"  per caricarlo simbolicamente  dei peccati degli individui, poi l'animale veniva sacrificato.

Pure Gesù, il "senza peccato", con la sua morte sulla croce assunse simbolicamente su di sé   i peccati del mondo, anzi   "il peccato" del mondo, quello originario dell'uomo-Adamo, che non si fidò di Dio.

Nel salmo 34 si legge: “Molti sono i mali del giusto, ma da tutti lo libera il Signore” (verso 20). Ne era convinto Giuseppe d’Arimatea, che “aspettava il regno di Dio”. Quest’uomo era un autorevole esponente del sinedrio e segreto discepolo di Gesù, dicono i quattro evangelisti ma con dettagli diversi.

Giuseppe di Arimatea (l’antica Rama di Efraim, l’attuale Rentis) la sera di quel venerdì andò da Pilato per chiedere il corpo di Gesù.

Secondo la prassi romana i morti in croce dovevano restare sul patibolo fino alla consunzione del cadavere, profanato dagli avvoltoi. Invece la legge biblica ordinava di seppellire al tramonto in una fossa comune i condannati a morte (Deuteronomio 21, 22–23). Perciò era possibile che i parenti o una personalità autorevole richiedessero la salma del crocifisso per la sepoltura privata. E la richiesta di Giuseppe d’Arimatea rientrava nella consuetudine giudiziaria giudaica.

L’evangelista Marco riferisce che Pilato alla richiesta di Giuseppe si meravigliò che Gesù fosse già morto. Chiamò il centurione responsabile dell’esecuzione e gli chiese se la notizia era vera. Ebbe conferma della morte e concesse la salma all’arimateo, che acquistò un lenzuolo e fece calare il corpo di Gesù dalla croce per deporlo in un sepolcro.(15, 44 s).



L’evangelista Giovanni dice  che Giuseppe d’Arimatea andò a prendere il corpo di  Gesù insieme con  il fariseo Nicodemo, uno dei capi dei Giudei, citato per tre volte da Giovanni, nei capitoli 3, 7 e 19.  Nicodemo “portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre (circa 34 chilogrammi). Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende (teli), insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei.
Ora nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo di cui era proprietario Giuseppe e nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Parasceve dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino” (19, 39 – 42). Nell'imminenza del sabato e dell’ebraico riposo festivo che inizia la sera del venerdì, era proibito dalla legge toccare cadaveri.

Ma ciò che dice Giovanni della spalmatura degli oli aromatici sul corpo senza vita di Gesù il venerdì prima della sepoltura nella stessa sera è contraddetto da Luca e Marco. Secondo i due evangelisti il rituale funebre  della lavatura della salma e della spalmatura degli aromi venne rinviato alla domenica mattina.

Il sabato le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea osservarono il riposo come era prescritto (Lc 23, 56).

Dopo il riposo sabbatico, al mattino del primo giorno della settimana (la domenica) esse andarono al sepolcro per ungere il corpo di Gesù ed effettuare la sepoltura definitiva.  (cfr. Lc. 23, 56; Mc. 16, 1-2). 
« Ultima modifica: Marzo 25, 2014, 07:04:34 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #46 il: Marzo 26, 2014, 09:59:22 »
Soltanto l’evangelista Giovanni dice che anche Maria, la madre di Gesù, fu al cospetto del Figlio crocifisso. Ma la sua presenza fu inattiva. Il vangelo giovanneo non riferisce la reazione emotiva di questa donna: pianse ?  Gridò ?  Maledi il sinedrio e/o a Pilato ? 

La speculazione teologica  fece immaginare Maria come mater dolorosa, che assiste, secondo la versione giovannea, alla crocifissione, alla deposizione e alla sepoltura del figlio (19, 25 – 27).  Ma la sua presenza in quella circostanza suscita dubbi, perché non menzionata nei tre vangeli sinottici. E questi non citano nemmeno Giovanni fra i presenti all’esecuzione mortale di Cristo.

Alcuni dei cosiddetti  Padri della Chiesa,  Ambrogio, vescovo di Milano, ed Agostino, vescovo di Ippona,  già nel IV secolo  collegarono il dolore della Vergine per la morte del Figlio con la profezia di Simeone a Maria durante la presentazione del neonato Gesù nel Tempio di Gerusalemme ”…E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 34-35). Ma fu il monaco cistercense Bernard de Clairvaux (Bernardo di Chiaravalle, 1090 – 1153) che cominciò a far diffondere il culto per la “Madonna addolorata”, la ”compassio virgini”. Notevole incremento a tale culto fu dato dalla prima metà del  XIII secolo dall’Ordine religioso dei “Servi della Beata Vergine Maria” (Ordo Servorum Beatae  Virginis Mariae) – i “Serviti”- e dalla loro “Compagnia di Maria Addolorata”.

I “Servi di Maria” nel XIV secolo non si limitarono alla profezia di Simeone come dolore di Maria per il Figlio morto in croce, ma nel tempo ampliarono a sette i “dolori” per la Madre di Dio, corrispondenti ad altrettanti episodi narrati nei Vangeli:

- la profezia del vecchio Simeone a Maria durante la presentazione di Gesù Bambino al Tempio ebraico di Gerusalemme;

- la fuga in Egitto di Giuseppe e Maria con il Bambino per salvarlo dalle minacce di morte da Erode;

- lo smarrimento di Gesù all’età di 12 anni durante un pellegrinaggio con i genitori a Gerusalemme;

- l’incontro di Maria con Gesù sulla via verso il Calvario;

- la presenza di Maria sul Golgota durante la crocifissione e morte di Gesù;

- la deposizione di Cristo dalla croce;

- la sepoltura di Gesù.

Dai sette episodi evangelici nacque la duplice iconografia dell’Addolorata: La Madonna trafitta nel cuore da una sola spada se il riferimento è soltanto alla profezia di Simeone, altrimenti da sette spade, una per ogni episodio doloroso; il fazzoletto nella mano per asciugare gli occhi che piangono; il vestito nero simbolo del lutto.



Nell’ambito letterario il  “Liber de passione Christi et dolore et planctu Matris eius” di  autore ignoto,  stimolò la composizione in varie lingue del “Pianto della Vergine”. Una delle testimonianze italiane degli inni religiosi di quel tempo è lo “Stabat Mater”,  in latino, attribuito a Jacopone da Todi: “Stabat Mater dolorosa / iuxta crucem lacrimosa / dum pendebat filius / …” ("Stava la madre dolorosa, piangendo vicino alla croce, dalla quale pendeva suo Figlio).
Jacopone da Todi compose in lingua volgare anche alcune  ”laude”:  sono componimenti poetici d’argomento religioso ispirati dalla liturgia. Le laude venivano raccolte nei “laudari”, custoditi dalle confraternite dei “laudesi”, e recitate in particolare nel periodo pasquale.
« Ultima modifica: Aprile 04, 2014, 11:44:45 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #47 il: Marzo 27, 2014, 00:29:47 »
Il Venerdì Santo  si commemora la Passione e la morte di Gesù sulla croce. La Chiesa cattolica obbliga i fedeli al digiuno ecclesiastico e l’astensione dalle carni nel menu. La liturgia prevede il rito della “Via Crucis” (= Via della Croce) che commemora il  percorso di Cristo dal pretorio verso il Golgota.

Nei secoli scorsi chi poteva economicamente andava in pellegrinaggio a Gerusalemme per la visita dei luoghi dove Gesù aveva sofferto ed era stato messo a morte.

Per andare incontro alla religiosità popolare delle classi sociali economicamente marginali che non potevano pagare il viaggio fino a Gerusalemme, il frate minore Leonardo da Porto Maurizio (al secolo Paolo Girolamo Casanova, 1676 – 1751) ideò e propagò nelle chiese francescane la “Via Crucis,  articolata in 14 “stazioni”, in ognuna di esse c’è un quadro  che rappresenta un evento della Passione di Cristo dal pretorio al Golgota. 

Il 3 aprile 1731 papa Clemente XII promulgò il documento "Monita ad recte ordinandum devotum exercitium Viae crucis", con il quale determinò la sequenza delle 14 "stazioni" devozionali, a ciascuna delle quali è tradizionalmente associato un significativo momento del cammino di Cristo verso la croce.
Il pontefice Clemente XII non limitò le evocazioni artistiche della "Via Crucis" solo nelle chiese officiate dai Francescani, ma le concesse anche a quelle officiate da altri Ordini religiosi.

Alcuni anni fa la Via Crucis fu completata con l'introduzione della “Via Lucis”  (= Via della Luce), con la quale viene ricordata la vita di Cristo tra la sua Risurrezione e la Pentecoste.

Nella Chiesa cattolica il pio esercizio della Via Crucis è connessa con l'indulgenza plenaria  ai partecipanti, ma a  determinate condizioni.  Per ottenere l'indulgenza, i fedeli devono pregare sostando in ciascuna stazione, meditando sul mistero della Passione.

A Roma, il pontefice presiede la tradizionale "Via Crucis" dal Colosseo alle pendici del Palatino.



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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #48 il: Marzo 28, 2014, 00:35:27 »
La Passio Christi nel dramma sacro medievale

In epoca paleocristiana, superato il dilemma della celebrazione della Pasqua nel giorno della morte o della risurrezione di Cristo, cominciò la progressiva “drammatizzazione” della liturgia, con modalità espressive simili al rito-spettacolo.
Se ne ha testimonianza da documenti dell’epoca, come le note di viaggio della pellegrina Egeria, che forse era una nobile spagnola. Nella settimana di Pasqua dell’anno 384 ella era a Gerusalemme e partecipò alle funzioni religiose nei luoghi della passione, morte e risurrezione di Gesù.

Tra il IV ed il X secolo la liturgia pasquale occidentale fu integrata da testi religiosi strutturati per il dialogo e la mimica tra due o più presbiteri, al fine di migliorare la comprensione da parte dei fedeli.

Alcune modalità della liturgia cattolica medievale del periodo di Pasqua furono influenzate da quelle orientali, bizantine. Ne sono un esempio gli ”stichi”, versetti dialogati del salmo 67, intercalati con gli ”stichirà”, versi cantati ispirati dalle omelie pasquali.

Simili agli “stichi” erano i ”tropi”, versetti desunti dai Vangeli e cantati in alternanza di toni dopo l’epistola durante la Messa.

Al tropo ”Quem quaeritis”, attribuito al monaco Tutilone ed introdotto nel X secolo nel rituale della Messa pasquale, si fa convenzionalmente risalire l’inizio del ”dramma sacro”, cosiddetto perché la rappresentazione evoca la Passione di Cristo.

”Quem quaeritis ?” (Chi cercate ?). Le due parole evocano la risurrezione di Gesù ed il dialogo tra le pie donne ed un solo angelo (secondo i Vangeli di Matteo e Marco), due angeli secondo i Vangeli di Luca e Giovanni.

L’”Officium Sepulchri” veniva interpretato dai clerici, sia per il ruolo dell’angelo sia nella parte delle pie donne. Dal loro incontro cominciava il dialogo cantato in quattro versi.
Chiede l’angelo: “Quem quaeritis in sepulchro, o christicolae ?” (Chi cercate nel sepolcro, oh fedeli cristiane ?”
Rispondono le pie donne: ”Jesum Nazarenum crucifixum, o caelicola” (Gesù Nazareno che è stato crocifisso, o spirito celeste).
Replica l’angelo: ”Non est hic, surrexit sicut praedixerat. / Ite, nuntiate quia surrexit de sepulchro” (Non è qui, è risorto come aveva predetto. Andate, annunciate che Egli è risorto dal sepolcro).

Poi vennero elaborati nuovi testi, ispirati non solo dai Vangeli canonici ma anche da quelli apocrifi, dai sermoni e dalle vite dei  santi, con conseguente aumento dei personaggi nel dramma liturgico.

La teatralizzazione del dramma sacro pasquale, anche con la partecipazione delle confraternite, ampliò notevolmente la celebrazione religiosa. Lo spazio all’interno delle chiese divenne insufficiente e le sacre rappresentazioni vennero trasferite all’esterno, sui sagrati e poi nelle piazze, dove venivano allestiti i palchi. Però le scene diventarono commistione tra sacro e profano.

Il Concilio di Trento, nel XVI secolo, e la conseguente “Controriforma cattolica” ridussero notevolmente la profusione di riti e distinsero il sacro dal profano nel dramma liturgico. Non vennero più accettati numerosi criteri delle confraternite e furono ridefiniti i modelli di espressione rituale.

Alla “Passio Christi” di tipo teatrale venne preferita la “Via Crucis” e la “processione del Cristo morto” nel “Venerdì Santo”.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #49 il: Marzo 31, 2014, 11:12:36 »
Sabato Santo

La morte di Gesù tolse agli apostoli la speranza di un Messia trionfante. Pensarono di essere stati abbandonati da Dio:  “Dov’è Dio” ? E’ questa la domanda nel Sabato Santo.

In questo giorno non viene celebrata la Messa  ma la liturgia delle Ore: canto di salmi ed inni, preghiere e letture bibliche.

Invece nella tarda serata o nella notte tra questo sabato e la domenica, nelle chiese si svolge il rito della veglia pasquale per ricordare la risurrezione di Gesù Cristo. E’ “la notte di veglia in onore dei Signore” (Es 12, 42),

La veglia pasquale è articolata in quattro parti: liturgia della luce, liturgia della parola, liturgia battesimale e liturgia eucaristica.

La liturgia della luce viene in parte celebrata all’esterno della chiesa, nella quale, dal giorno precedente, il venerdì santo, sono spente le luci e le candele. 

Dalla  chiesa i sacerdoti escono in silenziosa processione e  sul sagrato si dispongono attorno al fuoco che viene acceso entro un piccolo braciere. Dopo il saluto, il celebrante benedice il fuoco e legge la preghiera di benedizione del cero pasquale, che viene acceso per simboleggiare la presenza di Cristo e la vittoria della vita sulla morte.

Sul cero pasquale il sacerdote incide una croce,  sulla quale conficca cinque grani d’incenso:uno al centro  e gli altri quattro alle estremità;  tali grani simboleggiano le cinque ferite subite da Gesù sulla croce: alle mani, ai piedi ed al costato. Poi il prelato sul cero pasquale traccia anche  due grafemi dell’alfabeto greco: alfa ed omega (il principio e la fine)  e le cifre dell’anno.

Dal cero pasquale i fedeli ricevono la fiamma per le loro candele, tale fiamma simboleggia la comunione nel Signore. Poi il diacono (o il sacerdote) prende il cero pasquale e guida la processione all’interno della chiesa, che viene parzialmente illuminata dalle tante candele dei fedeli. Il diacono intona per tre volte il “Lumen Christi” (Cristo la luce) ed i fedeli rispondono “Deo gratias” (rendiamo grazie a Dio).

La frase  “Lumen Christi” evoca alcuni versi biblici, come quello del profeta Isaia che annuncia l’arrivo di Dio in forma di luce: “Il popolo che camminava nelle tenebre / vide una grande luce: / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse” (Is 9,1).

Anche nel Vangelo di Giovanni c’è scritto: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12).

In chiesa il diacono o, in sua assenza, il sacerdote, incensa il libro dei vangeli ed il cero pasquale  inserito nel  suo candelabro, di solito collocato vicino l’ambone o nel presbiterio, e rimane acceso fino alla Messa vespertina della Pentecoste.

Il presbitero dall’ambone o dal pulpito intona o recita il preconio pasquale, col quale proclama la resurrezione di Gesù Cristo, mentre tutti i presenti stanno in piedi e tengono in mano la candela accesa.
Il lemma preconio deriva dal latino “praeconium”, parola che indica l’araldo, colui che annuncia (in questo caso la risurrezione di Gesù Cristo). Il preconio inizia con il vocabolo “exultet”: “Esulti il coro degli angeli, / esulti l’assemblea celeste:/ un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto”….

Nel rito romano il preconio è affidato al canto del “Gloria in excelsis”. Nel rito ambrosiano, invece, è il sacerdote che proclama l’annunzio “Christus Dominus resurrexit”, cantandolo per tre volte ai tre lati dell’altare: a destra, al centro e a sinistra. In quel momento ricomincia il suono dell’organo, fermo dal periodo quaresimale, e si fanno suonare le campane, che erano state  simbolicamente “legate” alla morte del Signore nel pomeriggio del Venerdì Santo.

Durante il rito oltre ai canti liturgici c’è la musica devozionale, costituita da laudi e da “sequenze”. Una di esse, la più nota, fa parte della liturgia “romana” ed è collocata dopo la lettura del brano di un’epistola dell’apostolo Paolo e prima dell’Alleluja e della lettura del Vangelo.  E’ la sequenza  “Victimae paschali laudes” (= lodi alla vittima pasquale), un canto dell’XI secolo. In essa c’è anche un dialogo tra il coro dei fedeli che cantano e Maria di Magdala, reduce dall’incontro col Cristo risorto nell’alba di Pasqua: “Dic nobis Maria, / quid vidisci in via ? / Sepulchrum  Christi viventis, / et gloriam vidi resurgentis…(= Raccontaci, Maria: Che hai visto lungo la via ?Ho visto il sepolcro del Cristo vivente e la gloria del Cristo risorto…).

Ma il canto pasquale più celebre e l’Alleluia, termine ebraico che si compone dell’imperativo “hallelù”, (lodate) e dell’abbreviazione del nome di Dio impronunciabile “Jah”, cioè Jahweh.
Nell’alleluia pasquale c’è la gioia spirituale e l’esultanza per la risurrezione di Gesù.

Terminato l'annuncio della risurrezione, tutti spengono le candele ed inizia la liturgia della Parola della veglia di Pasqua con letture dell’Antico  e Nuovo Testamento.

Segue la liturgia battesimale: Il sacerdote con i ministri si reca al fonte battesimale,  i fedeli riaccendono la candela e vengono cantate le litanie dei santi. Il  celebrante dopo la preghiera, prende il cero pasquale e lo immerge parzialmente nell'acqua del fonte battesimale, benedicendo l'acqua, con la quale asperge i fedeli. Dopo c'è il rito del battesimo, che ricorda quello ricevuto da Gesù nel fiume Giordano da parte di Giovanni battista.  Il sacerdote celebrante invoca lo Spirito Santo ed amministra l'eventuale battesimo, per purificare l'individuo dal peccato originale.   

Successivamente comincia la  liturgia eucaristica, che commemora l’ultima cena di Gesù, le sue parole e i suoi gesti nel convito pasquale, ma anche la sua crocifissione e la risurrezione. Segue la preghiera eucaristica, i riti della comunione e quelli di conclusione della Messa.
« Ultima modifica: Aprile 01, 2014, 09:00:59 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #50 il: Aprile 03, 2014, 11:41:40 »
Pasqua di risurrezione di Gesù

All’alba della domenica le donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea si recarono al sepolcro di Cristo con gli oli e gli aromi per  imbalsamare il suo corpo. Ma rimasero sconvolte perché la pietra che chiudeva l’apertura della tomba era stata tolta ed il loculo era vuoto. Cosa accadde ? Era risorto, dopo tre giorni nel sepolcro, secondo i quattro evangelisti, ma il loro racconto è discordante nei particolari, per esempio il numero delle donne presenti, il numero degli angeli sul luogo della sepoltura. L'evangelista Giovanni mette in scena la sola Maddalena ma nel versetto successivo (20,2) questa riferisce "non sappiamo dove l'hanno posto", confermando la presenza di più donne al sepolcro.

Non ci furono testimoni della risurrezione di Gesù ma solo posteriori dichiarazioni angeliche e le visioni delle discepole.

E’ dell’anno 56 il più antico riferimento alla risurrezione e alle apparizioni di Gesù.  Però, è ovvio, la religione cristiana considera vero quell’evento, perché la risurrezione di Cristo è compimento, secondo l’interpretazione forzata dei cristiani,  delle promesse dell'Antico Testamento (Lc 24,26-27.44-48) e di Gesù stesso durante la sua vita terrena (Mt 28,6; Mc 16,7; Lc 24,6-7).

Queste sono le narrazioni dei quattro evangelisti su quanto accadde quel mattino della domenica.

Vangelo di Matteo: “Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana (la domenica), Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un grande terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie tremarono tramortite. Ma l’angelo disse alle donne: ‘Non abbiate paura, voi ! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. E’ risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: ‘E’ risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete’. Ecco, io ve l’ho detto.
Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro dicendo: ‘Salute a voi !’ Ed esse, avvicinatesi, gli cinsero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: ‘Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno’” (28, 1 – 10).

Vangelo di Marco: “Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: ‘Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro ?’.
Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura.
Ma egli disse loro: ‘Non abbiate paura ! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto.
Ora, andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto’. Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura” (16, 1 – 10).

Vangelo di Luca: “Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino (“le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea” 23, 55), si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: ‘Perché cercate tra i morti colui che è vivo ? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno’. Ed esse si ricordarono delle sue parole, e, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non cedettero ad esse.
Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bande. E’ tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto (24, 1 – 12).
   
Vangelo di Giovanni: “Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: ‘Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!’.
Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro.  Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide le bende posate per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che  gli era stato posto sul capo,  non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura,  che egli  cioè doveva risuscitare dai morti.
I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.
Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte dei capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: ‘Donna, perché piangi ?’. Rispose loro: ‘Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto’.
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: ‘Donna perché piangi ? Chi cerchi ?’. Essa pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: ‘Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo’. Gesù le disse: ‘Maria !’. Essa allora, si voltò verso di lui, gli disse in ebraico: ‘Rabbuni !’ (che significa maestro !). Gesù le disse: ‘Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma vai dai miei fratelli e di loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’.
Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: ‘Ho visto il Signore’ e anche ciò che le aveva detto” (20, 1 – 18).
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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #51 il: Aprile 04, 2014, 10:00:46 »
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Alcune religioni per attrarre seguaci anziché ipotizzare affermano la reviviscenza o la non-estinzione dell'anima del defunto.

Per la fede cristiana la resurrezione dopo la morte è un topos: è il passaggio dal tempo limitato di vita sulla Terra alla vita eterna.

Il cristianesimo induce i fedeli a credere che dopo la loro morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell'ultimo giorno.

L’apostolo Paolo nella lettera ai Romani  scrisse: “Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi » (Rm 8,11).

La “risurrezione della carne” significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell'anima immortale, ma che anche i nostri “corpi mortali” riprenderanno vita. Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della fede cristiana fin dalle sue origini. E la preghiera del Credo in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, afferma la risurrezione dei morti alla fine dei tempi.

(Sebbene sia ampiamente diffusa la parola "resurrezione", dal latino “resurrectionem”,  nella terminologia ecclesiastica si usa il lemma "risurrezione", dal verbo "resurgere” (risorgere). Entrambe le versioni sono corrette ed io le uso). 
 
La risurrezione di Gesù è considerata storicamente vera ed evento fondamentale per il cristianesimo, perciò viene commemorato ogni anno nella Pasqua cristiana e alla domenica.
 
I vangeli ci informano che Gesù risorse dopo tre giorni dalla sua morte sulla croce; lasciò il sepolcro vuoto e si mostrò vivo ad alcune discepole e poi ad altri apostoli. Ma i  vangeli non descrivono i momenti della resurrezione di Gesù, che non ha avuto testimoni. E  per il Risorto fu difficile convincere i suoi discepoli della sua risurrezione, perciò fu costretto a stabilire con loro rapporti diretti, attraverso il contatto (come con l'apostolo Tommaso) e la condivisione del pasto, allo scopo di far loro capire che non era un fantasma (Lc 24,39).

Numerosi esegeti e storici del cristianesimo considerano non veri gli elementi soprannaturali raccontati nei vangeli, come le apparizioni di Jesus post mortem, gli angeli, il terremoto.

Il filosofo tedesco Hermann Samuel Reimarus (1694 – 1768) nel  suo “Saggio sulle principali verità della religione naturale” esclude l'esistenza dei miracoli e dice che furono i discepoli a rubare il cadavere di Gesù per affermare falsamente la sua risurrezione. Tale tesi evoca il versetto dell’evangelista Matteo in riferimento ai sommi sacerdoti del sinedrio “…”i suoi discepoli sono venuti di notte e lo hanno rubato…”(28, 13).

Il tedesco Martin Dibelius (1883 – 1947), religioso protestante e docente di teologia del Nuovo Testamento, osserva che prima della risurrezione gli apostoli e i discepoli stavano nascosti o quasi, mentre dopo le apparizioni di Gesù risorto diventarono audaci. Secondo lui, come per altri,  gli aspetti “soprannaturali” dei racconti evangelici sono “teologumeni”: il teologùmeno è un'ipotesi teologica presentata come fatto storico. 

Il teologo tedesco David Friedrich Strauß (1808 – 1874) nel suo saggio “La vita di Gesù” considera miti e non verità storica le manifestazioni soprannaturali  del Risorto descritte nei vangeli. Per questo teologo i  delusi discepoli s’illusero che Gesù fosse ancora vivo e di averlo visto.
 
Ancora un altro tedesco, il teologo evangelico  Rudolf Karl Bultmann (1884 – 1976) nel suo saggio “Nuovo Testamento e mitologia" prospetta la demitizzazione del messaggio evangelico: il linguaggio mitico dei vangeli comunica una verità inaccessibile alla scienza, perciò il Gesù storico deve essere separato dal Cristo.  Per Bultmann la risurrezione è una verità di fede che fu storicizzata, perché i primi cristiani consideravano Gesù il salvatore atteso che liberava l’umanità dal male, dal peccato e dalla morte.

Per lo scozzese James George Frazer  (1854 – 1941), antropologo e storico delle religioni, la risurrezione di Gesù sarebbe la storicizzazione del mito della divinità che muore e risorge, in analogia con i miti di Osiride, Mitra, Dioniso,  Adone, Attis ed altri.
Nella mitologia dell'Antico Egitto, il dio Osiride, ucciso dal fratello Seth, fu risuscitato dalla moglie Iside e divenne il re dell'oltretomba e il giudice dei morti.
Per la religione degli antichi Egizi, la vita dopo la morte era la sola duratura e la morte costituiva un passaggio a tale vita. Il corpo veniva imbalsamato per preservarlo dalla corruzione e rimaneva nella tomba. Infatti solo se il corpo era intatto, il “Ka”, la forza vitale dell'uomo ed il “Ba”, l'anima, potevano andare nel Paese dei Morti.

Anche il zoroastrismo prevede la risurrezione corporea dei morti per un giudizio finale di Dio: il dualismo etico tra Bene e Male  è alla base di questa religione e si riflette anche sui concetti di Paradiso, Inferno e giorno del giudizio.

Pure nella mitologia greca ci sono personaggi risorti da morte e in alcuni casi c’è l’acquisizione dell'immortalità.
Alcuni teologi protestanti considerano la risurrezione di Gesù un evento spirituale o allegorico.

Gli studiosi non credenti considerano l'evento come non storico ma una leggenda. 

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #52 il: Aprile 06, 2014, 00:22:14 »
Le apparizioni di Gesù evocano le teofanie dell’Antico Testamento.

Nel Nuovo Testamento le Cristofanie avvennero dopo la sua risurrezione e prima della sua Ascensione.

Prima dei quattro evangelisti “canonici” fu Paolo di Tarso nel 55 circa ad elencare alcune apparizioni di Gesù ma non le descrisse: “…Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.
Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.
Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. (1 Cor 15, 3 – 8.)

Invece l’evangelista Matteo racconta che un angelo disse a Maria di Magdala e all’altra Maria che Gesù era risorto. “Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro dicendo: ‘Salute a voi !’. Ed esse, avvicinatesi, gli cinsero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: ‘Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno’” (28, 8 – 10). Gli undici discepoli (Paolo dice che erano 12) andarono in Galilea, “sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono davanti; alcuni però dubitavano” (28, 16 – 17).   
 
L’evangelista Luca narra che “…in quello stesso giorno (la domenica di risurrezione) due di loro ( due discepoli) erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (24, 13 – 16).
“Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli (Gesù) fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: ‘Resta con noi perché si fa sera e il giorno volge al declino’. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista” (24, 28 – 31).
Poi i due discepoli (uno di nome Cleopa ) fecero ritorno a Gerusalemme, “dove trovarono riuniti gli Undici (apostoli) e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: ‘Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone’.
Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi !’. Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma.
Ma egli disse: ‘Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore ? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io ! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho’.
Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: ‘Avete qui qualche cosa da mangiare ?’ Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (24, 33 – 43).
“Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia;” (24, 50 – 52).
Negli Atti degli Apostoli Luca dice che Gesù apparve ai suoi discepoli dopo la sua morte e rimase con loro per 40 giorni prima di salire al cielo: “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio” (1, 3).

I capitoli 20-21 del vangelo di Giovanni descrivono quattro apparizioni di Gesù dopo la sua risurrezione: a Maria di Magdala (21, 14-18); ai discepoli senza Tommaso (21, 19-23); ai discepoli con Tommaso la settimana seguente (21, 26-29), ai discepoli sulla riva del lago di Tiberiade (21, 1-23).

Mentre Maria di Magdala piangeva vicino al vuoto sepolcro vide due angeli e questi le chiesero: “ ‘Donna, perché piangi ?’ Rispose loro: Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto’.
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: ‘Donna perché piangi ? Chi cerchi ?’. Essa pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: ‘Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo’. Gesù le disse: ‘Maria !’ Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: ‘Rabbuni  !’, (che significa Maestro !). Gesù le disse: ‘Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e dì loro: ‘Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’.

(Cosa vuol dire Gesù quando dice a Maria Maddalena Non mi toccare (la parola  "toccare" è quella usata  nelle traduzioni più antiche), perché non sono ancora salito al Padre; ma vai dai miei fratelli e dì loro: 'Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro' ? La  nota frase latina, Noli me tangere ("Non toccarmi"), è in contraddizione con l'invito di Gesù a Tommaso Didimo (più avanti nello stesso capitolo di Giovanni) di toccare le sue mani e il suo costato (Giovanni 20.27), e con il resoconto in Matteo (28,1-9) di Maria Maddalena "e l'altra Maria" che, "avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono").

Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: ‘Ho visto il Signore’ e anche ciò che le aveva detto.
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi !’.
Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono  al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: ‘Pace a voi !’” (20, 13 – 21).
“Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: ‘Abbiamo visto il Signore !’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò’.
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi !’.
Poi disse a Tommaso: ‘Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente !’. Rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio !’. Gesù gli disse: ‘Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno !’” (20, 24 – 29).

(A chi interessa vedere le “ossa del corpo” dell’apostolo Tommaso può recarsi ad Ortona, in provincia di Chieti, nella basilica a lui dedicata.  Furono portate in questa località dopo alcune traslazioni in tempi diversi.  Secondo una secolare tradizione, anche a Roma, nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, si conserva una reliquia dell’apostolo Tommaso, una falange del dito indice. Un’altra reliquia di Tommaso, donata dalla chiesa di Ortona, è dal 1953 nella chiesa di San Tommaso apostolo a Chennai-Madras.   
Il nome di Tommaso, in aramaico, significa “gemello”, e stesso significato ha l’appellativo greco, Didimo, con cui l’apostolo viene anche indicato da Giovanni).


Ancora Giovanni ci fa sapere che Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade, permettendo loro di pescare molto pesce. E nell’Apocalisse racconta  che mentre egli era in estasi ebbe un’altra fantastica visione di Gesù (1, 10 – 20).

L’evangelista Marco riassume le apparizioni della risurrezione, tratte da Matteo e Luca, e cita tre apparizioni. “apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni” (16, 9); poi apparve a due discepoli, ma con altro aspetto, mentre i due “erano in cammino verso la campagna” (16, 12); “Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità” (16, 14). 

Gli studiosi sono quasi tutti concordi nel dire che la parte conclusiva del vangelo di Marco, dove narra le apparizioni del Cristo risorto, è un’aggiunta posteriore da parte di altri,  non presente nella versione originale.   

L’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi scrisse: “Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono.
Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”  (1 Cor 15, 14 – 19). Con queste parole  il teologo  e scrittore Paolo (o Saulo) di Tarso, noto come san Paolo, evidenzia l’importanza fondamentale per il messaggio cristiano la fede nella risurrezione di Gesù Cristo. Se non si crede nella sua risurrezione la fede cristiana è “morta” e Gesù, in tal caso,  fu solo un rabbi, una personalità religiosa. Egli non è più il criterio di misura, ma è criterio la valutazione personale.


Joseph Ratzinger   Benedetto XVI), nel suo libro dedicato a “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione” ha scritto: “Solo se Gesù è risorto, è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il  mondo e la situazione dell’uomo. Allora Egli, Gesù, diventa il criterio, del quale ci possiamo fidare. Poiché allora Dio si è veramente manifestato.
Per questo, nella nostra ricerca sulla figura di Gesù, la risurrezione è il punto decisivo. Se Gesù sia soltanto esistito nel passato o invece esista anche nel presente, ciò dipende dalla risurrezione. Nel ‘si’ o ‘no’ a questo interrogativo non ci si pronuncia su di un singolo avvenimento accanto ad altri, ma sulla figura di Gesù come tale” (pag. 270).


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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #53 il: Aprile 07, 2014, 00:10:51 »
"Tempo di Pasqua": dalla domenica di Pasqua alla domenica di Pentecoste.

La parola "Pasqua": deriva dal latino "Pascha", che è un adattamento, tramite la lingua greca, della parola ebraica "Pesach" o "Pesah", che significa "passaggio”, “passare oltre”. 

Pesach nella religione ebraica  è la festività pasquale: dura otto giorni (in Israele un giorno in meno),  ricorda la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù in Egitto e l'esodo del popolo d'Israele guidati da Mosé verso la "Terra Promessa", in Palestina. La Pasqua Ebraica cade quest'anno dal 15 al 22 aprile 2014.

Le date della Pasqua ebraica e cristiana variano perché dipendono dai cicli lunari.

La Pasqua cristiana condiziona le date del Carnevale, della Quaresima e della Pentecoste. Questa parola deriva dal greco “pentèkoste” e significa “cinquantesima” (giornata).
 
Nell’ebraismo la pentecoste è una festa di ringraziamento: viene celebrata sette settimane dopo la Pasqua ebraica per commemorare la rivelazione di  Dio sul monte Sinai, dove dette a Mosé la legge, la Torah. Invece la Pentecoste cristiana commemora 50 giorni dopo la Pasqua la discesa dello Spirito Santo tra gli apostoli.

Testi, tradizioni e valori della religione ebraica furono  in parte adottati dalle prime comunità di cristiani, non avendo una propria liturgia.

Per la Pasqua ebraica la prescrizione mosaica dispone il rito  dell’immolazione dell’agnello, simbolicamente rielaborato dai cristiani collegandolo alla crocifissione di Gesù, considerato come l’agnello sacrificale.

La Pasqua ebraica cade nel plenilunio, cioè quando c’è la luna piena successiva all’equinozio di primavera, tra il 19 ed il 21 marzo.  Il calendario religioso ebraico fa coincidere quel plenilunio con il quattordicesimo giorno del mese di Nisan, e la Pasqua ebraica si celebra nella notte tra il 14 ed il 15 di Nisan, indipendentemente dal giorno della settimana in cui ricorre. Può capitare che il plenilunio coincida con la domenica e vengano celebrate nella stessa data la Pasqua ebraica e la Pasqua cristiana.

La festa mobile della Pasqua cristiana avviene nella prima domenica successiva  al  plenilunio (luna piena) dopo l’equinozio di primavera,  che può essere il 19, il 20 o il 21 marzo e non necessariamente il 21 marzo, data fissata  nel 325 dal Concilio di Nicea, l’attuale Iznik, 130 km da Istanbul.

Il Concilio di Nicea fu voluto dall'imperatore  Costantino I  per  ristabilire tra i cristiani la pace religiosa e costruire l'unità della Chiesa.

Nel periodo paleocristiano la data di commemorazione della Pasqua non era unica. Si contrapponevano  dispute teologiche e diverse opinioni tra le Chiese d’Occidente e quelle d’Oriente.

La Chiesa di Roma preferiva fare memoria della risurrezione di Cristo nella domenica successiva al primo plenilunio di primavera, invece le Chiese d’Oriente volevano ricordare la risurrezione di Gesù il 14 di Nisan, in coincidenza con la Pasqua ebraica.

A Nicea, anche a causa del  crescente antisemitismo tra i cristiani non ebrei, fu deciso di collegare la resurrezione di Cristo all'anno solare e al calendario emanato da Giulio Cesare (calendario giuliano),  utilizzando l'equinozio di primavera come riferimento fisso per la determinazione della Pasqua cristiana.

Il Concilio di Nicea stabilì la celebrazione della Pasqua cristiana nella prima domenica dopo il plenilunio (la luna piena) successivo all’equinozio di primavera.  Se la luna piena compariva di domenica  e la festività cristiana coincideva con la ricorrenza ebraica, la Pasqua cristiana veniva celebrata la domenica successiva, per evitare coincidenze tra le due feste religiose. Il compito di stabilire, ogni anno, tale giorno fu affidato alla Chiesa di Alessandria d'Egitto, ma successivamente, la Pasqua venne fissata tra il 22 marzo ed il 25 aprile, nella prima domenica dopo il plenilunio che segue l'equinozio di primavera.

L’anno liturgico della Chiesa cattolica  non fu elaborato  iniziando dalla nascita di Cristo, ma dalla sua risurrezione. Per questo la festa più antica della cristianità non è il Natale, ma la Pasqua, e la liturgia celebra l’evento pasquale come “giorno di Cristo Signore”.

La“risurrezione di Cristo” fu  un evento reale o un’interpretazione teologica per dare attuazione alla profezia di Ezechiele ? Nell’Antico Testamento c’è il “Libro di Ezechiele”, composto di 48 capitoli, nel 37/esimo questo profeta in una visione surreale descrive lo spirito creatore di Dio che resuscita i morti.     

Nel Nuovo Testamento la risurrezione è tradotta  sia col verbo “egheirein”, che significa “risvegliare”... dalla morte, simbolicamente intesa come un sonno, sia col verbo “anistemi”, che significa “alzarsi”.

Con linguaggio simbolico si vuole indicare che Gesù come uomo muore ma si “risveglia” alla vita divina. 

La Pasqua invita i cristiani a credere nel mistero della morte e risurrezione. Come mistero ha ovviamente  bisogno dell’obbedienza della fede, della fiducia dei credenti.

La celebrazione della Pasqua nei primi tre secoli di vita della Chiesa non aveva  un periodo di preparazione. Ci si limitava al digiuno nei due giorni precedenti la Pasqua.

Quando nel IV secolo a seguito del rescritto costantiniano del 313  i cristiani ebbero libertà di culto e con l’imperatore Teodosio I  il cristianesimo divenne la religione di Stato dell'Impero Romano, la Pasqua fu inserita anche nel calendario come festa della Resurrezione di Cristo.

Nel 1582, la riforma del calendario giuliano  (dal nome di Giulio Cesare in vigore dal 46 a. C.)  e la conseguente adozione del calendario gregoriano (dal nome del pontefice Gregorio XIII)  che adoperiamo ancora oggi, eliminò le difficoltà legate alla definizione dell’anno liturgico e alla datazione della Pasqua.

Dal 1752 la Pasqua viene celebrata nello stesso giorno dai cristiani d’Occidente, sia cattolici sia protestanti. Invece le Chiese ortodosse (che non accettarono il calendario gregoriano)  per definire l’anno liturgico adoperano ancora il calendario giuliano, per conseguenza celebrano la Pasqua la domenica precedente o conseguente a quella delle Chiese cristiane d’Occidente. La loro Pasqua può variare dal 4 aprile all'8 maggio.
« Ultima modifica: Aprile 07, 2014, 00:14:02 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #54 il: Aprile 13, 2014, 13:25:30 »
Pasqua ebraica: tradizioni e simboli

La Pasqua ebraica è denominata Pesach e significa “passaggio”, ma anche “liberazione”. Il lemma deriva da “pasach”: “passare oltre”, questa frase evoca la liberazione del popolo israelita dalla schiavitù in Egitto e l’esodo verso la terra promessa, in Palestina.

La Pasqua ebraica dura otto giorni, sette in Israele. 

Nella Bibbia ebraica Pesach indica il 14 di Nisan: nome  che deriva da “nes” (= miracolo); per la tradizione talmudica è il  primo mese dell’anno, collegato all’esodo dall’Egitto al tempo di Mosé; invece è  il settimo mese del calendario ebraico secondo il computo ordinario, e corrisponde ai mesi di marzo-aprile. 

“E il primo mese, il 14/esimo giorno del mese, sarà la Pasqua del Signore” (Libro dei Numeri 28, 16). “E dovete osservare la festa dei pani non lievitati. (…) Per sette giorni (…) dovete mangiare pani non fermentati (Libro dell’Esodo: 12, 17 – 20).    Il pane azzimo, non lievitato, è denominato “matzah”, plurale “matzot”. 

Durante la festività le bevande fermentate ed  il pane con lievito sono proibiti.

Nell’antichità vigeva l’obbligo dell’offerta di un agnello  per il sacrificio nel tempio di Gerusalemme nel pomeriggio del 14 del mese di Nisan. Nel nostro tempo le comunità ebraiche dedicano le prime due sere di Pesach alla tradizionale cena in ambito familiare rispettando un determinato ordine sequenziale di cibi e preghiere; tale ordine è detto  in ebraico “seder”.

Al centro del tavolo si posa il “piatto del Seder”, con simbolici cibi di Pesach.



Nelle prime due sere di Pesach durante la cena viene letta l’Haggadah (= racconto): la “Haggadah di Pesach”  narra l’esodo dall’Egitto degli Ebrei schiavizzati. Il capofamiglia legge brani di letteratura biblica e post-biblica, composizioni poetiche, salmi e rituali di preghiera.  I bambini nella famiglia vengono coinvolti per far apprendere loro l’antica storia ebraica.

La caratteristica  cena inizia con il Qiddush (santificazione).

Sulla tavola ci sono tre matzòt: uno dei tre pani viene spezzato prima della berachà (benedizione), che poi viene recitata sugli altri due pani interi.

Altri cibi presenti:

Maròr: erba amara, per ricordare l'amarezza della schiavitù del popolo ebraico in Egitto;  di solito viene usata la cicoria, il rafano o la latturga.

Zeroà: zampa arrostita di agnello o di capretto, simboleggia l’antica offerta dell’agnello sacrificale nel tempio di Gerusalemme in occasione della Pasqua.

Betzah: uovo sodo, per ricordare la distruzione del tempio di Gerusalemme e  simboleggiare la continuità della vita.
 
Karpàs: gambo di sedano (oppure un pezzo di cipolla cruda) per ricordare la concomitanza di Pesach con la primavera.

Korekh: somiglia al sandwitch, fatto con matzah, maror  e charosset ( salsa dolce e compatta che viene preparata con mele, pere, frutta secca  e  vino; viene preparata per evocare la malta usata dagli ebrei.
 
Afiqomen: è il pezzo di azzima nascosta all’inizio del Seder; viene mangiata  in ricordo dell’agnello pasquale, che veniva consumato al termine del pasto quando esisteva il tempio di Gerusalemme. L’afiqomen va consumata entro la mezzanotte (ora 1.00 legali circa).

Durante la cena si debbono bere quattro bicchieri di vino, ma ai bambini viene data acqua o succo d’uva. 

Alla fine del pasto si recita la preghiera di “benedizione del nutrimento”, la Birkhat haMazon, e la lode di ringraziamento, l'Hallel,  dopo cui si può bere solo acqua sino all'alba.
« Ultima modifica: Aprile 14, 2014, 08:35:22 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #55 il: Aprile 14, 2014, 10:24:53 »
Pasqua cristiana: tradizioni e simboli

La Pasqua cristiana commemora la risurrezione di Gesù ma ha radici nella Pasqua  ebraica (Pesach), che ricorda l’esodo del popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto. 

Il lemma ebraico Pesach nella lingua aramaica è denominato “pasha”, tradotto in latino nella forma “pàscha”, da cui deriva il termine italiano Pasqua.

L'Ultima Cena di Gesù insieme ai suoi apostoli avvenne secondo le modalità proprie del seder di Pesach. Da quanto si legge nel vangelo di Giovanni e da altri particolari della Passione, il giorno della morte di Gesù avvenne il 14 di Nisan, durante il quale venivano immolati gli agnelli sacrificali e  la sera si celebrava la Pasqua ebraica. 

I tre vangeli sinottici considerano il rito del pane e del vino nell’ultima cena di Gesù il momento in cui la Pasqua di Cristo sostituì nei giudei cristiani  il significato della Pasqua ebraica.

Nel Vicino Oriente le comunità cristiane ricordavano la risurrezione di Cristo  il 14 di Nisan, inizio della Pasqua ebraica, invece la Chiesa di Roma commemorava la Pasqua la domenica successiva al 14 di Nisan. Le differenti date furono oggetto di controversie tra la pars occidentalis e quella orientalis, ma furono superate nel  325 durante il Concilio di Nicea, nel quale venne deciso  che la Pasqua di risurrezione di Gesù  doveva essere celebrata da tutta la cristianità nello stesso giorno: la domenica seguente il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera, considerato all’epoca corrispondente al 21 marzo, e di non farla coincidere con la Pasqua ebraica il 14 di Nisan.  Il compito di stabilire la data, ogni anno, fu affidato alla Chiesa di Alessandria d’Egitto,  ma successivamente, nel 525, la  data della Pasqua  cristiana venne fissata fra il 22 marzo e il 25 aprile.

Anche la  Pasqua cristiana viene festeggiata con alcuni simbolici cibi cui sono attribuiti  significati di rigenerazione, come la stagione primaverile che rigenera la vegetazione dopo il riposo invernale.

Uovo, colomba e agnello prefigurano la rivelazione cristiana.

La colomba evoca lo Spirito Santo nell’iconografia cristiana ed il ricordo del biblico “diluvio universale”: la colomba tornò nell’arca di Noè con un rametto di ulivo nel becco, segno della fine del diluvio e di riconciliazione tra Dio e l’umanità, perciò simboleggia la pace.

L’agnello e l’ariete sono gli animali “sacrificali” delle più antiche religioni.
L’agnello, uno dei simboli della Pasqua ebraica, assunto dalla Pasqua cristiana e rappresentato nell’iconografia come l’Agnus Dei, l’immagine di Gesù sacrificato sulla croce per la salvezza spirituale dell’umanità: “Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi”. Per la teologia cattolica  il sacrificio Cristo  servì per liberare l’umanità dal peccato originale e per mostrare a questa il proprio destino: la resurrezione nel  “giorno del giudizio finale”. Cristo è anche il “Buon pastore” della parabola evangelica.

L’uovo, nelle antiche mitologie e religioni significa l’inizio della vita e del mondo. L’uovo nasce da un essere vivente e dà origine ad una nuova vita: simbolo universale del rinnovamento periodico della natura, di rinascita, e di risurrezione di Gesù per i cristiani.
La tradizione del dono di uova è documentata già fra gli antichi Persiani, dove era diffusa la tradizione dello scambio di uova di gallina all'inizio della stagione primaverile, seguiti nel tempo da altri popoli antichi quali gli Egizi ed i Greci.
Il Cristianesimo riprese le tradizioni che vedevano nell'uovo un simbolo della vita, rielaborandole nella nuova prospettiva del Cristo risorto.
L'usanza dello scambio di uova decorate venne sviluppata nel medioevo come regalo alla servitù. Invece nella nobiltà si diffuse l’usanza di scambiarsi uova costruite con materiali preziosi e decorate. Nel XIX secolo ebbero successo fra le persone economicamente benestanti le uova decorate dall’orafo Peter Carl Fabergè. Gli altri come dono augurale si limitavano all’uovo  sodo decorato, poi venne diffuso quello di cioccolato, ormai diventato in Italia un affermato prodotto commerciale della tradizione pasquale. 

Oltre ai tre citati simboli pasquali ci sono localmente altri cibi simbolici che vengono preparati per la Pasqua. Ne indico alcuni a me noti.

A Napoli è famosa la “pastiera”: dolce di pastafrolla, ricotta, uova e grano.  Si narra che furono le monache del monastero  di San Gregorio Armeno ad ideare questo simbolico dolce pasquale per celebrare la risurrezione di Gesù .
Altri dolci tradizionali nella regione Campania sono il “casatiello” ed il “tortano”: hanno la forma di ciambella, vuota al centro, per ricordare la corona di spine messa sul capo di Gesù Cristo. 
ll casatiello ha degli ingredienti in più del tortano. Oltre ad avere le uova sode dentro l’impasto, ce le ha pure fuori: quattro o più, complete di guscio, incastonate nella ciambella, ma in modo che la loro parte superiore rimanga visibile.

In provincia di Chieti un dolce tipico del periodo pasquale è il “fiadone”, a base di ricotta e formaggio grattugiato. Ci sono anche i mostaccioli, le pupe (per le bambine), i cavallucci (per i bambini), i cuori per gli innamorati.

"fiadone"


"mostaccioli"


"pupa"



"cavalluccio"

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #56 il: Aprile 15, 2014, 11:48:59 »
Lunedì dell’angelo

Il “Lunedì dell’angelo” è anche denominato lunedì di Pasqua o Pasquetta.  E’ un giorno festivo, ma non di precetto per i cattolici. Questa festività fu introdotta dal Parlamento italiano nel 1949 per allungare il periodo pasquale, così come avvenuto per il periodo natalizio con il 26 dicembre.

Nel “Vangelo del giorno” la Chiesa cattolica commemora l'incontro dell'angelo o degli angeli con le donne giunte al sepolcro di Gesù, dove vengono informate dagli esseri celestiali della risurrezione del loro messia (At 2, 14 – 32) e ricevono l’ordine di annunciare ai discepoli lo straordinario evento. 

Ci sono discordanze fra gli evangelisti sul numero degli angeli.

L’evangelista Marco narra che Salome, Maria di Magdala e Maria di Giacomo acquistarono gli oli aromatici per imbalsamare il corpo di Gesù, e che la domenica mattina si recarono al suo sepolcro, dove videro  un giovane, seduto sulla destra della tomba, vestito d’una veste bianca. Era l’angelo inviato dal Signore per annunciare loro che Gesù Nazareno è risorto (16, 1 ss).

L’evangelista Matteo (28, 1- 10) racconta che le donne erano due: “Maria di Magdala e l’altra Maria” e che  “un angelo del Signore” scese dal cielo. “Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve”. L’angelo disse alle donne: “Non è qui. E’ risorto, come aveva detto” (28, 1 – 6). 

Luca, invece, non dice  quante donne erano, ma si limita a dire che le donne venute con Gesù dalla Galilea ( 23, 55), il primo giorno dopo il sabato si recarono  alla tomba per ungere il corpo di Gesù con gli oli profumati, ma trovarono il sepolcro vuoto. Apparve loro due uomini “in vesti sfolgoranti” che dissero: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo ? Non è qui, è risuscitato” (24, 1 ss).  Questo evangelista aggiunge che fra le donne c’erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo, e non cita Salome (24, 1 ss).
   
Giovanni cita soltanto Maria di Magdala come donna che si era recata al sepolcro “e vide due angeli  in bianche vesti” (20, 11 – 13). 

Dal sacro al profano.

Se le condizioni del tempo sono buone la Pasquetta viene usata per la gita o la conviviale all’aperto.



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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #57 il: Aprile 17, 2014, 07:26:03 »
Ottava di pasqua (Octava Paschae)

L'Ottava di Pasqua è costituita dagli otto giorni che seguono la Pasqua, compresa la domenica di risurrezione.

L’apparizione di Gesù l’ottavo giorno dalla risurrezione contribuì alla formazione dell’ottava di Pasqua (vedi Gv 20, 26),  ma l’usanza di prolungare la festa di Pasqua deriva dalla Pasqua ebraica che dura otto giorni, sette in Israele.  Quest’anno  la festività di Pesach è dal 15 al 22 aprile 2014, in parte si sovrappone alla Pasqua cristiana, che cade il prossimo 20 aprile.
 
Seguendo l’uso ebraico la Chiesa cattolica considera come un unico giorno di festa  la settimana che va dalla domenica di Pasqua alla domenica successiva,  detta “domenica in albis”.

Nel periodo paleocristiano l’”ottava di Pasqua” finiva il sabato, ma nel VI secolo, durante il pontificato di Gregorio I, detto Gregorio Magno, fu prolungata fino alla “Dominica post Albas”, successivamente denominata “Dominica in albis”.
 
L'espressione “Ottava di Pasqua” indica anche  l'ultimo giorno dell'ottava (“Octava dies”),  di solito detto  “seconda domenica di Pasqua” o “Domenica in albis”, perché nei primi secoli della Chiesa il battesimo veniva impartito durante la Messa della “veglia pasquale” nella notte di Pasqua ed i battezzandi indossavano una tunica bianca, che portavano per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, perciò detta “domenica in cui si depongono le bianche vesti”, “in albis vestibus”.   

Dall'anno 2000 per volontà del Papa Giovanni Paolo II, durante la domenica in albis la Chiesa cattolica celebra la “Divina Misericordia di Dio”.

Per la Chiesa luterana l'equivalente della domenica in albis è il "Quasimodogeniti", questo nome deriva dall’antifona tratta dalla prima “Lettera di Pietro”: “Quasi modo geniti infantes, Halleluja, rationabile, sine dolo lac concupiscite” (1. Petr 2, 2). (= Come neonati bramate il puro latte spirituale”).

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #58 il: Aprile 21, 2014, 00:11:21 »
Ascensione di Gesù

Il vocabolo “ascensione” deriva dal latino “ascènsus” e significa salita, in questo caso quella al cielo di Gesù, che sarebbe avvenuta quaranta giorni dopo la sua risurrezione: 40 è il numero simbolico con cui l’Antico e il Nuovo testamento esprimono il tempo dell’attesa, del ritorno del messia, indica anche un periodo cronologico di prova, di isolamento, di purificazione.
 
Secondo l’evangelista Marco (16, 19) Gesù “fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio”. Ma Cristo ascese in cielo o fu assunto in cielo ? C’è differenza tra ascensione ed assunzione. Gesù è Dio e Figlio di Dio, parte della Trinità, va in cielo per ascensione,  per propria volontà. 

Nel linguaggio biblico  “sedere alla destra di Dio” significa condividere il potere sovrano. E Cristo instaura il suo “regno”, compimento della visione del profeta Daniele: (Il Vegliardo) “gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto” (Dn 7,14). L’affermazione che Cristo siede alla destra del Padre riprende anche l’annuncio profetico del salmo 109 (110), dove Dio stabilisce il re alla sua destra, come segno della sua potenza.

Invece l’assunzione di Maria è decisa da Dio che associa al potere sua madre,.
L'assunzione di Maria in cielo è un dogma cattolico,  il quale afferma che Maria quando morì salì in Paradiso con l’anima e con il corpo.

Luca in modo più dettagliato narra che i due discepoli che incontrarono Gesù sulla strada per  Emmaus tornarono a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli undici apostoli e gli altri che erano con loro. I due riferirono ciò che era accaduto lungo la via e che avevano riconosciuto il loro Signore nel momento in cui spezzava il pane.  E mentre essi parlavano di queste cose, Gesù apparve in mezzo a loro per dialogare. “Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo” (24, 50 – 51).     
La conclusione lucana stupisce perché dice che i discepoli erano pieni di gioia anziché essere tristi   dopo l’ascensione di Gesù che si era allontanato per sempre da loro. Si può dedurne che i discepoli non si sentivano abbandonati  da lui. Erano sicuri che Egli continuava a stare vicino a loro in diversa maniera.

La conclusione del vangelo di Luca aiuta a comprendere meglio l’inizio degli “Atti degli apostoli” in cui si narra che Gesù  “…fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo.
E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo ? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo’.
Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano” (1, 9 – 13).

La nube che accolse Gesù e lo sottrasse agli occhi dei discepoli, evoca  il momento della trasfigurazione in cui una nube luminosa si posò su Cristo e i suoi discepoli (vedi Matteo 17, 5; Mc 9 , 7; Lc 9, 34 s), ma evoca anche la nube che coprì il popolo ebraico nel deserto, accompagnandolo nel suo cammino verso la terra promessa (Es 40, 36 – 38).

Nel vangelo di Giovanni, è scritto che Gesù disse ai suoi discepoli: “Vado e vengo a voi” (14, 28). Il suo andarsene è anche vicinanza, presenza permanente.

“Ecco, io sono con voi tutti i giorni,fino alla fine del mondo”(Mt 28,20): Gesù rivolge queste parole ai discepoli dopo aver affidato loro il compito di andare nel mondo per far conoscere il suo messaggio. Con l’ascensione finisce la presenza terrena di Gesù, del “Cristo come uomo” (2 Cor 5, 16) ed inizia la sua presenza invisibile nello Spirito Santo. Per i credenti Egli è presente nell’eucarestia ed attendono il suo ritorno, la parusia.

Il luogo  dover avvenne l’ascensione di Gesù non è citato nei vangeli,  ma dalla lettura degli “Atti degli Apostoli” gli studiosi propendono per l'Orto degli ulivi, poiché  dopo l'ascensione i discepoli “ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato” (At 1, 12). E la tradizione ha consacrato questo luogo come il Monte dell'Ascensione.
 

Gerusalemme: edicola dell’ascensione


roccia dell’ascensione all’interno dell’edicola.

La festività dell'Ascensione è molto antica. La prima testimonianza è del teologo, esegeta e storico  Eusebio (265 – 340 circa).  Nel quarto secolo anche Agostino, vescovo d’Ippona, descrisse la festa dell’ascensione come solennità diffusa. 

Nel 306 durante il Concilio di Elvira (l’attuale Granada, in Spagna) fu discussa la data in cui celebrare l'Ascensione, e si decise di non commemorarla nel giorno di Pasqua, né in quello di Pentecoste, perché, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, l'ascensione di Gesù avvenne 40 giorni dopo la Pasqua, che è una festa mobile, per conseguenza varia anche la data della festività dell'Ascensione, che avviene il giovedì della sesta settimana del “tempo pasquale”: nel 2014 si celebra giovedì 29 maggio. Tale giorno è considerato festivo in alcune nazioni,  mentre in altre la ricorrenza  liturgica non  ha effetti civili, e la Chiesa cattolica posticipa la solennità  religiosa alla domenica successiva, la settima del “tempo di Pasqua”, come avviene in Italia dal 1977, anno in cui fu soppressa questa festività civile per eliminare alcuni “ponti festivi” infrasettimanali.

Nella Chiesa cattolica la festa dell'Ascensione è di precetto. Nei tre giorni che  la precedono  viene celebrato il triduo, noto anche come “rogazioni”: preghiere, atti di penitenza e processioni.
« Ultima modifica: Aprile 21, 2014, 21:33:10 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #59 il: Aprile 22, 2014, 07:16:14 »
Pentecoste: parola d’origine greca che significa “cinquantesimo (giorno)”, commemorato con riferimenti diversi sia  dalla religione ebraica sia dalla religione cristiana. 
 
Pentecoste ebraica: è denominata ”Shavu’oth”, significa “settimane” e ricorda l’esodo dall’Egitto del popolo israelita, che si diresse verso Canaan e  dopo sette settimane giunse dinanzi al monte Sinai, sul quale salì Mosé  e vi rimase 40 giorni e 40 notti, dopo i quali ricevette da Dio i cosiddetti “dieci comandamenti” detti nella Torah “assereth ha-dibberoth”, le “dieci parole”.

Gli ebrei di lingua greca diedero il nome di pentecoste alla festa di “Shavu’oth” perché cade 50 giorni dopo Pesach, la loro  Pasqua, già descritta in un precedente post.   

Nel calendario ebraico Shavu'òt è il 6 del mese di Sivan.  Nel Tanakh è chiamata "Festa della mietitura"  (Esodo 23, 16), oppure " "Festa delle primizie" (Numeri 28, 26), perché l’origine della festa è agreste.

Gli ebrei della diaspora festeggiano Shavuoth per due giorni, un solo giorno in Israele. Nel 2014  si celebrerà  il 4 e 5 giugno. La prima sera di Shavuot, 18 minuti prima del tramonto, vengono accese alcune candele,  si leggono dei versi della Torah e qualcuna delle 613 mitzvot (precetti).  Al mattino  i fedeli si recano nella sinagoga per offrire fiori al tempio e per ascoltare la lettura dei “Dieci comandamenti”.

Pentecoste cristiana: commemora la discesa dello Spirito Santo sul cenacolo degli apostoli con Maria, la madre di Gesù,  50 giorni dopo la risurrezione del loro messia.

La data è mobile perché dipende da quella pasquale e viene celebrata di domenica.

Gesù risorto, asceso al cielo, compie la promessa fatta ai discepoli di inviare lo Spirito Santo, come narrato dall’evangelista Giovanni (Gv 14, 15-16 e 23-26).

Negli “Atti degli apostoli” è scritto che “Mentre il giorno  di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.
Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi” (2, 1 – 4).

Con l’effusione dello Spirito Santo venne realizzata la promessa di Gesù al suo apostolo Pietro:  "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa,…” (Mt 16,18), la Chiesa di Cristo,  iniziata quella sera a Gerusalemme dalla  prima comunità cristiana (At 2, 42 – 48), perciò si dice che la Chiesa nacque nel giorno di Pentecoste.  I “fondatori” erano ebrei convertiti al cristianesimo che poi crearono altre Chiese locali.

(segue)