Autore Topic: da Carnevale a Pasqua  (Letto 17081 volte)

Doxa

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #30 il: Marzo 12, 2014, 11:58:37 »
L'arresto di Gesù

Perché Gesù venne arrestato ?  Per vari motivi. Per i miracoli da lui compiuti: la resurrezione di Lazzaro, la guarigione del paralitico nella piscina probatica, ecc.), per la cacciata dei profanatori dal tempio, per la sua predicazione ed il fermento che aveva provocato nei giorni precedenti la Pasqua ebraica, per le notizie che circolavano su questo  rabbi che chiamava il popolo a prepararsi alla venuta del “regno di Dio.

In un primo tempo la comparsa di Gesù e il movimento apostolico che si stava formando intorno a lui avevano suscitato poco interesse nelle autorità del tempio. Ma la situazione cambiò la “Domenica delle palme”: l’ossequio messianico reso a Gesù durante il suo ingresso in Gerusalemme; la purificazione del tempio dai mercanti, dal bestiame e dai cambiavalute; i discorsi di Gesù nel tempio che sembravano dare alla speranza messianica di Israele una nuova forma che minacciava il suo monoteismo; il crescente afflusso di popolo verso di lui; tutti questi fatti non potevano essere ignorati. Nei giorni vicini alla Pasqua ebraica Gerusalemme era affollata di pellegrini e le speranze messianiche potevano facilmente trasformarsi in rivolta politica. L’autorità del tempio doveva tener conto della situazione e reagire.

L' arresto di Gesù è descritto nei quattro Vangeli (Matteo 26,47-56; Marco 14,43-52,15; Luca 22,47-53 e Giovanni Gv18,1-11). 

Dopo l’ultima cena Gesù e i suoi apostoli uscirono per andare verso il monte degli ulivi. Giunsero ad un podere chiamato Getsèmani (nome che deriva dall’ebraico “gath shemanim”=frantoio) ed Egli disse ai suoi discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare". E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo (Giacomo e Giovanni) cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: ‘La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me’. E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: ‘Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!’. Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: ‘Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole’. E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: ‘Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà’. E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: ‘Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina’” (Mt 26, 36 – 46)

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #31 il: Marzo 13, 2014, 12:08:12 »
/2

Secondo il racconto dei quattro vangeli quel giovedì la preghiera serale di Gesù finì quando arrivarono i militi armati, guidati da Giuda Iscariota. Mentre Egli ancora parlava con i tre discepoli (Pietro, Giacomo e Giovanni) “… arrivò Giuda, uno dei dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: ‘Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta’. Appena giunto, gli si avvicinò e disse: ‘Rabbì’ e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: ‘Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!’.
Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono.
(Mc 14, 43 – 50).

I  quattro vangeli ci consentono di distinguere le tappe verso la sentenza giuridica di condanna a morte di Cristo.

Il processo di Gesù è un evento descritto nei quattro vangeli (Matteo 26,57-27,26; Marco 14,53-15,15; Luca 22,54-23,25 e Giovanni 18,12-19,16) e sono le uniche fonti storiche riconosciute dalla Chiesa relative agli avvenimenti della Passione di Cristo.  Si nota tra i vangeli una sostanziale concordanza negli eventi narrati ma anche notevoli differenze, in particolare relativamente alla cronologia.

Come sopra detto, Gesù fu arrestato nell'orto del Getsèmani. In seguito fu interrogato da autorità politiche e religiose: dall’ex sommo sacerdote Anna,  dal sommo sacerdote in carica Caifa, dal sinedrio, dal prefetto romano Ponzio Pilato, da Erode Antipa, figlio di Erode "il Grande" e sovrano del regno di Galilea dal 4 a.C. al 39 d.C., regione della quale Gesù era originario e dove aveva svolto la maggior parte del suo ministero pubblico.

Gli interrogatori da parte delle autorità ebraiche ne stabilirono la colpevolezza per bestemmia, per essersi equiparato a Dio. La condanna capitale fu confermata da Pilato per il reato di lesa maestà, essendosi riconosciuto "re dei Giudei". La pena fu la morte tramite crocifissione.

Giovanni è l’unico fra i quattro evangelisti che ci fa sapere che fu  l’ex sommo sacerdote Anna il primo ad interrogare Gesù.
Anna (nome che corrisponde a Giovanni) ebbe la carica di sommo sacerdote dal 6 al 15. Era il suocero  di Caifa, sommo sacerdote in carica (dal 18 al 36). Aveva l’incarico religioso, ma era anche  capo del sinedrio e come tale aveva anche il potere politico e sociale.

Sebbene Anna non fosse più sommo sacerdote esercitava una forte influenza sul genero.

Nello stesso edificio dimoravano Anna e Caifa. L’antica tradizione cristiana colloca il palazzo nella zona sud-occidentale di Gerusalemme, dove attualmente c’è la chiesa cattolica di San Pietro in Gallicantu, costruita nel 1931.

L’evangelista Giovanni ci dice che: “i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno.” (18, 12 – 13).
Anna “interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: ‘Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me ? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto’. Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: ‘Così rispondi al sommo sacerdote ?’. Gli rispose Gesù: ‘Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti ?’Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote” (Gv 18, 19 – 24). 
« Ultima modifica: Marzo 14, 2014, 09:15:57 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #32 il: Marzo 14, 2014, 09:27:52 »
/3

 “…i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire. Dicevano però: ‘Non durante la festa, perché non avvenga una rivolta fra il popolo’” (Mt 26, 3 – 5).

Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco.
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: ‘Lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo’. Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: ‘Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te ?’ Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: ‘Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto ?’ Gesù rispose: ‘Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo’”
(Mc 14, 53 – 62).

Matteo, Marco e Luca divergono tra loro  circa la domanda di Caifa e la risposta di Gesù.

Secondo Marco la domanda di Caifa è: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto ?” Gesù risponde: “Io lo sono. E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza…” In questa pericope è da notare che il nome di Dio e la parola “Dio” vengono evitati e sostituiti con le espressioni “il Benedetto” e “la Potenza”, perché il  settimo comandamento del decalogo dato da Dio a Mosé sul monte Sinai dice di non nominare il nome di Dio invano: “Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano”. (Esodo). Inoltre, il sommo sacerdote interroga Gesù circa la sua messianicità e la definisce secondo il salmo 2, 7 con l’espressione “Figlio del Benedetto”, “Figlio di Dio”. Si suppone che Caifa nel fare tale domanda non si sia soltanto attenuto a tradizioni teologiche, ma che l’abbia formulata in base all’annuncio di Cristo.   

Dopo la risposta di Gesù il sommo sacerdote Caifa disse: “‘Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?’. Tutti sentenziarono che era reo di morte.
Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: ‘Fa’ il profeta!’. E i servi lo schiaffeggiavano.
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: ‘Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù’. Ma egli negò, dicendo: ‘Non so e non capisco che cosa dici’. Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: ‘Costui è uno di loro’. Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo’. Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: ‘Non conosco quest’uomo di cui parlate’. E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: ‘Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai. E scoppiò in pianto.”
(Mc 14, 63 -72).

Il canto del gallo veniva considerato come la fine della notte e l’inizio del giorno.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #33 il: Marzo 14, 2014, 09:48:04 »
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Prosecuzione dell’interrogatorio a Gesù dal sinedrio, questo sostantivo deriva dal greco “synedrion” e  dal latino “synedrium”: significa "consesso", “sedersi insieme”.  Il sinedrio di Gerusalemme o “Gran sinedrio” (c’erano anche i sinedri locali con giurisdizione limitata) era il consiglio supremo di Israele, aveva poteri politici e religiosi, competenze legislative (poteva emanare leggi), giudiziarie (come supremo tribunale) ed esecutive (disponeva di una propria forza armata).  Era composto da 70 persone (71 con il sommo sacerdote), in prevalenza Sadducei e Farisei.
Il sinedrio si radunava nel tempio ed era presieduto dal sommo sacerdote.
Era suddiviso in tre classi: 
1) gli ex sommi sacerdoti e l'alto clero;
2) gli "anziani", cioè i capi politici;
3) gli "scribi", ossia i "dottori della legge".

Al tempo di Gesù il sinedrio era condizionato nella sua attività dalla potenza occupante romana. Non aveva il diritto di ordinare le condanne a morte, in quanto  lo ius gladii (= diritto della spada) spettava al solo governatore romano.

L’evangelista Luca dice che “In quel tempo gli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi, dissero al Signore Gesù: ‘Se tu sei il Cristo, dillo a noi’. Rispose loro: ‘Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma d’ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio’. Allora tutti dissero: ‘Tu dunque sei il Figlio di Dio?’. Ed egli rispose loro: ‘Voi stessi dite che io lo sono’” (22, 67 – 70).   
 
Ma la messianicità rivendicata da Gesù ha lo stesso significato che incontriamo in Giovanni: "Il mio regno non è di questo mondo” (18, 36).

Nella perplessità del sinedrio su ciò che conveniva fare di fronte al pericolo causato dal movimento creatosi intorno a Gesù, il sommo sacerdote Caifa disse: "Non vi rendete conto che è conveniente per voi  che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera” (Gv 11, 50).

L’interrogatorio di Gesù dal sinedrio si concluse con la dichiarazione di colpevolezza, perché aveva violato la Torah:  era colpevole di bestemmia, un reato per il quale era prevista la pena di morte. Ma siccome il potere di infliggere la pena capitale era riservato ai Romani, il processo doveva essere trasferito davanti al governatore Ponzio Pilato per evidenziare anche l’aspetto politico della sentenza di colpevolezza. Gesù si era dichiarato Messia, aveva quindi preteso la regalità messianica, considerata reato politico, che dalla giustizia romana doveva essere punito.

Gesù venne condotto al pretorio e presentato a Pilato:   “…al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato” (Mc 15, 1).
« Ultima modifica: Marzo 14, 2014, 09:51:30 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #34 il: Marzo 14, 2014, 14:30:19 »
Per secoli la Chiesa cattolica ha accusato gli Ebrei di “deicidio” perché considerati colpevoli di aver fatto morire in croce Gesù Cristo, ritenuto  “Dio”. E dal VII secolo la locuzione latina “Oremus et pro perfidis Judaeis” ha risuonato nelle chiese durante le preghiere ” per la conversione  al cristianesimo dei credenti la religione ebraica.
 
L''accusa di deicidio espose  il popolo ebraico alle persecuzioni, le discriminazioni, la diaspora, le uccisioni di massa. La Chiesa cattolica ed anche i protestanti Martin Lutero e Giovanni Calvino furono antisemiti. L’astio nei confronti degli ebrei si realizzò con le vessazioni, l’insegnamento del disprezzo nei loro confronti, l’Inquisizione, i pogrom, ecc.. Ma dopo la Shoà ci fu il “ravvedimento” di una parte delle confessioni cristiane, compresa quella cattolica ed ortodossa.

Dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563) , l'uso della famigerata locuzione venne mantenuto solo nella liturgia del Venerdì Santo, nella preghiera che segue la lettura del Vangelo della Passione di Gesù. Questo è il testo che era presente nel messale romano: “Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum.
Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur”.
Traduzione: “Preghiamo anche per i perfidi Giudei; affinché il Signor Dio nostro tolga il velo dai loro cuori; affinché anch’essi riconoscano Gesù Cristo Signor nostro. Dio onnipotente ed eterno, il quale non rigetti dalla tua misericordia neppure i perfidi Giudei, esaudisci le nostre preghiere che ti rivolgiamo a riguardo della cecità di quel popolo; affinché riconosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano sottratti alle loro tenebre. Per il Signore”.

Il significato della parola perfidis è controverso. Nel latino classico può indicare sia una persona malvagia, come tuttora in italiano, sia un individuo infido, traditore. Ma “foedus” significa anche patto, alleanza,  e perfidus può indicare etimologicamente chi non rispetta i patti. Nel latino ecclesiastico, quindi, la perfidia sembrò essere parola adatta per indicare l'incredulità degli ebrei, che secondo i cristiani non avrebbero riconosciuto in Cristo la realizzazione di oltre 300 profezie presenti nella Bibbia ebraica, ma di cui gli ebrei davano (e danno) un'interpretazione diversa. Anche nel latino medievale  la perfidia non perse  il significato offensivo.

I vocaboli  "perfidis" e "perfidiam" furono aboliti dalla preghiera del Venerdì santo per iniziativa di papa Giovanni XXIII: nel 1959 le fece togliere durante la celebrazione presieduta da lui stesso.

Nel 1962 furono eliminate con la riforma del messale ed il testo dell'orazione divenne quest: “Oremus et pro Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum.
Omnipotens sempiterne Deus, qui Judaeos etiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur
”.

La versione del 1962 eliminò le parole considerate più offensive, ma mantenne il riferimento alle tenebre.

Il 28 ottobre 1965 il pontefice Paolo VI promulgò  il decreto "Nostra aetate" (Il nostro tempo) contenente la “Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”, voluta dal Concilio Vaticano II.  Nella parte riguardante la religione ebraica si dice  che il popolo del Nuovo Testamento (i cristiani) è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo (gli israeliti). 
La Chiesa cattolica ricorda che Gesù ed i suoi apostoli nacquero dal popolo ebraico e che il patrimonio spirituale  è comune a cristiani e ad ebrei.
Contro la tradizionale accusa di “deicidio” rivolta per secoli  dalla Chiesa contro i “perfidi giudei”, il Concilio Vaticano II  afferma:   “E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua Passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.
E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.”


La consapevolezza di avere un patrimonio comune a entrambe le religioni ha messo in secondo piano quelle differenze nella conoscenza della verità cristiana, che sono ricordate con la metafora delle tenebre.

Nel 1970, quando papa Paolo VI introdusse la  celebrazione della Messa nella lingua nazionale, la preghiera fu modificata nel modo seguente: “Il Signore Dio nostro, che li scelse (gli Ebrei) primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza. Dio Onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della Redenzione”.

Sulla responsabilità effettiva per la crocifissione e morte di Gesù ci sono due interpretazioni da parte degli studiosi. Per alcuni il procedimento penale davanti alla massima autorità giudaica, il sinedrio, fu intenzionalmente connotato in senso politico per favorirne l’accettazione  dal tribunale romano, l’unico che poteva emettere sentenze capitali. Si tratterebbe, quindi, di una responsabilità effettiva del sinedrio. Per altri, invece, l’organo giudaico istruì solo la causa penale, sostenendo la qualità politica della predicazione e dell’operato di Gesù, perché tale era il convincimento del sinedrio e tale era l’interpretazione data dalla folla. Il tribunale romano, competente in materia, emise la sentenza di morte per Gesù, della quale ebbe la completa responsabilità giuridica e morale.

Si è obiettato che nel trattato “Sanhedrin”, che raccoglie le norme giudaiche antiche riguardo al sinedrio, i processi capitali dovevano essere trattati solo in seduta diurna e nell’aula sinedriale detta “della pietra squadrata”. Perciò la sentenza di quella notte, nel palazzo di Caifa, sarebbe illegale ed invalida. Tuttavia l’evangelista Luca evidenzia che “appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, coi sommi sacerdoti e gli scribi e condussero Gesù davanti al Sinedrio” (Lc 22, 66).

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #35 il: Marzo 17, 2014, 09:16:34 »
Venerdì santo

L’evangelista Luca narra che “Appena fu giorno (venerdì), si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero: ‘Se tu sei il Cristo, diccelo’. Gesù rispose: ‘Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio’.
Allora tutti esclamarono: ‘Tu dunque sei il Figlio di Dio ?’ Ed egli disse loro: ‘Lo dite voi stessi: io lo sono’. Risposero: Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza ? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca’. (22, 66 – 71).
“Tutta l’assemblea si alzò, lo condussero da Pilato (nella fortezza Antonia, vicina al tempio ebraico ) e cominciarono ad accusarlo: ‘Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re’” (23, 1 - 2).

Gesù fu considerato colpevole di bestemmia, un reato per il quale era prevista la pena di morte. Ma il potere di infliggere la pena capitale era riservato ai Romani, perciò  il processo doveva essere trasferito davanti a Pilato. La rivendicazione da parte di Gesù della regalità messianica era un reato politico, che dalla giustizia romana doveva essere punito.

Nella descrizione dell’andamento del processo i quattro vangeli concordano nei punti essenziali. Ma  Giovanni è l’unico che riferisce il colloquio tra Gesù e Pilato, durante il quale viene esaminata la questione circa la regalità di Gesù (18, 33 – 38)
Ma chi erano gli accusatori ? Chi ha insistito per la condanna a morte di Gesù ? Nelle risposte dei vangeli ci sono delle discordanze. Secondo Giovanni sono i “Giudei”. Ma questa espressione non significa il popolo d’Israele. In Giovani tale espressione designa l’aristocrazia del tempio (7, 50 ss).

Alcuni studiosi preferiscono la versione giovannea, anche perché presumono improbabile che il processo si sia svolto di notte. Secondo Giovanni la riunione del sinedrio per condannare Gesù  si tenne nella “Domenica delle palme” e non in sua presenza: durante questa riunione i sacerdoti decisero di punirlo con la morte, mentre dopo l'arresto avvenne solo un interrogatorio da parte del sommo sacerdote prima di condurlo, all'alba, da Pilato.

Quel venerdì era il giorno della Parasceve (Gv 19, 14),  cioè della preparazione delle cose necessarie per la festa di Pasqua: nel pomeriggio dovevano essere immolati gli agnelli per il banchetto serale e si esigeva la purezza rituale, perciò i sacerdoti accusatori non dovevano accedere nel pretorio pagano;  parlarono con il governatore romano davanti l’edificio.

 “Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: ‘Che accusa portate contro quest’uomo ?’ Gli risposero: ‘Se non fosse un malfattore , non te l’avremmo consegnato?. Allora Pilato disse loro: ‘Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge !’
Gli risposero i Giudei: ? A noi non è consentito mettere a morte nessuno’”(Gv  18, 29 – 31).

“ Pilato allora rientro nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: ‘Tu sei il re dei Giudei’. Gesù rispose: ‘Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto ?’ Pilato rispose: ‘Sono io forse Giudeo ? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto ?’ Rispose Gesù: ‘Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù’. Allora Pilato gli disse: ‘Dunque tu sei re ?’ Rispose Gesù: ‘Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo; per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la  mia voce’. Gli dice Pilato: ‘Che cos’è la verità ?’
E detto questo usci di nuovo verso i Giudei e disse loro: ‘Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei ?’ Allora essi gridarono di nuovo: ‘Non costui, ma Barabba !” Barabba era un brigante. (Gv 18, 33 – 40).
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: ‘Salve, re dei Giudei !’ E gli davano schiaffi.
Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: ‘Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa’. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: ‘Ecco l’uomo !’. Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: ‘Crocifiggilo, crocifiggilo !’. Disse loro Pilato: ‘Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa’. Gli risposero i Giudei: ‘Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio’. (Gv  19, 1 – 7)

Secondo Luca il governatore romano Ponzio Pilato domandò a Gesù: “Sei tu il re dei Giudei ?” Ed egli rispose: ‘Tu lo dici’.
Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: ‘Non trovo nessuna colpa in quest’uomo’. Ma essi insistevano: ‘Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui’.
Uditò ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode (Antipa) lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo  fatto da lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli  rispose nulla. C’erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza.
Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato.  (23, 3 – 11).   
Luca aggiunge: “Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: ‘Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo; ecco, l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò’.  Ma essi si misero a gridare tutti insieme: ‘A morte costui ! Dacci libero  Barabba !’ Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: ‘Crocifiggilo, crocifiggilo !’. Ed egli, per la terza volta, disse loro: ‘Ma che male ha fatto costui ? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò’.
Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano.
Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio  e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.” (23, 13 – 25).

Per l’evangelista Marco il gruppo degli accusatori facevano parte del sinedrio e nel contesto dell’amnistia pasquale si associò ad essi la “massa” dei sostenitori di Barabba. Invece i seguaci di Gesù per paura rimasero nascosti.

Secondo Giovanni l’interrogatorio di Gesù da parte di Pilato si concluse "verso mezzogiorno", ma per i sinottici il processo davanti all'autorità romana fu più breve.
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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #36 il: Marzo 18, 2014, 07:47:54 »
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La regalità che Gesù  rivendicava era quella del regno di Dio,  che non minacciava il potere costituito dell’impero romano ma quello del sinedrio, perciò Pilato presenta Gesù come candidato per l’amnistia pasquale, cercando in questo modo di liberarlo.

Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) nel suo libro “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione”, evidenzia che chi viene proposto come candidato per l’amnistia è di per sé già condannato, e Gesù ancora non era stato condannato in modo definitivo. Se alla folla spetta il diritto di scelta tramite acclamazione, allora dopo il suo pronunciamento è da considerare come condannato colui che essa non ha scelto. In questo senso nella proposta per la liberazione tramite amnistia è tacitamente inclusa la condanna.

Il confronto tra Gesù e Barabba ed il significato teologico di tale alternativa. L’evangelista Giovanni qualifica Barabba un “brigante” (18, 40), ma nel contesto politico di allora la parola greca da lui usata aveva anche il significato di “terrorista”, oppure di “combattente della resistenza”. Che questo fosse il significato inteso è evidente nel racconto di Marco: “Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio” (15, 7).

Il nome “Barabba” significa “figlio del padre”. Anche costui era considerato un individuo messianico, ma tra Gesù e lui Pilato preferisce salvare  Cristo, esaltato ma non violento. Però la folla e l’aristocrazia del tempio vogliono un’altra soluzione.
Giovanni dice: “Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare” (19, 1). La flagellazione era la punizione che nel diritto penale romano veniva inflitta come castigo concomitante la condanna a morte. Ma in Giovanni la flagellazione appare come un atto posto durante l’interrogatorio. Il condannato veniva flagellato dagli aguzzini finché la carne diventava come brandelli sanguinanti.

Il "terzo atto" è  raccontato dall’evangelista Matteo in questo modo: “Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio  e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto (perché sanno che egli pretende di essere re) e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella (mano) destra (come simbolo dello scettro regale); poi, mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: ‘Salve re dei Giudei !’. E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo.
Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo” (27, 27 – 31). 

Ecce homo” (Gv 19, 5). Ecco l’uomo !: è la frase che Ponzio Pilato ha rivolto ai Giudei nel momento in cui ha mostrato loro  il flagellato Gesù nella sua umanità ma anche la disumanità del potere verso l’impotente.  "Ecce Homo": come se Pilato volesse dire: "Eccovi l'Uomo, vedete che l'ho punito?" Ma la pena inflitta non fu considerata sufficiente,  il sinedrio lo voleva morto e lo fece crocifiggere.
     
Come già detto in alri post,  le motivazioni che indussero le autorità religiose ebraiche a decidere la morte di Gesù furono molteplici:

le ricorrenti contestazioni di Cristo ai Farisei che rappresentavano le autorità religiose nelle sinagoghe in Palestina; criticò pubblicamente la loro ipocrisia chiamandoli "ciechi e guide di ciechi" (Mt15,14), "serpenti e razza di vipere" (Mt23,33) e rivolgendo loro il celebre epiteto ingiurioso di "sepolcri imbiancati" (Mt23,27).

Anche i Sadducei, classe sacerdotale aristocratica che gestiva il culto e gli affari economici del tempio di Gerusalemme, furono oggetto delle critiche di Gesù che li accomunò ai Farisei (Mt16,6;22,29). L'apice di questo scontro fu l'episodio della cosiddetta purificazione del tempio.

Gesù violò in alcune occasioni il precetto del riposo sabbatico (Mt12,11-13pp.;Gv5,9;9,14-16), l'astensione da attività lavorative il sabato, attirandosi le critiche dei Giudei (Gv5,16).

Il movimento originato da Gesù avrebbe potuto sconvolgere l'equilibrio politico nei rapporti tra gli occupanti Romani e  la classe aristocratica sadducea.

Oltre a proclamarsi messia, fatto non punibile per morte, Gesù si pone allo stesso livello di Dio: è questo il motivo formale che permette al sinedrio di decretarne la morte per bestemmia (Gv 11, 47 - 48).

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #37 il: Marzo 19, 2014, 06:50:54 »
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Dopo averlo fatto flagellare, Pilato abbandonò Gesù alla volontà popolare che lo voleva morto sulla croce: “Crocifiggilo, crocifiggilo !” (Lc 23, 21).

Cristo, come altri condannati alla morte in croce a Gerusalemme,  fece il tragitto di circa 700 metri dal pretorio nella fortezza Antonia al luogo delle esecuzioni sul Golgota, situato fuori dalla cinta muraria urbana dell’epoca.

Per immaginare realisticamente il trasferimento di Gesù è importante dimenticare l’iconografia che lo  rappresenta mentre trascina una pesantissima croce. Egli portava sulle spalle solo il ”patibulum”, il braccio trasversale della croce, che poi veniva affisso con lunghi e grossi chiodi allo “stauros” (detto anche stipes), che è il palo di legno verticale conficcato nel terreno su quel dosso denominato Golgota in lingua aramaica, tradotto nella lingua latina col lemma “Calvarium”, che significa “luogo del cranio”, forse  per la forma di quello sperone roccioso, ormai inglobato nella basilica del Santo Sepolcro. 


Gesù ha le braccia legate sul patibulum che sorregge sulle spalle.

Durante il cammino “incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prendere su di sé la croce di lui" (Mt 27, 31-32). Anche l’evangelista Marco (15, 21)  dice che Simone portò la croce (il solo patibulum) nella strada che è nella “città vecchia” ed è denominata dai cristiani la “via dolorosa”, ipotizzata circa due secoli fa e comunque i resti di quella originale è sepolta alcuni metri sotto l’attuale livello stradale.

Gesù era accompagnato da un corteo di persone, fra le quali un centurione romano che aveva l’incarico di ”exactor mortis”, cioè responsabile della morte sulla croce di Cristo, condannato al ”supplicium”, la pena riservata a schiavi e rivoluzionari antiromani. C’erano anche quattro soldati  di scorta armati di lancia e la folla di curiosi. 

I condannati a morte di solito arrivavano stremati nel luogo dell’esecuzione, perché venivano in precedenza sottoposti alla tortura col flagello, il  flagrum,costituito da un manico al quale erano legate delle strisce di cuoio, alle cui estremità c’erano palline di piombo o punte metalliche acuminate.

Le antiche descrizioni narrano che molti morivano durante la flagellazione, perché il corpo veniva lacerato dalle sferzate.


Per ignoranza o falsità dei clerici, per secoli  alle inconsapevoli popolazioni fu fatto credere, anche tramite i dipinti, che la croce portata da Gesù era composta dal patibulum già affisso sullo stauròs.  Ciò è possibile ? Il palo doveva essere lungo all’incirca quattro metri e mezzo compresa la parte che doveva essere interrata sul Golgota; il suo peso era di circa 180 chili, a seconda del tipo di legno. E' in grado una persona normale portare e non trascinare tale croce sulle proprie spalle? No ! Se  la croce viene trascinata gran parte del suo peso grava sull'estremità che struscia sulla strada e  l'attrito col terreno rende la croce ancora più pesante, quasi impossibile per un individuo. In realtà lo stauròs era e rimaneva sul luogo dell'esecuzione per essere riutilizzato ed il condannato portava sulle spalle soltanto il “patibulum”, di circa due metri ed il peso medio di 40 kilogrammi.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #38 il: Marzo 20, 2014, 00:19:40 »
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Un’altra bugia propagandata dalla Chiesa e dal  clero ha attraversato i secoli approfittando della credulità popolare e dell’enorme analfabetismo diffuso fino alla prima metà del secolo scorso.

La bugia cui mi riferisco riguarda Veronica (questo nome significa “vera immagine”: da “ver + icona –iconica), la donna che, secondo la leggendaria tradizione,  con un velo  asciugò il volto di Gesù, intriso di sudore e di sangue, mentre Egli andava verso il Golgota.

Su quel panno di lino, detto il “velo della Veronica” sarebbe rimasta l’impronta del viso di Gesù, ma tale fatto non è citato nei Vangeli, però quella stoffa è considerata “reliquia cristiana”, una delle tante del  fiorente commercio delle reliquie in Europa. Il possesso dell’originale “velo della Veronica” è vantato da numerose località:

un'immagine è conservata presso la basilica di san Pietro in Vaticano, altre sono: nel Monastero dei Ss. Cosma e Damiano in Tagliacozzo (Aq); nella Cappella Matilde in Vaticano; nel Palazzo Hofburg, a Vienna; nel Monasterio de la Santa Faz, ad Alicante, in Spagna, ed un'altra ancora in Spagna, nella cattedrale  di Jaén; nella chiesa di san Bartolomeo degli Armeni, a Genova; a Manoppello (prov. di Pescara) nel santuario del Volto Santo.

L’1 settembre  del 2006 papa Benedetto XVI si recò in visita nel santuario del “Volto Santo” a Manoppello, accolto dal vescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, dai vescovi della Regione ecclesiastica Abruzzo-Molise, dai sacerdoti della diocesi teatina e da 7000 fedeli. In questo santuario quel pontefice venerò l'immagine, ma senza dire nulla sulla veridicità o meno dell’icona su tela. E’ comprensibile, la Chiesa cattolica per sopravvivere non può smentire ciò che per secoli ha fatto credere come vera.
   
La leggenda della Veronica fece la sua comparsa in un testo apocrifo facente parte del cosiddetto “ciclo di Pilato”, che  comprende  alcuni scritti apocrifi di varia datazione: lettere, relazioni, tradizioni e racconti riguardanti Ponzio Pilato.
Nel racconto riguardante la “morte di Pilato” si narra che “l’imperatore Tiberio è affetto da una grave malattia e, avendo sentito parlare di un medico di nome Gesù, lo fa chiamare. Un suo dipendente di nome Volusiano si reca da Pilato che gli dice di averlo crocifisso, essendo un malfattore. Volusiano incontra poi la Veronica che gli parla di un panno da lei dato a Gesù mentre stava predicando e sul quale era rimasto impresso miracolosamente il suo volto. Veronica va a Roma e mostra a Tiberio il panno che guarisce istantaneamente. Tiberio ordina l'arresto e la condanna a morte di Pilato che si uccide accoltellandosi. Il suo corpo è gettato nel Tevere, poi nel Rodano a Vienne e quindi è portato a Losanna”.

Sono queste cose assurde propagandate per secoli come vere a ritorcersi contro la Chiesa. La costringono a dare spiegazioni e non sapendo cosa dire o per non ammettere di aver diffuso bugie si appella ai misteri di fede. Ma così facendo allontana molte persone, specie i giovani, che la domenica preferiscono frequentare i centri commerciali anziché partecipare alla Messa, ripetitiva e noiosa.

L’inesistente Veronica che asciuga il viso a Gesù  è venerata come santa dalla Chiesa cattolica.   









« Ultima modifica: Marzo 23, 2014, 15:17:38 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #39 il: Marzo 21, 2014, 00:07:53 »
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Quando i condannati alla crocifissione erano più di uno venivano legati fra di loro e  venivano legate fra di loro le estremità destre di tutti i patiboli. Ogni condanna¬to poi oltre ad avere l'estremità sinistra del suo pati¬bolo legata al proprio piede sinistro, l'aveva anche legata al piede destro del condannato che precedeva.



Sul luogo dell’esecuzione il condannato veniva inchiodato o legato sul patibulum. 



Poi la trave orizzontale insieme al corpo del condannato venivano sollevati con le funi   e collocati sullo stauros o stipes, la trave verticale, già infissa al suolo. La fase successiva era l’inchiodatura dei piedi. 



 


L’evangelista Luca ci fa sapere che “Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra” (23, 33).

Secondo i vari vangeli Gesù sulla croce disse sette frasi:

la prima fu la richiesta di perdono per coloro che lo trattavano in modo ignobile: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34).

A Maria, sua madre, disse:  “Donna, ecco tuo figlio”. E al discepolo Giovanni: “Ecco tua madre” (Gv 19, 26 – 27).

Al malfattore pentito, crocifisso accanto a lui: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 43).

“Elì, Elì, lema sabactani ? (= Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?” (Mt 27, 46; salmo 22, 2).

“Ho sete !” (Gv 19, 28).

“Tutto è compiuto !” (Gv 19, 30).

“Padre, alle tue mani affido il mio spirito” (Lc 23, 46; salmo 31, 6).
 
Gesù ebbe sete e gli diedero da bere la “posca”, bevanda di vino blandamente anestetica, miscelata con fiele,  o, come dice Marco, con la mirra; Egli l’assaggiò ma non la volle bere. 
La posca nell’antica Roma era un’economica bevanda  dissetante e disinfettante ottenuta miscelando acqua e aceto.
 


Gli evangelisti raccontano che i quattro soldati incaricati della morte di Gesù si divisero le sue vesti tirandole a sorte, come previsto dall’usanza romana, secondo cui le vesti del giustiziato spettavano al plotone d’esecuzione.

“E sedutisi, gli facevano la guardia”  (Mt 27, 36) durante la sua agonia.

Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: ‘Questi è Gesù, il re dei Giudei’.

Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: ‘Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso ! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce’. Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: ‘Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. E’ il re di Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuole bene. Ha detto infatti: ‘Sono Figlio di Dio !’. Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo” (Mt 27, 32 – 44).   Ma uno dei due intuisce il “mistero” di Cristo e lo prega: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23, 42). La risposta di Gesù va oltre la richiesta. Al posto di un futuro indeterminato pone ilo suo “oggi”: “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 43). Così nella storia della devozione cristiana il cosiddetto “buon ladrone” è diventato l’immagine della speranza, della consolazione della misericordia di Dio   
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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #40 il: Marzo 21, 2014, 07:03:32 »
Gesù crocefisso con i due ladroni. Allora dovevano essere tre, visto che Barabba fu lib erato?

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« Risposta #41 il: Marzo 21, 2014, 07:50:21 »
Citazione
Gesù crocefisso con i due ladroni. Allora dovevano essere tre, visto che Barabba fu liberato?

Secondo i vangeli Barabba non era un ladro, ma un “sovversivo” e/o assassino che si opponeva al potere dei Romani in Palestina.
I vangeli ci raccontano solo di “Bar – abbà” (= figlio del padre) e dei due ladroni come contorno alla drammatica Passione di Jesus, ma quel giorno i giudicati alla “summa supplicia” forse furono di più.
Nel diritto romano la locuzione “summa supplicia” indicava le pene capitali eseguite con modalità atroci, come la “damnatio in crucem”: il supplizio della crocifissione.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #42 il: Marzo 21, 2014, 08:02:48 »
vorrei aggiungere una cosa nata dal fatto che io atea un  giorno mi sono chiesta chi fosse in realtà Gesù. Lessi allora La vita di Gesù, scritta da Renan, cardinale poi scomunicato per questo libro, tra l'altro pure noioso, ma che alla fine mi ha fatto innamorare di Gesù, un modernissimo figlio dei fiori.
Insomma, alla fine, secondo Renan, Barabba e Gesù erano nomi comunissimi e vuole il caso che anche Gesù si chiamasse di secondo nome Barabba.
Quando il popolo chiese di liberare Barabba, fu liberato il ladrone, ma il popolo intendeva Gesù Barabba.
Vi immaginate dunque se Gesù fosse stato liberato? Il cristianesimo non sarebbe esistito, il ragazzo sarebbe stato un ragazzo qualunque un poco sfigato, un poco sovversivo, un poco innovatore, ma...non il figlio di Dio. Credo dunque che il disegno di Dio ( se mai ci fu un disegno) potesse compiersi solo con la morte di Gesù, con questa chiusura del cerchio. Se così fu, fu il vero miracolo, il vero sacrificio.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #43 il: Marzo 22, 2014, 00:35:07 »
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L’evangelista Giovanni ci riferisce che “I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: ‘Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca’
Così si adempiva la Scrittura: ‘Si son divise tra loro le mie vesti / e sulla mia tunica ha gettato la sorte.’ (salmo 22, 19; numerazione greca: salmo 21).

Matteo invece  narra che quel venerdì “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra (27, 45). Anche in questo caso, e come al solito, l’evangelista cerca appigli inesistenti  nei profeti dell’Antico Testamento. Infatti il profeta Amos scrisse: “In quel giorno farò tramontare il sole a mezzogiorno…” (8, 9).

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava (l’evangelista ed apostolo Giovanni) disse alla madre: ‘Donna, ecco il tuo figlio !’. Poi disse al discepolo: ‘Ecco la tua madre !’. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: ‘Elì, Elì, lemà sabactani ?’ che significa “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?” ( Mt 27, 46; Mc 15, 34).

Come poteva il Figlio di Dio essere abbandonato da Dio ?  Nel suo grido Gesù usa l’incipit del salmo 21 (il 22 nella numerazione greca usata dalla Chiesa cattolica):   “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? / Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido ! / Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; / grido di notte, e non trovo riposo”.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: ‘Ho sete’ (salmo 21, 16). L’evangelista Giovanni dice che “Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca (19, 30).  Invece secondo Matteo  “E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: ‘Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo !’ (27, 48 – 50).

Perché dissero: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo !”

Chi era Elia ?  Nella tradizione ebraica è il profeta assunto in cielo per essere in comunione con Dio (2 Re 2, 1 – 13) e che tornerà per annunciare l’arrivo del messia ed il giudizio finale. Perciò nella cena pasquale ebraica, l’haggadah di Pesach, si usa mettere in tavola il cosiddetto “calice di Elia”, tenuto colmo perché si spera che egli venga a comunicare l’arrivo del Messia attraverso la porta di casa lasciata socchiusa.

Quando Gesù in croce grida la prima frase del salmo 22 in una mescolanza di lingua ebraica ed aramaica “”Elî, ’Elî, lemâ sabactanî, la folla che assiste confonde quell’’Elî, ’Elî come un’invocazione rivolta al profeta protettore dei moribondi. Secondo gli evangelisti Matteo e Marco le persone circostanti la croce di Gesù non compresero l’esclamazione di Gesù e l’interpretarono come un grido verso Elia anziché come grido d’angoscia per l’assenza di Dio o per il suo nascondimento.

E dopo  aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: ‘Tutto è compiuto !’ E, chinato il capo, spirò” (Gv 19, 30).

E Gesù, emesso un alto grido, spirò.” (Mt 27, 48 – 50).   

Gesù morì alle tre del pomeriggio di venerdì 7 aprile dell’anno 30 oppure del venerdì 3 aprile dell’anno 33.

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero lo spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però a Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua” (Gv 19, 23 – 34). 
« Ultima modifica: Marzo 23, 2014, 18:44:00 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #44 il: Marzo 24, 2014, 07:28:01 »
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I quattro evangelisti ci parlano (ognuno a suo modo e con delle discordanze) delle donne presenti alla crocifissione di Gesù. Questa diversificazione riguarda anche alcune che avevano il  nome Maria. I tre sinottici non citano la presenza della madre del Nazareno, affermata invece da Giovanni.

Matteo presenta tre donne ai piedi della croce: due di esse si chiamano Maria (Maria di Magdala e Maria la madre di Giacomo e Giuseppe), della terza non viene riferito il nome. La madre di Gesù non viene menzionata: “C’erano là anche molte donne che stavano ad osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo (27, 55 – 56).

Marco informa che “C’erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, e Salome, le quali, quando (Gesù) era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme” (15, 40 – 41). La sostanziale identità tra i racconti di Marco e Matteo si spiega con il fatto che  Matteo avrebbe usato Marco come fonte per la stesura del proprio testo.

Luca ci fa sapere che c'erano delle donne che assistevano alla scena, ma non riferisce né il loro numero, né il loro nome. Nel tragitto verso il Calvario, Gesù “Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: ‘Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.’” (23, 27 – 29). E al momento della morte di Cristo “Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fino dalla Galilea, osservando questi avvenimenti” (23, 49).
     
Invece l’evangelista  Giovanni ci racconta che prima di spirare sulla croce Gesù gli affidò la madre.  Si deduce  che Maria, la madre di Gesù, e l’apostolo Giovanni erano presenti alla crocifissione di Cristo. Ma la testimonianza del vangelo giovanneo  è sospetta perché  lo coinvolge come protagonista. Comunque sia, egli elenca tre donne che si chiamano Maria: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre (Maria), la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala” (19, 25). Da queste deriva  l'espressione tradizionale  “le tre Marie".

Alcuni esegeti  identificano la discepola Maria di Cleofa con la madre di Giacomo il Minore e Giuseppe (=Joses), oltre che ad identificare Salome come madre dei figli di Zebedeo.

Fu una discepola di Gesù anche Maria  di Magdala, detta pure Maria Maddalena, perché il nome Maddalena deriva da Magdala, una piccola città sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade, denominato “Mare di Kinneret “ nell’Antico Testamento (Numeri 34,11) e (Giosuè 13,27). Nel Nuovo Testamento è chiamato lago o mare di Galilea, o di Tiberiade o di Gennèsaret: Galilea dal nome della regione in cui si trova; Tiberiade dal nome della città fondata da Erode Antipa nel 20 d.C. circa  sulla riva nord  del lago per onorare l’imperatore Tiberio;  Gennèsaret dal nome di una piccola pianura fertile situata sulle coste occidentali del lago, conosciuto per essere stato, secondo i Vangeli, l’area della predicazione itinerante di Gesù.